Più che un algoritmo, sembra un gioco dell’oca. Lettera

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Inviata da Francesco Pungitore – Caro Direttore, vorrei raccontarle la mia piccola odissea moderna, che ha come protagonista un algoritmo che, a detta di molti, dovrebbe essere imparziale, efficiente e, perché no, anche giusto. Ma a quanto pare, la giustizia, quando passa per le linee di codice, diventa piuttosto… creativa.

Ebbene, come ogni anno, noi precari dell’insegnamento siamo stati chiamati a fare le nostre “scelte” per l’assegnazione delle sedi. Una parola grossa, “scelte”, quando in realtà il verbo corretto sarebbe “sperare”. E sperare, per noi, significa compilare una lista infinita di preferenze. La mia, ad esempio, contava più di 100 opzioni, perché la prudenza, si sa, non è mai troppa. E così, attendo fiducioso il primo giro di giostra dell’algoritmo. Il verdetto? Mi assegna la mia… 114ma preferenza. Sì, avete letto bene. Non la prima, quella che è andata a un altro collega con qualche punto in più, ma la centoquattordicesima: una scuola a 50 chilometri da casa. Più che un algoritmo, sembra un gioco dell’oca dove, anziché andare avanti, finisci su “torna al via e riparti”.

E qui inizia il teatro dell’assurdo. Dopo aver accettato l’assegnazione e aver preso servizio, vengo a sapere che il collega che aveva ottenuto la mia prima scelta ha rinunciato. Il secondo giro di algoritmo assegna, quindi, il posto a un docente che, ironia della sorte, ha meno punti di me. Sì, meno punti. Come è possibile? Semplice: io, essendo già in servizio, non posso fare nulla. Non mi è concesso rientrare in gioco, altrimenti rischio di perdere anche il poco che ho.

E così, mentre faccio ogni giorno decine di chilometri, mi chiedo: possibile che un sistema creato per ottimizzare e rendere giustizia finisca per calpestare la dignità di chi, come me e tantissimi altri, si fa in quattro per tenere in piedi una scuola che spesso pare crollare da tutte le parti? Possibile che non si riesca a trovare un metodo più “umano” per rispettare le scelte, i diritti, e soprattutto la dignità di chi vive costantemente nel limbo della precarietà?

Resto fiducioso, certo, ma con un pizzico di amarezza in più. Dopotutto, se il destino di un insegnante precario è nelle mani di un algoritmo, almeno possiamo augurarci che, al prossimo giro, la “macchina” impari un po’ di umanità.

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