Poesie scritte in fogli di pane “che uno legge e poi se li mangia, perché la cultura è il pane quotidiano”: le idee originali, un po’ folli di Giuliano Belloni che fa prevenzione con l’Iliade e l’Odissea
“Bambini, ma voi quando respirate ci pensate o vi viene in automatico? Ci viene in automatico. Allora anche la lettura dovrebbe essere automatica. E se mi servono nuove parole la fonte è nei libri, non si scappa”. E loro? “E loro capiscono. Altroché se capiscono…”.
Loro sono gli studenti, migliaia, tanti quanti ne ha incontrati in questi ultimi due anni. Lui è Giuliano Belloni, artefice della Missione Omero un movimento che vuole “contaminare gli ambiti della vita” con progetti territoriali. “Per me – spiega Belloni, 70 anni, di Palombara Sabina in provincia di Roma, una laurea in filosofia – è diventato una vera e propria missione. Incontrare gli studenti nelle scuole facendo prevenzione con l’Iliade e l’Odissea, che non è altro che l’arte di apprendere ad essere uomini”. Belloni è il primo poeta (ma lui si definisce bracciante della parola, quasi a voler rimarcare l’orgoglio delle proprie origini contadine) adottato da un Comune, quello di Segni, sempre in provincia di Roma, addirittura con una delibera del Consiglio comunale. Belloni non crede nelle sale conferenza per incontrare la gente. “La rivoluzione di Omero – precisa – è che più che attendere nelle biblioteche noi andiamo dove vive di solito l’uomo e consegniamo all’uomo la parola distribuendola porta a porta”.
Dallo scorso anno ad ora ho incontrato undicimila studenti nelle scuole di Reggio Calabria, Crotone, Vallo, Pescara, Vasto, Tivoli, Roma, Rieti, Palombara Sabina, Milano, Lodi, Macchiagodena, Roccaraso, San Polo, Marcellina, Firenze, e tante altre ancora. E disponibile ad andare dove lo chiamano, nelle scuole e in tutti gli altri posti. Va nelle scuole, e non solo nelle scuole, accompagnato da un peluche, Omero detto l’Alighiero. “Ma non ha ali di piume – racconta lui – bensì un libro per volare e i ragazzi capiscono subito che per viaggiare basta prendere un libro. Quando ci fu l’uccisione di Giulia Cecchettin io ero a Milano in una classe quarta della scuola primaria dell’Istituto Massa. Abbiamo condiviso, assieme ai ragazzi questa storia dolorosa, poi ho chiesto loro: secondo voi l’omicida quanti libri avrà letto? Tutti hanno risposto in coro: Nemmeno uno. E io: Avete visto come i libri salvano la vita? Quando vado nelle scuole, io cerco di educare i ragazzi all’affettività e uso la poesia che definisco servizievole ma non è la poesia dei grandi, di Dante o Petrarca. La poesia servizievole è quella che cerca di stanare le ombre con un piccolo percorso di luce”. Il percorso con Belloni è stato bellissimo. I bambini si perdevano nelle sue parole. Non finivano più di fargli domande — spiegava all’epoca, al Corriere , Milena Piscozzo, dirigente scolastica dell’Istituto Massa— Lui ha la grande capacità di rendere fruibili a tutti poesie con tematiche importanti. A volte si pensa che si debba ‘ridurre’ la realtà per farla capire ai bambini e invece non va ridotta, va resa accessibile. Ho fortemente voluto che questo progetto si svolgesse nelle ore curricolari: è stata una iniezione di vitalità e di entusiasmo”.
Giuliano Belloni condivide da tempo con l’imprenditore Danilo Dadda l’idea che leggere crei comunità. Per invogliare i suoi cento dipendenti a leggere libri, Dadda, titolare della Vanoncini, una ditta che si occupa di edilizia green a Mapello, in provincia di Bergamo, ha creato un premio in denaro tanto che a ogni dipendente che legge un libro dona 100 euro, il doppio se ne legge due e così via, 300 euro se il libro è in lingua straniera. Il dipendente farà poi una recensione davanti ai colleghi riuniti ogni settimana proprio per questa occasione prima di una riunione di tipo tecnico. L’idea è quella di migliorare il clima di lavoro, condividere passioni ed emozioni, stimolare lo spirito di squadra, il senso di appartenenza, con una evidente ricaduta sul benessere personale e, aggiungiamo noi, sull’autostima, sull’autorealizzazione, sulla felicità, sulla produttività, in linea con la filosofia della piramide dei bisogni di Maslow. “Danilo – ci spiega oggi Belloni – ha compreso che leggere crea comunità. L’idea è sua, ma ora facciamo eventi insieme”. Di Giuliano Belloni e del preziosissimo ruolo sociale che sta svolgendo si è accorto Papa Francesco, che attraverso il giornale L’Osservatore Romano, che gli aveva dedicato un’intervista in passato, lo ha convocato in Vaticano in un incontro con lui legato al Giubileo 2025. Belloni non ama le sale conferenza, va a cercare le persone. Al momento della nostra intervista sta tornando da Marcellina dove si festeggiava il Santo patrono della cittadina in provincia di Roma.
Giuliano Belloni, stavolta lei ha parlato di Pinocchio. Perché?
“L’evento lo abbiamo fatto in piazza. Eravamo in cento. Era presente il sindaco, sapevo che ci sarebbero stati tanti bambini. Ho parlato di Pinocchio perché Pinocchio e L’Odissea accompagnano intanto la nostra vita adolescenziale. Insieme raccontano il senso dell’uomo. E’ la storia di ognuno di noi. La favola inizia sempre con c’era una volta. La favola di Pinocchio inizia con un atto creativo. C’è un padre che da un pezzo di legno ricava un figlio. Un burattino di legno si svela figlio di un padre. La favola di Pinocchio restituisce il tremore delle paure, delle scoperte, della gioia. La favola ci restituisce quel lato dell’infanzia fatto di impulsi e tensioni dove ogni cosa è possibile. Quante volte i nostri genitori ci hanno rincorso perché a loro parere noi abbiamo sbagliato la favola.
Ci riportano dentro la loro narrazione, dice lei.
“La favola incarna quella verità primordiale perché è quella del ragazzo che sta in rivolta contro il mondo degli adulti. E la poesia può aiutarci, scandagliando, facendo riemergere quello che ci definisce sempre di più. La favola è capace di generare un codice di comportamento, traducendoci cosa accade nella vita. La favola di solito appartiene al racconto dei nonni. Perché il linguaggio del nonno è simile al linguaggio del bambino. Pinocchio commette degli errori mai uguali. Ma con questi errori si stava conquistando il diritto ad essere uomo. Il premio finale è l’umanità capace di sbagliare ma non di perseverare. La morale della favola di Pinocchio è imparare ad essere uomini e non rimanere burattini.
Quando si è avvicinato alla poesia per la prima volta?
“Da quando frequentavo il liceo classico e poi l’università mi sono accorto che la letteratura apparteneva a una cultura del passato e leggendo i poeti li immaginavo come delle persone già morte. Allora mi sono ripromesso di parlare di ciò che è vivo”.
Ma è vero che quarant’anni orsono andava cercando i nomi dei poeti sugli elenchi del telefono della Sip e li trovava pure e poi li contattava…?
“Io desideravo conoscere per forza i poeti contemporanei. Mi dicevo: possibile che non esistano? E parlo come dice lei di quarant’anni anni orsono, erano in vita. Allora come stratagemma mi misi a cercare i loro nomi negli elenchi della Sip. E così, Luciano Erba, abita a… Mario Luzi abita a… Alla fine della ricerca sono poi andato a cercarli. Ho conosciuto Erba, Luzi, Fiore, Zanzotto, Parronchi e altri. Ora sono monumenti della poesia italiana. Sono andato a bottega da loro, volevo imparare da loro come si scrivesse. Frequentavo e frequento anche Milo De Angelis, Eraldo Affinati, Erri De Luca”.
Certo non ha atteso che i poeti venissero da lei…
“Io insegno ai ragazzi che i treni della vita passano, però bisogna andare in stazione a prenderli, non passano sotto casa, occorre attivarsi”.
Lei si definisce coltivatore diretto della parola, uno che semina le parole. Entreranno senz’altro in questa sua definizione le sue origini contadine…
“Mi definiscono un poeta, ma io mi definisco un bracciante della parola. E questo lo devo alla fatica di mio nonno, a quella di mio padre, a quella di mia madre. Siamo sette figli e loro hanno fatto sacrifici enormi per farci studiare, per cui anche nella scrittura ho cercato sempre di riconoscere il senso della comunità. Ho imparato subito che nella civiltà contadina ci si sentiva comunità ancor prima di sentirsi cittadini perché sono le storie che ci fanno sentire unici. Il senso della comunità è forte anche nella scrittura. Tante volte mi chiedono E tu chi sei?”
E lei come risponde?
“Rispondo che sono un narrabondo. Il precetto socratico conosci te stesso l’ho conosciuto subito al liceo ma prima di entrare in me stesso ho cercato di comprendere quello che aveva vissuto e che viveva mio nonno. Lo accompagnavo la sera e il pomeriggio e sedevamo ogni volta su una panchina osservando i passanti. Ho iniziato seduto in quella panchina ad accorgermi dell’altro, degli altri. A entrare così nelle loro gioie e nelle loro sofferenze. Mio nonno aveva, su quella panchina, la funzione di Omero, quella di narrare. Io quella dell’ascolto”.
“Mia madre”, “mio padre”, “mio nonno”, i borghi. E Ogni pietra legge. Il decalogo del borgo fa da titolo a un suo libro. Lei è molto legato alle sue origini e alla civiltà appartenuta ai tempi delle sue origini, anche se da come si muove e da quello che dice agli studenti non sembra affatto un passatista.
“Sono nato da una famiglia molto povera. Sia mio nonno che mio padre erano braccianti agricoli. Non avevano i soldi per comprarsi nemmeno mille metri di terra. Delle volte vedevo mio padre che ritornava dalla piazza che prima funzionava anche da ufficio di collocamento. L’ho visto piangere. Veniva umiliato e offeso nella sua dignità di ricerca del possibile lavoro. Per cui lo vedevo poco.
Era attento a spiragli di ricerca di qualche lavoro”.
La povertà lascia tanti segni.
“Sono orgoglioso di essere nato povero. Ne ho fatto una virtù”
Mi ricordi ancora i suoi genitori
“Papà lo vedevo poco, per questo speravo che ogni giorno potesse piovere così veniva a riprendermi a scuola. Io gli saltavo in braccio. Cercando di adeguare il mio battito del cuore al suo. Avevo ogni volta la certezza che in quell’ abbraccio ci fosse un solo cuore e un solo battito. Come del resto la ma la domenica mattina quando sentivo il profumo dell’aglio e della cipolla della mamma che preparava il pranzo della domenica. Quel profumo di sugo era la colonna sonora e olfattiva di una cosa importante. Appena terminato di preparare il sugo. Veniva nel mio letto e mi abbracciava”
Suo nonno era un Ragazzo del ’99. Di cose da raccontare ne aveva tante…
“Mio nonno aveva fatto la guerra del ‘15-18 e benché fosse analfabeta era un poeta lo stesso. Mi raccontava il senso della vertigine delle Alpi, il linguaggio degli uccelli, la fame, la solitudine, il silenzio, il freddo, la neve, la nostalgia. Da lì ho iniziato a vedere la letteratura, che t’insegna il dolore, con le sue variazioni. La letteratura insegna cos’è l’amore l’angoscia, la paura la bellezza. La speranza. Questo noi lo impariamo attraverso la letteratura”.
La letteratura che conta?
“La letteratura che conta, certo, ma io dico sempre ai bambini e ai ragazzi: leggete di tutto. Ora non c’è più la funzione della narrazione, è stata modificata e quindi oggi va bene di tutto”
Non esistono più i cunti. Il narratore oggi è Google.
“E’ proprio così. Quando vado nelle scuole mi accorgo che il nonno contemporaneo narratore è un nonno digitale”.
Che cos’è la Missione Omero?
“E’ un movimento con cui vogliamo contaminare gli ambiti della vita con progetti territoriali. Non siamo una scuola di scrittura e quindi ai bambini e ai ragazzi non insegniamo a scrivere ma a leggere e ascoltare la parola. Divulghiamo educazione allo sguardo e allenamento all’ascolto. Cerchiamo di far sognare i ragazzi perché il sogno unisce e da soli si rischia un miraggio. Siamo un gruppo di persone che si occupa di tanti aspetti: chi di scienza, chi di educazione, chi di teatro, chi di impresa, chi di lavoro, chi di scuola, chi di cibo. E c’è chi è presente per prestare i propri passi. La rivoluzione di Omero è che… più che attendere nelle biblioteche noi andiamo dove vive di solito l’uomo e consegniamo all’uomo la parola distribuendola porta a porta”
Dove, di preciso?
“Dove sta l’uomo? Di mattina è nelle scuole e allora andiamo là e facciamo prevenzione attraverso la lettura e il libro. Al pomeriggio dove sta l’uomo? Nelle fabbriche. E allora pensi all’iniziativa di Danilo Dadda, che dà un premio in denaro ai suoi dipendenti che leggono i libri. Ora faremo degli eventi insieme. Danilo ha capito che leggere crea comunità. Siamo noi che andiamo a incontrare e condividere con i ragazzi, giovani, maturi e anziani portando il libro. Il nostro impegno principale è nell’educazione e nelle scuole. Questo è compito della poesia che chiamo servizievole. Dallo scorso anno ad ora ho incontrato undicimila ragazzi nelle scuole di tante città. “Missione Omero prevede quattro punti. Il primo è: adotta un poeta vivente. Segni è il primo comune d’Italia che con una delibera ufficiale ha adottato un poeta vivente. E’ la prima volta di un poeta di comunità”.
E quali impegni si assume questo poeta adottato da un Comune?
“Quello di promuovere la creazione di una biblioteca nei comuni dove le biblioteche non esistono, In secondo luogo quello di creare comunità. In terzo luogo, se questa adozione è fatta da un borgo o comune o provincia una volta l’anno occorre indire un ordine del giorno che preveda una discussione sulla necessità che la comunità legga. E si torna alla comunità, che è uno dei quattro punti. In questo modo il Comune dà un messaggio eloquente circa il fatto che la lettura non è un luogo dove si perde tempo ma, semmai, un luogo dove si forma il tempo. Infine, tornare nelle scuole in presenza, come poeti narratori: in questo momento storico abbiamo bisogno di poeti. Sa che cosa urlano gli studenti ogni volta che m’incontrano?”
Che cosa urlano?
“I ragazzi urlano: Ma allora i poeti esistono? Mi abbracciano come a voler dire: allora esistono?”
Quali sono le scuole che incontra?
“Io vado in tutte le scuole dalla primaria alle scuole secondarie di secondo grado. Perché se si vuole cambiare mentalità occorre ricominciare dall’inizio”.
Chi l’accompagna?
“Vado con un mio amico, eccolo, si chiama Omero Alighiero”
Un peluche?
“Un peluche. Ma non ha ali di piume, bensì ha un libro per volare, e i ragazzi capiscono subito che per viaggiare basta prendere un libro. Quando ci fu l’uccisione di Giulia Cecchettin io ero a Milano in una classe quarta della scuola primaria dell’Istituto Massa. Abbiamo condiviso, assieme ai ragazzi questa storia dolorosa, poi ho chiesto loro: secondo voi l’omicida quanti libri avrà letto? Tutti hanno risposto in coro: Nemmeno uno. E io: Avete visto come i libri salvano la vita? Quando vado nelle scuole, io cerco di educare i ragazzi all’affettività e uso la poesia che definisco servizievole ma non è la poesia dei grandi, di Dante o Petrarca. La poesia servizievole è quella che cerca di stanare le ombre con un piccolo percorso di luce”
Nella pratica, che cosa succede?
“Omero non diceva domani ci vediamo in quel posto. Lui girava e incontrava le persone. Io con la parola cerco di svegliare il senso della loro vita. Per esempio, dico agli alunni: sapete da dove deriva la parola bellezza? Dal greco kalòs che proviene dal termine kalèo, chiamata. Se la bellezza è una chiamata, aggiungo, allora essa esige una risposta, negativa o positiva che sia. Vedete allora che la bellezza è azione, non è solo stare fermi e guardare l’estetica delle cose, è qualcosa che informa la vita. Non possiamo, insisto, stare inerti di fronte alla bellezza che ci viene offerta ogni giorno. E qui mi sono inventato il filo rosso. Ho ricordato ai ragazzi che Arianna era innamorata di Teseo ma che dovette sconfiggere il Minotauro per poter vivere nel loro amore e allora lei, temendo che lui si perdesse nel labirinto, lo legò con il filo rosso. In ognuno degli eventi che faccio porto sempre un filo di lana che spezzo, in modo che ognuno abbia un braccialetto per il senso di comunità. C’è bisogno di comunità. E non è solo il filo rosso, come viaggio, che mi riconduce alla mia identità è che questa scoperta viene fatta insieme”.
Papa Francesco ha invitato lei ad andare da lui a febbraio perché ci sarà una riunione mondiale di poeti, legata al Giubileo dove si parlerà di poesia. E’ così?
“Di poesia e di speranza. Sì, è vero. Mi hanno chiamato dall’Osservatore Romano e mi hanno detto: il Papa ti sta osservando. In un incontro con alcuni poeti Papa Francesco aveva detto che amava la poesia sociale e che i poeti sociali sono poeti che vanno nelle scuole per organizzare la speranza perché la speranza è al plurale. Io, che porto il peluche nelle scuole per riscoprire la nostra identità, in questa definizione mi sono sentito comodo comodo. Quando il papa ha detto che gli interessano i poeti sociali, ho capito che la mia intuizione ha ricevuto il plauso del Papa, non sapendo che il tema della speranza è contenuto nel Giubileo del 2025”.
Torniamo alla letteratura e alla poesia. Quanto sono importanti nella formazione dei più giovani?
“Il ruolo della letteratura e della poesia nella formazione dei ragazzi è fondamentale e questo ha fatto sentire un rivoluzionario anche me. Bisogna saper parlare il linguaggio dei bambini e ragazzi. Per questo, come detto, mi sto facendo e mi farò aiutare da un altro libro: Le avventure di Pinocchio”.
Perché
“Perché Pinocchio ci propone di leggere la vita in un altro modo. Già Dante nel Convivio dice che sente il bisogno di qualcosa di nuovo. Ha fame e sete di qualcosa di nuovo. Che significa? Che tutta l’avventura dell’uomo è ricercare il senso della vita”.
Intanto il mondo dei ragazzi e delle ragazze, negli ultimissimi decenni è cambiato radicalmente rispetto a come procedeva da secoli e millenni.
“Un tempo il nonno aveva la funzione di dare il testimone ad altri attraverso la narrazione. L’ascolto moderno è il libro e i ragazzi non leggono e non ascoltano. Quando io ricordo loro che conoscono un numero di parole sempre più ridotto rispetto al passato loro mi rispondono: ma io ho le idee. Io dico non è vero, le idee vengono se sono veicolate dalle parole. Se vi chiedo di dirmi che cos’è il sentimento, che cos’è la paura, vedete che non riuscite a definire questi concetti? Siete poveri di parole. E per rimediare dove andiamo ad abbeverarci? Nei libri. Quando respirate, prima ci pensate o viene in automatico? Viene in automatico. Allora anche la lettura dovrebbe essere automatica. Se mi servono nuove parole la fonte è nei libri, non si scappa”.
E loro capiscono questa lezione?
“Loro lo capiscono altroché se capiscono. Questi ragazzi sono sentimentalmente analfabeti e non riescono a esprimere i loro concetti. Alla locuzione adotta un poeta aggiungo allora adotta una parola nuova. E in un mese – dico loro – dobbiamo imparare 50 parole nuove e con queste parole dobbiamo fare un piccolo racconto”.
Tutto questo non lo dovrebbe fare la scuola?
“In realtà i maestri sono impegnati a portare avanti il programma. Tante volte faccio scontri con gli insegnanti. Alla fine dell’anno, che cosa si ricordano del programma, tanti bambini? Invece occorre creare delle novità originali. Sei anni fa proprio per creare delle novità che restassero nel cuore dei ragazzi ho avuto l’idea di creare dei libri di pane”
Di pane?
“Sì, fogli di pane che uno legge e poi se li mangia, un’idea folle. Ho cercato di coinvolgere qualche amico fornaio ma gli esperimenti erano un disastro. Ma poi un giorno in una pasticceria ho visto che il pasticciere mentre affogava un dolce per imprimervi un disegno. Gli ho chiesto: se invece di Topolino ci mettiamo una poesia si può fare? Certo che si può, allora mi son procurato dei fogli di ostia e dei colori edibili e gli esperimenti sono avvenuti con successo. Allora ho cercato un’azienda che seguisse questa follia. Ho trovato un’azienda siciliana e abbiamo fatto 500 copie di poesie. Cinquecento copie di libri di pane con mie poesie, con i ragazzi invece ho fatto dei seminari con fogli e colori edibili durante i quali ognuno componeva delle piccole poesie e disegni”.
Il senso di tutto questo?
“Il senso è che la cultura è pane quotidiano. Mi fa piacere sapere che alcuni di quei ragazzi poi, nella scelta dell’università, hanno preferito scegliere lettere e filosofia, per cui qualcosa di originale si è fatto. L’uomo di cultura dovrebbe adottare piccole strategie per ottenere i risultati attesi. A Vasto c’erano 1123 studenti ad ascoltarmi nel polo liceale, il 27 marzo scorso. E ora – m’ero detto – che dico davanti a tutti questi alunni di età diversa? Poi ho parlato a braccio, è stato un vero successo. Loro capiscono subito, mi vedono come un nonno, come Omero che narra non come un professore che fa la sua narrazione perché devi essere interrogato. Noi vorremmo che tu stessi qui, dicevano, ma allora tocca dirlo. Torno a Pinocchio. Geppetto riesce a ridare le gambe che sono bruciate e Pinocchio se ne scappa verso la libertà abbandonando la paternità. E quando ho parlato di città di morti descritta da Collodi, un ragazzo di 15 anni mi ha detto: lo sa che la città dei morti siete voi e il vostro mondo degli adulti?”
Perché ha detto così?
“Lui aveva una situazione poco simpatica nella famiglia e era anaffettivo. La lettura di quella pagina gli ha fatto dire anche io sono vivo nonostante la vita anaffettiva che ho a casa e a scuola. Da qui la funzione di salvezza della letteratura”.
La scuola è noiosa, secondo lei?
“Galimberti dice che occorrerebbe fare un esame e promuovere i professori che hanno entusiasmo. Entusiasmo proviene dal termine greco entèos, che sarebbero le divinità che abbiamo dentro, direi le virtù: a scuola gli studenti dovrebbero vedere gli insegnanti che vivono la letteratura, non è un passaggio di comunicazione verbale, dovrebbe essere una comunicazione quasi ortopedica per permettere ai ragazzi di avere un cuore e le gambe per camminare da soli, invece di essere depositari di notizie in vista di interrogazioni. C’è bisogno di fare un cambio di registro, i professori dovrebbero avere più entusiasmo e creare appartenenza. Danilo Dadda, ancora lui, ha creato comunità e appartenenza incentivando la lettura dei libri presso i suoi operai”
Che cos’è la poesia?
“Io dico solo questo: è una forma di speleologia, va dentro l’animo umano e cerca di portare in superficie quello che trova”.
Un po’ come quando ci si lascia incantare dai borghi e dalla genuinità della provincia?
“Le rispondo con quanto ho scritto in alcune pagine del mio libro intitolato Ogni borgo è un poeta. La provincia non è solo una strada provinciale. A volte la si sceglie solo per raggiungere un luogo e osservare un paesaggio. Altre per visitare il paese della domenica: un miscuglio di fettuccine e silenzio. Però c’è anche una pronuncia magica. Quella dei dialetti, della campagna, quello della compagnia, degli anziani, dei bambini che si ritrovano nell’allegria. Prima era una fuga, adesso è un ritorno. Quasi che per conoscere e riconoscersi abbiamo bisogno degli angoli e delle periferie delle Madonie. Una calamita che ha una potente forza di attrazione. Perché con i suoi difetti e con i suoi respiri alternati, è il luogo ideale per vivere e per narrare le storie. C’è una geografia fatta di borghi e di strade e una geografia altrettanto solida, composta di silenzi. Perché la provincia è ascolto: lo si fa senza intermediari e in quel manipolo di case passano i brividi del cambiamento. Qui e solo qui nascono i dettagli. Gli sguardi che impostano le parole, le carezze che odorano di premura. Qui si ha la sensazione che non ci siano più i confini e la territorialità che li contiene. La provincia è l’universale dove le emozioni si preparano a diventare sentimenti capaci di apparecchiare le giornate, passando da abito mentale a dimensione dell’anima. E allora, gli alberi, le case, la terra ritornano a essere i capitoli non ancora raccontati. Capitoli che cercano nella narrazione la loro piccola patria. E ancora: Il borgo è un avamposto dove tutti gli abitanti parlano la stessa lingua, sentono la stessa primavera che tu hai visto e fai memoria. Un avamposto di relazioni. Un sentiero dove al centro c’è l’uomo della vita. Ci vuole una nuova visione, una nuova filosofia che faccia dei borghi una “borgosofia”. Questo libro è un decalogo. E’ di moda oggi parlare dei borghi. Ma ogni borgo è poesia, è tutta la comunità che è poesia. Ognuno nel borgo si sente un capitolo di un libro e tu sei ciò che nel silenzio non tace, sei la parola del borgo”.
Per chi volesse contattarla per organizzare un incontro con lei, a scuola, o in altri posti, per parlare di poesia, di letteratura e di comunità, come dovrebbe fare?
“Chiunque voglia condividere queste ragioni di senso, mi può contattare direttamente: spalancate le porte, non abbiate timore dei poeti e della poesia. E se da un lato dico spalancate le porte, dall’altro lato sarebbe stupido nascondere il mio numero di telefono”.
Il recapito telefonico di Giuliano Belloni e della Missione Omero è: 3927465705”