Perché studiare greco classico e latino? A colloquio con Gaetano De Bernardis [INTERVISTA]

I benefici dell’apprendimento del greco classico e del latino sono molteplici, ancora oggi e, forse, più di quanto lo fossero quando la tecnologia non avesse invaso e condizionato la lingua e il modo di esprimersi. Alcune persone studiano latino o greco solo per pochi anni, con un obiettivo pragmatico specifico in mente, La conoscenza delle lingue classiche aiuta gli studenti a raggiungere obiettivi di grande rilevanza e spessore culturale, umano e professionale. Nascondere una verità di questo tipo vuol dire non considerarne la grande importanza che le lingue classiche hanno sempre avuto e continuano ad avere nella nostra lingua.
Una profonda comprensione della lingua italiana
Lo studio del greco e del latino fornisce una profonda comprensione della lingua italiana e non solo di quella. Questo studio, con gli alti e bassi delle mode del momento, pone una base incomparabile per l’apprendimento di tutte le lingue e ci allena anche nella capacità di pensare ed esprimerci chiaramente. Informa e migliora la nostra intera vita, la lettura e la scrittura e, allo stesso tempo, trasforma la nostra capacità di comprendere chiaramente ciò che gli altri dicono e scrivono. Ciò che noi siamo.
I classici e il significato della vita e della morte, dell’onore, della nobiltà, della purezza, della bellezza, della lotta per l’immortalità, e la ricerca di Dio
Lo studio del greco e del latino è stato per secoli la base di un’eccellente educazione nel mondo occidentale. La letteratura che gli studenti hanno potuto studiare grazie al greco e al latino, e che è sopravvissuta per migliaia di anni grazie all’importanza che ha avuto, sempre, e che sempre le hanno attribuito, ha scandagliato le profondità di ciò che significa essere veramente umani: il significato della vita e della morte, dell’onore, della nobiltà, della purezza, della bellezza, della lotta per l’immortalità, e la ricerca di Dio. La conoscenza degli autori classici permette anche di apprezzare la letteratura italiana e mondiale, di ieri e di oggi.
L’intervista al prof. Gaetano De Bernardis: “Lo studio del latino conferisce spessore storico e critico allo studio dell’italiano”
Cosa serve, ancora e maggiormente, per far continuare a vivere l’amore verso queste lingue classiche che in tanta parte di noi e della nostra cultura continuano a vivere, talvolta, nell’indifferenza di chi sarebbe preposto a salvare i processi formativi ed educativi della scuola italiana? Lo abbiamo chiesto al prof. Gaetano De Bernardis, autore di una molteplicità di grammatiche latine, di testi di letteratura latina, classici, sui quali abbiamo studiato e continuano a studiare i nostri studenti. Gaetano De Bernardis è docente di italiano e latino, ha insegnato nei licei italiani e in particolar modo per ben 36 anni al liceo scientifico statale Ernesto Basile di Palermo. A partire dal ‘74 collabora con la casa editrice Palumbo, con la quale ha pubblicato: diverse grammatiche latine, una storia della letteratura latina, i classici di Roma antica. Sta preparando un nuovo corso di latino, che in qualche modo intende rinnovare il tradizionale metodo di studio del latino. Ha pubblicato con la casa editrice Le Monnier una fortunatissima grammatica italiana per la scuola media dal titolo “Il libro di italiano”. Ha pubblicato anche con la casa editrice La Scuola di Torino e quest’anno è uscito per i tipi della casa editrice Zanichelli un suo nuovo libro-laboratorio di Latino per il triennio dei licei. Si occupa di questioni concernenti la didattica dell’italiano e del latino. Ha all’attivo numerose conferenze e relazioni sulla lingua italiana nelle Università italiane ed anche all’estero (in Polonia). Per 10 anni è stato docente di latino presso la SISSIS (scuola di specializzazione post-universitaria). È socio del Centro Nazionale di studi pirandelliani e presidente della giuria che ogni anno assegna i premi ai migliori lavori presentati dai ragazzi al convegno pirandelliano.
Perché studiare latino e perché studiare greco?
«Premesso che studiare il passato è fondamentale per comprendere il presente e per progettare il futuro, per noi italiani studiare il latino e il greco è imprescindibile, se vogliamo prendere coscienza di ciò che siamo e perché lo siamo. Qualcuno potrebbe dire: siccome viviamo in una realtà sostanzialmente globale, questi studi non ci servono più e invece, a mio parere, è proprio il contrario. Infatti, io penso che, se vogliamo costruire un mondo davvero globalizzato, ciascun popolo deve concorrere a tale costruzione, portando il proprio patrimonio di civiltà. Inoltre, il latino risulta anche fondamentale per arrivare ad uno studio serio e approfondito della nostra bella lingua. È quasi scontato affermare che l’italiano deriva dal latino. Io direi di più. Lo studio del latino conferisce spessore storico e critico allo studio dell’italiano. Purtroppo, devo ricordare che il latino, a partire dalla ricostruzione postfascista, è stato oggetto di polemiche e di continui tentativi di eliminarlo dal curriculum scolastico. Ricordo appena il caso della polemica fra Antonio Banfi e Concetto Marchesi , tutta a sinistra, in cui il primo, imbevuto di cultura tecnologica, sosteneva l’eliminazione del latino in quanto superfluo, mentre il secondo, non a caso grande latinista, sosteneva la necessità di continuare a studiare la lingua di Roma antica. Per non parlare dei seminari sullo stesso tema organizzati alla fine degli anni ’60 nella Facoltà di Lettere di Palermo. Il fatto è che dietro queste polemiche ci sono due idee diverse di scuola: da un lato, infatti, si crede che la scuola debba essere propedeutica al lavoro, trasferendo a tutto il sistema educativo gli obiettivi delle scuole tecniche e professionali (in tal senso si spiega l’alternanza scuola lavoro voluta dal Governo Renzi qualche anno fa); dall’altro, si ritiene che la scuola debba essere essenzialmente un luogo per la cultura, dedito alla formazione della persona, demandando la professionalizzazione a cicli di studio successivi. Insomma, posso dire che da quando ho cominciato ad insegnare latino, la parola d’ordine stata “eliminiamo il latino”. Certamente non uno stimolo per chi ogni giorno con fatica e difficoltà insegna questa lingua e la cultura che in essa si è espressa, il cui apprendimento viene costantemente delegittimato proprio da chi dovrebbe sostenerne lo studio.»
La familiarità con le culture antiche promuove la tolleranza e la comprensione di altre nazioni e di stili di vita diversi dai nostri. È possibile che il latino e il greco siano talmente potenti e diano così tanti stimoli nel processo di formazione degli uomini e, principalmente, dei cittadini?
«Allora, qui il discorso si allarga dallo studio prevalentemente linguistico a quello culturale che coinvolge la storia politica, la letteratura, la filosofia, la storia dell’arte, l’antropologia culturale e devo dire che lo studio, se è fatto bene, del mondo romano ci consente di entrare in contatto con ciò che è diacronicamente diverso da noi e che col suo enorme patrimonio culturale ci orienta verso la comprensione di ciò che noi siamo. Qui però si innesta la questione relativa al modo in cui si studia il latino a volte nelle nostre aule scolastiche. Spesso ci si preoccupa soltanto di pervenire alla traduzione di un testo prescindendo totalmente dalla sua comprensione; non si definisce il contesto nel quale esso si inscrive, non si fa riferimento adeguato all’autore del testo in questione. Insomma, alla fine viene fuori una traduzione in puro “versionese” che si presenta spesso orribile sul piano linguistico e che soprattutto non riesce a trasmettere i contenuti del testo a coloro che si sforzano di farne la traduzione, per non parlare del contesto che resta assolutamente fuori dall’analisi del testo.»
È vero che il Greco e Latino e forniscono una solida base per l’acquisizione di altre lingue e siano utili in numerose nomenclature scientifiche?
«Certamente lo studio del greco, e soprattutto del latino favorisce l’acquisizione di una solida base per lo studio di altre lingue. Basta un solo esempio: lo studio della lingua di Roma antica risulta particolarmente utile per l’apprendimento del tedesco. Basti pensare alla nozione di declinazione che è presente nelle due lingue ,mentre è del tutto o quasi assente nello studio dell’italiano e anche dell’inglese. Se poi ci orientiamo verso lo studio di discipline scientifiche e soprattutto della medicina, allora ci rendiamo subito conto che la maggior parte del lessico del linguaggio settoriale di medicina è di provenienza greco-latina e quindi chi conosce le due lingue è avvantaggiato quando intraprende lo studio di anatomia o di patologia.»
Come insegnare oggi il latino?
«Ecco questa è una domanda molto importante, perché non sempre lo studio del latino risulta efficace e interessante. Io penso che in primo luogo bisogna cercare di coinvolgere i ragazzi motivandoli adeguatamente. Penso anche che la motivazione debba essere forte nel docente perchè essa, come il coraggio di manzoniana memoria, se uno non ce l’ha, non se la può dare. Ma non basta. Per quanto concerne la lingua, essa andrebbe studiata da una prospettiva rigorosamente storica. Il latino, come tutte le lingue ha avuto una lunga storia e si è trasformato sia nel tempo sia nello spazio. Per essere più chiari il latino di Cicerone non è affatto il latino di Tacito e il latino usato nella città di Roma non è lo stesso che si adoperava nell’Africa romana. Purtroppo a volte non riusciamo a fare i conti con il fenomeno del ciceronianismo che ha decretato il linguaggio dell’Arpinate un modello di latino perfetto da imitare e da studiare. Questo fenomeno ha favorito la nascita di uno studio grammaticale estremamente normativo ancorato a Cicerone per cui , in base al principio dell’ipse dixit, sempre deleterio, è stata fissata come “regola” la scelta grammaticale di Cicerone ed “eccezione” tutto ciò che non è ciceroniano. Ma ci pensate quanto tempo si risparmierebbe nello studio della III declinazione se si partisse da basi storiche e non esclusivamente normative e ciceroniane? Salterebbero tutte le eccezioni e si parlerebbe esclusivamente di oscillazioni a livello morfologico. Per quanto concerne lo studio della cultura e del mondo latino, io penso che bisognerebbe collocare lo straordinario patrimonio letterario e artistico di Roma antica dentro il contesto storico in cui esso è nato. In definitiva lo studio della letteratura dovrebbe essere ancorato a tutto il resto dell’attività intellettuale e collocato all’interno dei diversi contesti storici. Altrimenti il rischio è di fare di tutta l’erba un fascio e di non capire ad esempio perché Catullo e Orazio sono due grandi poeti, ma profondamente diversi. Un ultimo suggerimento mi permetterei di aggiungere: quando si traduce un testo, occorre cercare il più possibile di contestualizzarlo per non perdere l’occasione di far cogliere ai ragazzi lo spessore e la cifra complessiva di ciò che stanno traducendo.»
C’è un metodo per appassionare i ragazzi e permettere loro di amare la lingua latina?
«In questo campo molti esperimenti sono stati fatti in un passato lontano e recente. Si sono tentate molte strade e scorciatoie, sperando nel miracolo, ma con scarsi risultati. Ad esempio, anni fa si tentato di proporre il latino a fumetti, pensando che attraverso il canale “fumetto”, in genere gradito ai ragazzi, potesse essere veicolato un apprendimento coinvolgente. Ma non è stato così. Più recentemente Orberg ha tentato di rivoluzionare lo studio del latino col suo “metodo naturale”, che si fonda sul principio discutibile che consiste principalmente nel riprodurre le condizioni normali e prevedibili in cui una persona che sconosce del tutto il latino si troverebbe se fosse circondata solo da antichi Romani. Non è difficile prendere atto della stranezza di questo metodo, che prescinde quasi totalmente da un accurato studio grammaticale, come se ci si trovasse di fronte ad una lingua parlata. Assai discutibile inoltre puntare, come fa Orberg, sulla somiglianza lessicale fra parole latine e termini italiani che spesso invece può pregiudicare una traduzione corretta. Io ritendo che il metodo migliore per appassionare i ragazzi sia quello di giocare con il lessico e con le strutture sintattiche della lingua latina e di quella italiana. Dirò di più: assai intrigante può risultare il confronto a livello lessicale, morfologico e sintattico fra il latino, l’italiano e il dialetto, perché, per esperienza personale so bene che, proponendo alla lavagna (adesso alla Lim o al PC) confronti ragionati fra le tre lingue, i ragazzi si appassionano enormemente.»
C’è un aneddoto legato al latino e alla scuola che, più di altri, ha segnato la sua storia professionale?
«Mi piace citare due elementi essenziali per la mia storia professionale. Da un lato, la presenza forte di un maestro di latino e di filologia classica, ma anche di vita, come Giusto Monaco a cui devo l’acquisizione del metodo storico e che mi ha introdotto a 27 anni nel mondo dell’editoria; dall’altro, un episodio accaduto in classe tantissimi anni fa (credo alla fine degli anni ‘70). Un episodio che riguarda l’italiano più che il latino, ma che mi ha dato la forza di continuare sempre più determinato nell’insegnamento delle mie discipline: un giorno stavo per iniziare le mie lezioni su Alessandro Manzoni, un autore per altro che io amo tantissimo. Proprio all’inizio, un alunno , obiettivamente fra i più bravi, forse memore di quanto malamente appreso su Don Lisander nel corso del biennio e della lettura dei Promessi Sposi, chiede di parlare e mi dice di non voler studiare l’opera del Manzoni perché non lo ama affatto. Io gli chiedo di avere un po’ di pazienza , di ascoltare le mie lezioni e di demandare la sua valutazione definitiva a dopo la conclusione del mio ciclo di lezioni. Probabilmente per non sembrare assai sbarbato, accetta la proposta. Così do inizio al ciclo di lezioni e una mattina leggo e commento in classe il famoso coro dell’Adelchi dedicato ad Ermengarda. Alla fine della lezione, egli mi interrompe per dirmi testualmente “Ma davvero grande è Manzoni! Aveva ragione lei”. Ecco io credo che questo aneddoto, per me molto gratificante, che ancor oggi amo raccontare dopo oltre 40 anni, dimostri che, se si insegna con passione e competenza, si coinvolgono i ragazzi e tale coinvolgimento non deve essere esclusivamente di tipo intellettuale, ma deve includere anche, e direi soprattutto, la loro sensibilità, i loro sentimenti. Viceversa, dimostra anche che un insegnamento privo di passione, e forse anche di competenza, può allontanare i ragazzi dalla cultura con danni incalcolabili.»
Docente, scrittore e ricercatore: cosa ha caratterizzato di più la sua vita?
«In termini di tempo devo dire che quello dedicato alla docenza e quello destinato alla pubblicazione di testi per la scuola sostanzialmente coincidono. Anzi devo ammettere che il secondo ormai ha superato il primo, dal momento che sono già in pensione e che, invece, continuo a pubblicare libri con l’intento di contribuire a rinnovare metodi e contenuti dell’insegnamento delle discipline umanistiche nella scuola. Per altro i due campi, quello del docente e quello dell’autore di testi per la scuola, di fatto sono stati del tutto complementari e si sono amalgamati benissimo; infatti nei libri ho trasmesso i miei convincimenti di docente impegnato nella scuola e nella prassi didattica quotidiana ho adoperato tutto ciò che intanto andavo elaborando nei miei libri sia sul piano metodologico sia su quello dei contenuti.»
Un messaggio ai suoi colleghi che insegnano latino…
«Un messaggio da rivolgere ai miei colleghi, impegnati in prima linea nello studio del latino, non può prescindere dall’invito ad amare il proprio compito di insegnate e le materie che si insegnano. Solo così si diventa credibili nei confronti dei ragazzi, i quali immediatamente comprendono se un docente crede fortemente in quello che fa. Inoltre è fondamentale accendere l’entusiasmo nei giovani, veicolando i contenuti in maniera da coinvolgerli a 360°, intellettualmente, emotivamente e sentimentalmente così che i contenuti “escano dal libro per diventare vita”. Così la scuola assolve al suo compito primario di agenzia formativa.»