Permessi 104/92, quando non sono necessarie dichiarazioni degli altri familiari
Il personale docente e ATA, com’è noto, può fruire di 3 giorni di permesso mensile per assistere un familiare disabile in situazione di gravità, ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 104/92 e successive modificazioni.
Vediamo in questa scheda, alla luce delle modifiche apportate alla legge n. 104/92 dall’articolo 24 delle legge n. 183/2000, cosa si intende con “referente unico” e cosa si deve fare (o meno) in presenza di altri familiari potenziali fruitori dei 3 giorni.
Referente unico
La succitata legge non prevede più, ai fini della fruizione dei tre giorni di permesso, i requisiti della continuità e dell’esclusività dell’assistenza.
La legge, invece, ha stabilito che il diritto alla fruizione dei permessi “non può essere riconosciuto a più di un lavoratore dipendente per l’assistenza alla stessa persona con handicap in situazione di gravità.”
L’esclusività dell’assistenza è, dunque, limitata al fatto che i permessi possono essere concessi, per la medesima persona disabile grave, ad un solo lavoratore. Conseguentemente, una volta autorizzata la fruizione del permesso, nessun altro lavoratore può farne richiesta e ottenerne la concessione, almeno sino a quando il primo lavoratore non ne abbia cessato la fruizione e fornito apposita comunicazione.
No dichiarazioni di altri familiari
La legge n. 104/92, novellata dalla legge n. 183/2010 e dal D.lgs. 119/2011, non prevede che, per fruire dei 3 giorni di permesso al mese, l’interessato debba produrre, insieme alla richiesta, le dichiarazioni degli altri familiari relative all’impossibilità ad assistere il disabile.
Pertanto, se a richiedere il permesso è un affine di primo grado (es. la nuora che assiste la suocera), questi non deve dimostrare che eventuali altri parenti (es. di primo grado) non possano assistere il disabile.
Parenti o affini entro il terzo grado
Nel caso in cui i permessi siano fruiti da un lavoratore parente o affine entro il terzo grado, questi deve dichiarare soltanto che il coniuge e/o i genitori della persona con handicap grave abbiano compiuto i 65 anni di età o siano affetti da patologie invalidanti, siano deceduti o mancanti (ossia le condizioni che permettono l’assistenza ai predetti soggetti – parenti e affini entro il terzo grado).
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