PON “Green”, un’occasione da non perdere per educare i più giovani alla sostenibilità ed assicurarci un futuro migliore

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L’Avviso pubblico del 27 dicembre 2021, finalizzato alla realizzazione di ambienti e laboratori per l’educazione e la formazione alla transizione ecologica, rappresenta non solo una grande occasione per “spostare” la didattica fuori dalle quattro mura delle aule, ma, soprattutto, incarna la possibilità di forgiare una nuova “coscienza verde” in coloro che saranno gli abitanti di un pianeta, la Terra, in una crisi climatica senza precedenti. Se, invero, le vecchie generazioni non hanno ancora capito l’importanza di certe tematiche, quali il riciclo dei rifiuti, la mobilità “green”, la lotta agli sprechi di cibo – per citarne alcuni – tutti visceralmente collegati ai cambiamenti climatici, è, dunque, fondamentale “investire” sui più giovani, nella speranza che, rispettosi dell’ambiente, riusciranno a prendersi cura della propria casa.

Cosa prevede il nuovo PON FESR

L’Avviso si compone di due distinte azioni:

  • L’azione 13.1.3 Edugreen: laboratori di sostenibilitàè rivolta alle scuole del primo ciclo. Prevede un massimale di spesa di 25.000 euro, finalizzato alla “realizzazione o risistemazione di orti o giardini didattici, innovativi e sostenibili”, nonché alla riqualificazione di giardini e cortili, “trasformandoli in ambienti di esplorazione e di apprendimento […], favorendo nelle studentesse e negli studenti una comprensione esperienziale e immersiva del mondo naturale e una educazione ambientale significativa e duratura”.
  • L’azione 13.1.4 “Laboratori green, sostenibili e innovativi”, invece, prevede un massimale di spesa di 130.000 euro ed è indirizzata alle scuole del secondo ciclo. Lo scopo, qui, è quello di promuovere la realizzazione di ambienti didattico-laboratoriali all’avanguardia che si proiettino verso una “agricoltura 4.0”, con un interesse particolare per la creazione di “laboratori per l’utilizzo delle energie rinnovabili e l’efficientamento energetico, laboratori sulla sostenibilità ambientale per lo studio e la sperimentazione degli impatti delle attività economiche sull’ambiente, sulla produzione dei rifiuti, sulla qualità dell’aria, sui consumi di acqua, energia, suolo e altre risorse naturali, e per il riciclaggio dei rifiuti”.

È possibile presentare le candidature sulla Piattaforma GPU entro le ore 12:00 del 31 gennaio 2022. Suggeriamo di inviare la propria proposta, vista la semplicità della procedura, anche senza avere ancora bene in mente cosa fare; la selezione delle candidature, infatti, avverrà sulla base “dell’ordine cronologico della data e dell’orario di presentazione delle stesse, fino al limite delle risorse disponibili”: inoltrate, quindi, la candidatura, perché per progettare c’è ancora tempo.

La grande scommessa: outdoor education!

Ammettiamolo. Una buona percentuale di addetti ai lavori, così come coloro che vivono il mondo scuola dall’esterno, pensano che la realizzazione di ambienti di questo tipo sia solo l’ennesimo spreco di denaro pubblico per creare orti, giardini, cortili che, tra un paio di anni, saranno abbandonati a loro stessi. E il rischio c’è ed è concreto, se non si sottolinea l’importanza di concetti e di pratiche come l’Outdoor Education.

Originario dei paesi nordeuropei, l’Outdoor Education è un approccio didattico-formativo, nato “come risposta a fenomeni di indoorization che, a partire dalla rivoluzione industriale, sono stati l’espressione dei mutati rapporti tra uomo e ambiente”. Invero, l’offerta formativa di questo tipo di educazione all’aperto comprende una moltitudine di attività didattiche, quali:

  • esperienze basate su attività socio-motorie ed esplorative tipiche dell’adventure education (il trekking, ad esempio);
  • progetti scolastici che intrecciano l’apertura al mondo naturale con la tecnologia (coding, robotica, etc.);
  • esperienze di tipo percettivo-sensoriale come l’orto didattico, le visite a fattorie, musei, parchi, etc. (sito Indire).

L’Educazione all’aperto, quindi, è un “orientamento pedagogico che, reagendo alle forme chiuse e iperprotettive che caratterizzano la vita dell’infanzia nelle società più sviluppate, si propone di valorizzare le esperienze basate sullo “star fuori”, assumendo l’ambiente esterno come spazio di formazione” (così, Dip. di Scienze per la Qualità della Vita, Università di Bologna).

Inutile sottolineare quanto un tale modo di fare attività didattica possa giovare ad alunni e docenti, specialmente dopo due anni di crisi pandemica che ha imposto stili di vita sedentari, lontani da quella connessione col mondo esterno, con la natura, basilare, al contrario, per una crescita salutare ed un benessere psico-fisico costante.

Chiaramente, non dobbiamo confondere l’educazione all’aperto con le gite scolastiche o con i 15 minuti di intervallo trascorso fuori per consumare la merenda; l’Outdoor education è qualcosa di più: è un’esperienza pedagogica totale, nella quale le attività curriculari si combinano con l’educazione alla sostenibilità, al riciclo dei rifiuti, alla lotta agli sprechi, nonché, ad approcci alla biodiversità e, di riflesso, all’inclusione, garantendo, contestualmente, l’attivazione di relazioni interpersonali e sinergiche.

Coltivare l’orto è “coltivare sé stessi”.

Centinaia di studi confermano che lo “star fuori” ha effetti benefici sul nostro organismo: riduzione di stati d’ansia o di disturbi del sonno, maggiore lucidità mentale, abbassamento dei valori di glicemia nel sangue, sono solo alcuni dei tanti effetti positivi che la biofilia, la connessione con la natura, apporta al nostro corpo.

Ma l’ambiente esterno non dona solo benessere fisico. I giardini e gli orti didattici, attraverso la loro cura da parte degli alunni, consentono di responsabilizzare gli stessi nei confronti dell’ambiente e dell’ecosistema.

Riprendendo quanto scritto da Adriana Bonavia Giorgetti in L’arte di coltivare l’orto e sé stessi,l’orto, un microcosmo fecondo e perciò necessario, ha sempre parlato all’uomo che se ne è occupato. L’uomo moderno, che non produce più quello di cui si nutre, sembra aver perduto la capacità di comprenderlo. La scoperta è che, considerando l’orto come una terra di significati e non come una terra di fatti, si può godere non solo dei suoi frutti materiali ma anche di quelli, altrettanto ricchi, spirituali: la cura, la generosità, la fatica, l’attesa, l’ascolto, la protezione. L’orto cura chi si prende cura di lui”.

E, allora, la scuola non può e non deve sprecare questa opportunità: educare le nuove generazioni al rispetto della natura, al prendersene cura, anche per prendersi cura, di riflesso, di sé stessi.

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