Poesie a memoria? “I nostri studenti posseggono circa 700 parole, non le capirebbero. Facciamo adottare loro 30 parole al mese”

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“Cari professori e cari dirigenti non imponete la poesia a memoria, sappiatela donare. La bellezza non si impara per legge o con il registro in mano, cercate di mandare a memoria il mondo in cui siamo. La poesia è quando incontriamo qualcuno a cui lasciare la chiave del mondo e la finestra da cui lo guardiamo”. Giuliano Belloni prende posizione in merito alla proposta del ministro dell’Istruzione di fare imparare a memoria le poesie agli scolari, proprio come si faceva una volta. Quando gli chiediamo che cos’è per lui la poesia, lui risponde che “è qualcosa che se la metti accanto al cielo non sfigura”.

Giuliano Belloni, artefice della Missione Omero un movimento che vuole “contaminare gli ambiti della vita” con progetti territoriali. “Per me – spiega Belloni, 70 anni, di Palombara Sabina in provincia di Roma, una laurea in filosofia – è diventato una vera e propria missione. Incontrare gli studenti nelle scuole facendo prevenzione con l’Iliade e l’Odissea, che non è altro che l’arte di apprendere ad essere uomini”. Belloni è il primo poeta (ma lui si definisce bracciante della parola, quasi a voler rimarcare l’orgoglio delle proprie origini contadine) adottato da un Comune, quello di Segni, sempre in provincia di Roma, addirittura con una delibera del Consiglio comunale. Belloni non crede nelle sale conferenza per incontrare la gente. “La rivoluzione di Omero – precisa – è che più che attendere nelle biblioteche noi andiamo dove vive di solito l’uomo e consegniamo all’uomo la parola distribuendola porta a porta”.

Dallo scorso anno ad ora ho incontrato oltre 12.000 studenti nelle scuole di Reggio Calabria, Crotone, Vallo, Pescara, Vasto, Tivoli, Roma, Rieti, Palombara Sabina, Milano, Lodi, Macchiagodena, Roccaraso, San Polo, Marcellina, Firenze, e tante altre ancora. E disponibile ad andare dove lo chiamano, nelle scuole e in tutti gli altri posti. Va nelle scuole, e non solo nelle scuole, accompagnato da un peluche, Omero detto l’Alighiero. “Ma non ha ali di piume – racconta lui – bensì un libro per volare e i ragazzi capiscono subito che per viaggiare basta prendere un libro. Quando ci fu l’uccisione di Giulia Cecchettin io ero a Milano in una classe quarta della scuola primaria dell’Istituto Massa. Abbiamo condiviso, assieme ai ragazzi questa storia dolorosa, poi ho chiesto loro: secondo voi l’omicida quanti libri avrà letto? Tutti hanno risposto in coro: Nemmeno uno. E io: Avete visto come i libri salvano la vita? Quando vado nelle scuole, io cerco di educare i ragazzi all’affettività e uso la poesia che definisco servizievole ma non è la poesia dei grandi, di Dante o Petrarca. La poesia servizievole è quella che cerca di stanare le ombre con un piccolo percorso di luce”. Il percorso con Belloni è stato bellissimo. I bambini si perdevano nelle sue parole. Non finivano più di fargli domande — spiegava all’epoca, al Corriere , Milena Piscozzo, dirigente scolastica dell’Istituto Massa— Lui ha la grande capacità di rendere fruibili a tutti poesie con tematiche importanti. A volte si pensa che si debba ‘ridurre’ la realtà per farla capire ai bambini e invece non va ridotta, va resa accessibile. Ho fortemente voluto che questo progetto si svolgesse nelle ore curricolari: è stata una iniezione di vitalità e di entusiasmo”.

Belloni si era avvicinato alla poesia ai tempi del liceo classico e poi l’università si accorse che la letteratura apparteneva a una cultura del passato e “leggendo i poeti li immaginavo come delle persone già morte. Allora mi sono ripromesso di parlare di ciò che è vivo”. Così, quarant’anni orsono andava cercando i nomi dei poeti sugli elenchi del telefono della Sip e li trovava pure e poi li contattava. “Io desideravo conoscere per forza i poeti contemporanei”, ci aveva spiegato in una precedente intervista. “Mi dicevo: possibile che non esistano? E parlo come dice lei di quarant’anni anni orsono, erano in vita. Allora come stratagemma mi misi a cercare i loro nomi negli elenchi della Sip. E così, Luciano Erba, abita a… Mario Luzi abita a… Alla fine della ricerca sono poi andato a cercarli. Ho conosciuto Erba, Luzi, Fiore, Zanzotto, Parronchi e altri. Ora sono monumenti della poesia italiana. Sono andato a bottega da loro, volevo imparare da loro come si scrivesse. Frequentavo e frequento anche Milo De Angelis, Eraldo Affinati, Erri De Luca”. Certo non ha atteso che i poeti andassero da lui: “Io insegno ai ragazzi che i treni della vita passano, però bisogna andare in stazione a prenderli, non passano sotto casa, occorre attivarsi”.

Oggi Giuliano Belloni riflette assieme a noi in merito proposta del ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, di reintrodurre a scuola la pratica di imparare a memoria le poesie: “Ci riallacciamo al metodo antico della poesia a memoria? Io dico no. – risponde Belloni – Io voglio che la poesia venga riconsiderata nella sua forma specifica di conoscenza. quando imparano la poesia a memoria vedono che non gli appartiene, non c’è il discorso di conoscere. Loro vogliono vedere che il poeta esiste, che è vivente, vedono che la poesia è magia, è sguardo, è parola.

Giuliano Belloni, che cosa pensa della proposta del ministro dell’Istruzione di fare imparare a memoria ai bambini le poesie, come una volta?

“Io pensavo fosse una provocazione da parte del ministro tra chi produce poesia e chi ne usufruisce per animare un dibattito sulla necessità della poesia. Riducendo la poesia a un esercizio di memoria mi pare non si faccia un servizio buono alla poesia.

Una volta si faceva così, sembra si voglia dire

“Ecco, quando si dice noi lo facevamo voi no, ecco perché le cose vanno male, mi pare si faccia un discorso minimalista. Se io amo la poesia non è perché la so a memoria. Io ho odiato I promessi sposi, a scuola, se invece i professori ci avessero non imposto ma trasmesso l’entusiasmo e il fatto che la poesia è una forma di scoperta della bellezza sicuramente avremmo avuto un approccio più funzionale alla letteratura altrimenti ci allontana molto dal vedere la poesia come qualcosa di naturale che ci appartiene. Inoltre i ragazzi non capirebbero.

Perché?

“Se consideriamo che i nostri ragazzi nelle scuole sono proprietari più o meno di settecento vocaboli, proporre loro un esercizio di memoria non rispetterebbe il modello di vita che loro stanno vivendo. Non capirebbero. Costringendoli a imparare la poesia a memoria li si allontanerebbe definitivamente dalla consapevolezza che comprendere la poesia è conoscenza di sé, dell’altro e dell’assoluto. Viviamo un mutamento antropologico, c’è in atto un mutamento di sistema e le coordinate per ritrovare l’identità dell’uomo non sono queste”.

Non si arriverebbe dunque all’obiettivo?

“C’è una incoerenza di fondo: tutti quanti noi durante il giorno siamo connessi con i nostri smartphone ma poi pretendiamo che i nostri ragazzi imparino a memoria delle poesie e a me sembrerebbe una schizofrenia didattica. Consideriamo per un attimo l’inizio della Bibbia dove si dice In principio era il Verbo. Il Verbo chiama, invoca una relazione, ora invece l’algoritmo fa essere connessi ma disconnessi dalla vita. La poesia quindi è la richiesta di un nuovo umanesimo. Si dice che siamo stati generati dal Bing Bang. Se gli scienziati ogni tanto lasciassero posto ai poeti e la radiazione cosmica passasse dal Big Bang al Big Song sarebbe fantastico. Vogliamo cambiare il mondo? Allora cominciamo a cantare, intonati dalla prima parola e così parteciperemo alla ricreazione del mondo”.

Lei vorrebbe puntare sulla favola più che sulla poesia. E’ così?

“Sì, è così. Chiediamoci: perché siamo arrivati alla proposta di Valditara? Io penso che sia un falso problema. Nell’educazione dei nostri ragazzi ormai manca il gioco, che è un atto creativo, e la favola. Eraclito diceva che il destino dell’uomo è il bambino che gioca. E’ possibile capire il mondo con le favole? Il desiderio di giocare è la voglia di risorgere continuamente perché il bambino gioca il gioco del mondo. La domanda è Noi sappiamo giocare? Se entriamo in una stanza di un ragazzo vediamo dei peluche. Che cos’è la camera di un ragazzo? E’ lo spazio dell’infanzia, metafisico e non temporale. Benjamin, il più grande filosofo dell’infanzia, diceva Quando incontro un ragazzo riesco a vedere dalla porta socchiusa del suo cuore Natale. Quando si finisce di essere ragazzi? Mai. Perché l’infanzia non è un’età persa, è una forma di vita a venire. Con la commissione Omero alterno Pinocchio a Omero. La favola di Pinocchio – che porto con me nel condividere i loro sogni e le loro speranze – ci dice che quel pezzo di legno proprio attraverso gli errori ci fa conquistare il diritto di essere uomini. L’umanità è la capacità di sbagliare, è la capacità di apprendere dall’errore commesso, è un modo per non diventare burattini. Adoro il Pinocchio di Benigni dove dopo aver scolpito il legno Geppetto mette la testa sul petto per ascoltare il battito del cuore, dentro quell’apparente materia c’è un cuore che batte. La realtà quindi va ascoltata”.

Dunque?

“Dunque voglio proporre il valore didattico delle favole nelle scuole. Non si raccontano più”.

Che cos’è la favola?

“Aiuta ad aprirsi e a impegnare la nostra immaginazione. La vita moderna amputa l’uomo di tante sue prerogative”.

La vita è una favola?

“No, non è una favola e ogni ragazzo lo sa. Ma la fiaba ha in sé la distinzione tra il mondo delle cose vere e il mondo delle cose che si possono immaginare. La favola porta in sé la speranza, le idee che concepisci nelle cose possibili, non nelle cose vere. La fiaba è il mondo del possibile dove individuiamo l’utopia, il sogno e la speranza”.

Allude alla scuola dell’infanzia e alla primaria?

“Io direi anche oltre. La fiaba insegna a gestire le proprie emozioni”.

Torniamo alla poesia

“La poesia non è una tavola pitagorica e non è un esercizio di memoria, è ben altro”

Che cos’è, dunque, la poesia?

“E’ qualcosa che se la metti accanto al cielo non sfigura”.

Secondo lei la poesia è ancora apprezzata?

“La gente vuol sentire qualcosa di diverso rispetto a delle formalità che non portano nulla. In Commissione Omero arrivano ragazzi che vogliono conoscere la parte più intima di loro stessi. Alcuni si emozionano, altri piangono. Tempo fa ragazzi e ragazzi di un liceo mi hanno avvicinato e hanno chiesto Ti possiamo abbracciare?”

Che cosa voleva dire secondo lei quella richiesta di abbraccio?

“Era un atto di resa che significa: sei riuscito a entrare con le parole nei nostri cuori. E noi non riusciamo a trovare parole che possano colmare il nostro disagio di vivere. Attraverso l’abbraccio noi siamo certi di poter adeguare il nostro disagio attraverso un contatto di tepore. Io non prometto loro di risolvere i loro problemi, non ne sarei capace e questo compito non tocca a me. Però io prometto loro di dare il mio cuore alle loro ansie, alle loro paure, ai loro desideri di esser presunti nella vita, tanto è vero che io non dico: facciamo l’evento ma in questi incontri inizia un percorso di vita”.

Dunque… invece che imparare la poesia a memoria, che si fa?

“Invece che imparare la poesia a memoria io vorrei metter anche un’altra proposta: perché a scadenza messile non cerchiamo di adottare ogni mese trenta parole nuove, così alla fine dell’anno avremo circa trecento parole nuove da far fiorire con trecento nuove idee? Quindi la mia non è solo una critica ma anche una proposta: riportiamo le favole nelle scuole e cerchiamo di adottare trenta parole nuove. Invece di riproporre l’idea di ripetere poesie dove non è in gioco nemmeno l‘entusiasmo sarebbe bello proporre questo percorso ai ragazzi di accrescere il loro bagaglio di parole con trenta nuovi termini al mese per arrivare a un massimo di duecentosettanta parole nuove all’anno. Se io conosco solo settecento parole non riuscirò a fare un discorso decente”

E’ questo il problema dei nostri ragazzi?

“I ragazzi sono sentimentalmente analfabeti. Prima c’era un ricorso ai miti. Se volevano sapere cosa fosse la filosofia, la poesia, la religione, la geografia o la storia, gli antichi si rifugiavano nei miti. Ora i miti non esistono più e dove andiamo a recuperare questi grandi funzioni di ispirazione? Solo attraverso i loro libri e la lettura e quindi bisogna proporre vocaboli nuovi ogni mese, serve leggere libri, perché ogni parola è sinonimo di nascita di nuove idee di libertà: non sono le idee che creano le parole: sono le parole che fanno nascere le idee. Ripetere le poesie a memoria sarebbe un inutile esercizio. Non capirebbero le parole. Occorre riportare le favole nelle scuole e adottare nuove parole attraverso la lettura dei libri. Quindi meno smartphone e più letteratura in classe. Questo fa sì che accrescano il loro vocabolario e le nuove parole partoriranno nuove idee, nuovi sentimenti. Gli alunni bisogno di essere educati a rapportarsi con sé stessi e gli altri”.

Lei quando si è avvicinato alla poesia per la prima volta?

“Da quando frequentavo il liceo classico e poi l’università mi sono accorto che la letteratura apparteneva a una cultura del passato e leggendo i poeti li immaginavo come delle persone già morte. Allora mi sono ripromesso di parlare di ciò che è vivo”.

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