Polyminix: fare matematica coinvolgendo, emozionando, insegnando… giocando [INTERVISTA]
Fare matematica con bambini e ragazzi coinvolgendo, emozionando, insegnando… possiamo dire semplicemente giocando. Anna Mazzitelli, docente di scuola primaria, e Maria Cristina Migliucci, docente di matematica nella scuola secondaria di primo grado e vicepresidente dell’Associazione ToKalon, ci portano nel mondo della tassellazione geometrica attraverso “Polyminix”, un gioco da loro ideato e realizzato assieme a Emanuele Pessi.
Il gioco nasce all’interno di una collaborazione insolita ma particolarmente feconda per la scuola di oggi: da una parte CreativaMente, un’azienda che produce giochi di società e di cui Emanuele Pessi è il fondatore; dall’altra ToKalon, un’associazione che si occupa di didattica ed è ente di formazione riconosciuto dal MIUR, grazie a insegnanti appassionati dei loro studenti e delle loro discipline come Anna Mazzitelli e Maria Cristina Migliucci.
Una prima osservazione: Polyminix è un gioco di pedine, carte, dadi, non ci sono interfacce virtuali di nessun tipo, i giocatori devono toccare e manipolare gli oggetti, i polimini appunto, che consentiranno loro di ricomporre le figure o risolvere i problemi. Questa ‘fisicità’ del gioco mi ha subito affascinata e fatta tornare indietro nel tempo, ma quali sono i suoi pregi a livello pedagogico?
Le esperienze che abbiamo fatto in questi anni, proponendo i giochi da introdurre nelle nostre classi, ci hanno confermato che ne vale davvero la pena. Per la verità, all’inizio si trattava di provare a contrastare il rifiuto della matematica da parte di molti alunni nella scuola dell’obbligo: il cartoncino colorato, le carte da gioco e tanto più le scatole-gioco costituivano una nota di gioia – quasi un po’ irriverente – nelle ore di matematica!
Da qualche anno a questa parte sono entrati a far parte della didattica molti strumenti multimediali: i libri di testo vantano risorse digitali per gli studenti, approfondimenti, eserciziari, piattaforme che permettono di svolgere attività online. Tutto questo è utile ed efficace, se non si accantona il collegamento con la realtà fisica, che è anche alla base dei concetti primordiali della matematica: la retta procede dalla corda tirata dall’agrimensore, il numero deriva dal conteggio e dalla misura di capi di bestiame, di derrate alimentari… A scuola con bambini e ragazzi l’avvicinamento al pensiero simbolico è impensabile senza il movimento delle mani, l’ascolto, gli sguardi: in un insegnamento dinamico che sia indagine, dubbio, osservazione, il corpo è intensamente coinvolto nel movimento del pensiero. La carta, le forbici, i contenitori, i mattoncini, le corde sono cruciali nella lezione di matematica: ce lo ha insegnato Emma Castelnuovo che parlava di una vera e
propria officina. Il materiale ludico combina questo aspetto con l’elemento del gioco, che aggiunge sorpresa, divertimento e anche relazione e condivisione.
Come mai il gioco si chiama così?
Il nome del gioco rimanda ai “polimini”, oggetti matematici ideati nel 1953 da Solomon W. Golomb, allora studente all’Università di Harvard. Si tratta di particolari figure geometriche, “pezzi di puzzle”, composti da quadratini di ugual lato, ciascuno dei quali ha un lato in comune con almeno un altro quadratino.
Martin Gardner, il celebre divulgatore dei giochi matematici, ne parlò nella sua rubrica su Scientific American (la versione italiana di questa pubblicazione è Le Scienze) del dicembre 1957. A molti di docenti o genitori verrà in mente il gioco “Tetris” degli anni Ottanta, che si serve di molti di questi oggetti.
Abbiamo così noi stesse giocato con la parola “polimino” per dare il nome a Polyminix! Già solo provando a comporre o disegnare i polimini, essi risultano molto intriganti. Il più semplice è il domino, ossia il polimino composto da due quadratini (possiamo ruotarlo o ribaltarlo ma inrealtà è sempre una sola forma). Ma cosa succede aumentando il numero di quadratini, quali forme otteniamo?
– il trimino è il polimino composto da tre quadratini: esistono due diversi modi di collegare tre quadrati tra loro, e quindi esistono due diversi trimini,
– il tetramino è il polimino formato da quattro quadratini: ne esistono cinque tipi diversi
– il pentamino è il polimino formato da 5 quadratini: ne esistono addirittura dodici diversi
… e con l’aumentare del numero dei quadratini, le cose si complicano (per i curiosi, si veda in proposito l’articolo di Golomb Checkerboards and polyominoes, The American Mathematical Monthly, Vol. 61, No. 10, dicembre 1954, pp. 675-682).
I polimini si possono disegnare, si possono ritagliare in cartoncino come nel nostro gioco, eppure, tornando alla domanda di prima, si può immaginare un Polyminix digitale, che però non darà mai la stessa immediatezza, quel fremito anche fisico che arriva quando inseriamo correttamente un polimino di cartone al posto giusto!
Come integrare il gioco nella programmazione didattica?
Il gioco può diventare una parte decisiva e costante del lavoro in classe, non una materia in più, ma certamente la possibilità di un approccio differente alle varie discipline, che dà l’occasione a tutti di trovare la propria strada per avvicinarsi a esse. Si tratta di una scelta pedagogica,
intimamente legata al significato che diamo alla scolarizzazione.
Recentemente abbiamo avuto l’onore di partecipare a un progetto di ricerca europeo Erasmus – ora in fase di conclusione – che ha coinvolto docenti di quattro Università e formatori, insegnanti come noi, di due soggetti esterni in Italia, Francia e Spagna. L’équipe internazionale ha
dovuto ideare, progettare e sperimentare il taller (officina) di matematica come percorso formativo intensivo (sessioni di 2 ore, per non più di 16 ore complessive) in grado di offrire una esperienza vissuta attorno al rapporto personale – intellettuale, sentimentale, culturale – con la matematica e la sua presenza nel mondo. All’interno dell’“officina matematica” di geometria abbiamo strutturato ben tre sessioni di lavoro con il gioco Polyminix: è stata un’ulteriore occasione per sperimentare quanto si tratti di un materiale davvero per tutti, alunni, docenti in servizio, ma anche chi studia per diventare docente.
Quasi tutti concordano sul valore didattico del gioco, anche perché la psicologia novecentesca ha messo in risalto il gioco come terreno proprio del bambino. Tuttavia, nelle aule scolastiche il gioco è presente tutt’al più come un fuoco d’artificio che, per quanto spettacolare, è destinato a spegnersi presto; una parentesi che si chiude per ritornare alle attività “più serie”, disperdendo così la curiosità e lo stupore che suscitano indovinelli ed enigmi, carte e dadi. Noi proponiamo piuttosto un uso sistematico dei giochi nella didattica, di Polyminix come di altri giochi
che da anni usiamo nelle nostre classi.
Molti matematici parlano della loro ricerca come di un vero e proprio gioco, praticato per diletto, e la matematica ricreativa e i giochi pongono alla portata di bambini e ragazzi l’esperienza della scoperta matematica, di quando “tutte le cose tornano”, oppure degli errori che poi indicano una possibile strada. Purtroppo a scuola si associa spesso la matematica a procedure aritmetiche (nella scuola primaria) o algebriche (nella scuola secondaria) che lasciano poco spazio all’inventiva.
Secondo noi a scuola non può mancare un ampio spazio per l’inventiva, come sottolineava il grande esperto di giochi russo Kordemskij che la riteneva una componente imprescindibile in una matematica formativa attuale.
Il gioco Polyminix è rivolto a tutti e può essere usato in classe in molti modi e in relazione a molti temi della matematica. C’è un motivo di fondo, che è quello del rompere e costruire, montare e smontare, comporre e scomporre. Generalmente si inizia a lavorare con i polimini invitando gli studenti a costruire figure note, come quadrati e rettangoli. Solo successivamente si comprende che è possibile immaginare e realizzare tante figure (non solo alcune figure hanno diritto a essere chiamate “geometriche”!). La quadrettatura di ciascun polimino rimanda subito alla misura della sua superficie “contando quadretti”, senza pensare subito alle formule (misurare è confrontare cose con cose); il bordo/lato del quadretto permette di calcolare il perimetro, di nuovo qui semplicemente contando. Spronati dal gioco, nella vertigine del costruire e muovere, tra esclamazioni di soddisfazione o di rammarico gli studenti sono sempre pronti ad andare oltre; sono come trascinati dalle forme, dai colori e dalle innumerevoli possibilità di combinazione dei polimini.
Apprendono con piacere, prendendo confidenza con concetti quali equiestensione (figure diverse con la stessa estensione), isoperimetrie (contorni uguali che inglobano forme diverse), congruenze
(figure sovrapponibili).
Alcuni polimini e alcune combinazioni suggeriscono la simmetria, che viene in questo modo cercata o incontrata, in esempi anche piacevoli e ricercati, in una parola sperimentata nel suo emergere e non solo osservata su un libro e trasformata in esercizi. La scoperta delle figure
simmetriche rispetto a un asse, due o quattro assi, oppure rispetto a un centro di simmetria con un determinato angolo di rotazione, apre un mondo affascinante e coinvolgente, dove si incontra la ricerca di bellezza delle arti plastiche e della grafica.
Cosa arriva però nel momento della valutazione? Il gioco non viene per forza escluso?
Se noi insegnanti per primi crediamo nel gioco come uno strumento di lavoro e studio efficace, anzi come un vero e proprio approccio, a maggior ragione lo è nel momento della valutazione. Una domanda posta come uno scherzo o un paradosso sprona gli allievi a dare il meglio di sé, appunto, come si dice nel linguaggio comune, a “mettersi in gioco”. Ci è spesso capitato di fare una richiesta ai nostri alunni avendo in mente una possibile risposta, e di rimanere a bocca apertadi fronte alla ricchezza e alla diversità delle soluzioni da loro trovate! Oggi si parla tanto di competenze, e poi in sede di valutazione in matematica c’è chi si accanisce ancora sulle procedure, chi si ostina a chiedere definizioni e casistiche come se si trattasse di qualcosa di concettuale, chi fa domande a trabocchetto per scovare fantomatiche conoscenze latenti. Se la valutazione è pensata come gesto ordinario, ossia uno sguardo continuo e complessivo sull’alunno, essenza stessa del fare scuola, acquista senso anche la possibilità di valutare le attività realizzate con i giochi: c’è chi vince, chi risolve un problema, chi trova una tassellazione, c’è chi semplicemente impara a osservare l’altro e a capire la logica sottostante alle sue azioni.
In Polyminix ci sono figure da osservare e da tassellare con polimini che hanno diverse forme e colori, oppure figure geometriche da costruire a partire da un’area data. Perché risultiamo tutti, grandi e piccini, immediatamente attratti da questo gioco combinatorio? Cosa scatta a livello metacognitivo?
Vi è qualcosa di davvero enigmatico, sorprendente e che ci causa sempre meraviglia. Ci siamo rivolte alla letteratura antropologica, agli studi sul gioco dell’olandese Huizinga che ci parla della frontiera tra la serietà e la sfera del gioco, la tensione e la libertà nel gioco, la creazione di uno spazio “altro rispetto alla vita quotidiana” con le proprie regole che lo circoscrivono (e pensare che oggi si insiste così tanto sul legame fra matematica e vita quotidiana!). Un grande studioso di educazione matematica, Miguel de Guzmán, ha sottolineato che queste caratteristiche sono proprie della matematica stessa, anche alle frontiere della ricerca.
Queste caratteristiche si ritrovano nel nostro gioco dei polimini. Ci troviamo in un tavolo da gioco, circoscritti dal cartoncino ma in uno spazio dalle infinite possibilità che la nostra immaginazione indaga. Spostare i polimini sul piano, ruotarli, ribaltarli, nel tentativo di realizzare una figura che abbiamo in mente, oppure di ricoprire la superficie di una delle schede di Polyminix, è essere in bilico tra la realtà e le possibilità, con sempre nuove combinazioni, con attimi di sorpresa davvero inattesi, con momenti in cui ci fermiamo a riflettere, intuendo delle regolarità, dei vincoli.
Il kit di gioco, il numero dei pezzi (15) e la loro forma sono stati accuratamente progettati per spingere l’esplorazione e il divertimento, che richiedono libertà ma anche una certa dose di costrizione.
A volte ci è capitato di distribuire i polimini avendo in mente una particolare attività, e di faticare a iniziarla perché i nostri studenti, immediatamente rapiti dai polimini, sembravano distratti e non concentrati sulla nostra lezione. Ma eravamo noi in torto, perché il contrario di “distratto” non è tanto “attento” (come si suole pensare) quanto “attratto”: gli studenti non erano distratti, ma attratti da qualcosa che li interessava di più: i polimini stessi! Proporre i giochi richiede a noi docenti di osservare accuratamente ciò che avviene in aula ed essere pronti a ripensare alle nostre proposte.
Le potenzialità didattiche del gioco per la geometria o la misura – aspetti chiave dell’introduzione al pensiero scientifico – sono strettamente legate alla forza con cui esso attrae gli alunni, con cui li coinvolge. È proprio un aspetto che spiega perché si tiene alle volte il gioco lontano dalle aule scolastiche, perché si considera quasi con sospetto. D’altra parte la matematica ricreativa è antichissima, ma per secoli è stata considerata terreno marginale, vicino alla magia e l’illusionismo, al sogno e la finzione dello spettacolo dal vivo. Non stiamo proponendo di stravolgere la vita di scuola, bensì di far entrare elementi naturali dell’essere umano in momenti cruciali dell’educazione.
Proprio per questa capacità di stregare che hanno i giochi, prima di iniziare un lavoro “strutturato” con un gioco come Polyminix consigliamo di “lasciare il tempo di perdere tempo” agli studenti per scoprire i polimini: senza quasi rendersene conto, inizieranno a distinguerli in base
alla forma e alla superficie e a esplorare come si agganciano gli uni agli altri e come ricoprono il piano.
Sempre in un’ottica metacognitiva, sono più importanti i tentativi “di prova ed errore” o quelli ragionati? C’è una differenza su questo piano, un valore aggiunto rispetto a quanto avviene nell’insegnamento classico?
Gli enigmi e gli indovinelli matematici sono singoli esempi, come le singole richieste che possiamo porre di fronte ai nostri alunni e il loro kit di polimini colorati. In tal senso non stiamo presentando teorie compiute, formule generali. Eppure stiamo svegliando il pensiero, sollecitando l’immaginazione, abituando all’osservazione. Diceva Maria Montessori “quello che la mano fa la mente ricorda”. Possiamo pensare al laboratorio artigianale, dove la forma si ripete secondo modelli, ma anche si crea in relazione a un materiale, a un uso, a immagini e ricordi,
all’immaginazione e l’allargamento del possibile. Il gioco, in particolare, è una forma di esplorazione dell’ “ancora sconosciuto ma presentito”, usando le parole di Mary Boole.
I tentativi liberi, la conversazione che ruota attorno a essi, la condivisione di esperienze all’interno della classe, portano gli studenti a costruire quel bagaglio di conoscenze vissute che nella scuola secondaria si rafforza progressivamente e può diventare la base per il ragionamento deduttivo.
Profondamente vere ed esplicative le parole della professoressa Ana Millán Gasca, tratte dal suo testo “Numeri e Forme”, edito da Zanichelli (2016):
“Anche in matematica è vitale guardare oltre la pura alfabetizzazione numerica e disporsi ad accompagnare i bambini in un viaggio nel paesaggio affascinante dei concetti matematici: affascinante perché è un viaggio che si compie con la mente e con l’immaginazione ma anche con il corpo, osservando e toccando; perché esso attraversa tappe sempre nuove (nuovi numeri, nuove forme); e perché, strada facendo, si scopre una moltitudine di connessioni fra concetti, come una rete di fili invisibili che, invece di nascondere il paesaggio, aiutano i bambini a districarsi in esso.”
In quest’ottica, nella risoluzione di un problema, procedere per tentativi è tipico anche della ricerca matematica. Lo studente è chiamato a spiegare il suo ragionamento e a giustificare i tentativi intrapresi: si tratta di quello che chiamiamo “conversazione matematica”, così preziosa nelle nostre classi ma spesso lasciata in secondo piano. Così si inizia ad avvertire come il matematico distingue i casi, pone dei vincoli, cerca di provare l’unicità sotto certe condizioni, scompone, e così via.
Un limite di questi giochi non potrebbe essere che si incoraggia la velocità a scapito dell’accuratezza del ragionamento? Il ragazzo più ‘lento’ non si sentirà in qualche modo ‘da meno’ rispetto a chi è più svelto?
In Polyminix generalmente non esiste una sola soluzione alle sfide proposte. Questo ci permette di valorizzare non solo la rapidità di esecuzione ma anche la molteplicità delle risposte ottenute, alcune delle quali possono essere più “eleganti” di altre. Ogni studente è incoraggiato a dare del suo meglio, i più bravi e veloci saranno gratificati dal fornire soluzioni complesse ai quesiti proposti, i meno veloci avranno comunque lo spazio e il tempo per riflettere e per arrivare alle proprie personali soluzioni. Senza contare che la scuola è appunto un percorso nel quale ognuno si trasforma, fiorisce. Anche giocando. Lo spirito giocoso rende la classe distesa, perché sente il percorso che ognuno fa per migliorare se stesso, per mettersi in gioco.
Insistere sulla rapidità interferisce talvolta con il ragionamento – non è detto che i meno veloci non riescano a trovare soluzioni interessanti e creative – e mortifica la conversazione matematica.
Nell’educazione, il tempo è parte dell’esperienza, la scuola dà qualità a quel tempo che viviamo insieme, che si colora di sentimenti, di scoperte, di riflessioni, di memoria. La matematica non è una corsa contro il tempo. E nemmeno la scuola.
Per tassellare bisogna avere dimestichezza con i movimenti di traslazione, rotazione, riflessione e, inoltre, occorre ragionare molto sull’equivalenza geometrica delle figure e la loro misura espressa da un numero: viene tutto naturale ai bambini e ai ragazzi?
Abbiamo sperimentato, nelle classi a cui abbiamo proposto il gioco Polyminix, che alcuni studenti non hanno confidenza con le trasformazioni di un oggetto nel piano. Spesso ci chiedono: “Posso girare il pezzo?” e devono essere guidati soprattutto a fare l’esperienza di un ribaltamento nello spazio che corrisponde di fatto a trovare la figura riflessa sul piano. Come in ogni ambito, altri invece (alle volte grazie a esperienze nell’ambiente familiare, extra o pre-scolastiche) sono perfettamente a loro agio fin dall’inizio con i movimenti dei polimini e con le possibili
trasformazioni.
Questo passaggio si supera molto velocemente, però, lasciando loro la possibilità di manipolare liberamente i polimini per costruire figure a piacere, e guidandoli nella tassellazione delle prime schede. Con l’esperienza diventerà per loro automatico ruotare, traslare e ribaltare i polimini in base alle necessità.
Questo gioco allena proprio a quell’incontro fra geometria e numeri tipica della misura. Già l’ispezione dei polimini porta a classificarli secondo il numero dei quadrati da cui sono costituiti: se due forme diverse sono composte da tre quadrati, allora hanno la stessa estensione, la stessa superficie.
Componendo figure, accostandole tra loro, otteniamo nuove figure, che sono la somma (geometrica) di quelle di partenza. Ovviamente, il numero di lati della figura somma non è la somma del numero di lati delle due figure di partenza. Invece, la misura della figura somma, espressa in quadrati, è precisamente la somma delle misure, in quadrati, delle figure di partenza. Componendo in due modi diversi due figure possiamo arrivare quindi a due nuove figure, che sono equiestese tra loro.
Le restrizioni imposte dal covid vi hanno indotte a ideare kit di lavoro individuali: quali le principali differenze con la versione classica?
Mai come in questo caso possiamo affermare che un ostacolo è diventato un’opportunità! Costretti dalla situazione abbiamo dovuto ripensare a come utilizzare in classe il gioco nel rispetto delle norme di sicurezza e distanziamento previste. Così, il comitato del Con-corso “Matematica per tutti” dell’Associazione Tokalon – che quest’anno è arrivato alla sua quarta edizione (www.matematicapertutti.it) – ha pensato a dei kit di polimini che gli studenti possano utilizzare in maniera personale.
Ciascun allievo riceve un sacchetto con i 15 polimini del gioco e alcune carte: il gioco (e il lavoro) può avvenire per ciascuno sul proprio banco, senza necessariamente lavorare in gruppo o scambiando il materiale con altri. Questa modalità che inizialmente sembrava restrittiva, sperimentata durante l’anno scolastico appena trascorso, è risultata ancora più coinvolgente rispetto alla modalità classica del gioco in classe, dove si lavorava almeno in coppie con la stessa dotazione di polimini e con le stesse carte. È stata l’occasione per recuperare l’importanza del
coinvolgimento di tutti. E il gioco, in un anno carico di divieti, di norme, di distanziamenti e di didattica “frenata”, senza la possibilità di lavorare in gruppo, di scambiarsi materiale, è diventato un’áncora di salvezza, il modo per spezzare, per rilassarsi, continuando a muovere pezzi (ognuno il suo kit), per avere ancora la possibilità di usare un approccio di tipo laboratoriale ed esperienziale con la matematica, pur rispettando le regole e le restrizioni.
I nostri alunni ci hanno sorpreso per come sono stati in grado di rispondere alle sfide proposte dal Con-corso. Tutti, anche quelli che, giocando in gruppo, sarebbero stati meno propositivi, hanno messo in atto strategie personalissime (e sicuramente non suggerite da noi) per risolvere i problemi, come ad esempio realizzare le figure simmetriche ricorrendo all’uso di uno specchio per controllare se fossero corrette, oppure affrontare problemi di massimo e minimo giocando sulla variazione del perimetro di figure realizzate con un numero assegnato di polimini.
Abbiamo così deciso di valorizzare questa modalità di lavoro in cui ogni studente ha la possibilità di lavorare con il suo materiale, perché, anche se il lavoro in gruppo rappresenta per noi un punto focale, inclusivo, importante e imprescindibile, crediamo che sia un punto di forza non indifferente la possibilità per ciascuno apprendere con la mente e con le mani, con il proprio tempo e con il proprio spazio, imparando a condividere percorsi e scoperte con il gruppo.
Ci piacerebbe veder crescere una rete di insegnanti sempre più ampia che condivida con noi l’entusiasmo e la fiducia in questo modo di fare scuola e che in ogni classe ci sia sempre posto per giocare, affrontare sfide tra compagni, e insieme scoprire la bellezza nella fatica del fare matematica.