Perché gli Italiani non sono bravi in matematica? “Scarsa propensione alla fatica degli studenti e molti pregiudizi. Bisognerebbe bocciare alla Primaria non alle superiori”. INTERVISTA al Prof Daniele Gouthier

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A scuola si boccia, gli apprendimenti in matematica sono scarsi ma occorrerebbe fare una cosa diversa da quella che si fa: “occorrerebbe bocciare in prima primaria, non in quinta superiore”. Daniele Gouthier, matematico, formatore e autore di libri, fa il punto con noi sui motivi che condizionano in negativo l’apprendimento della matematica: “scarsa propensione alla fatica da parte degli studenti, ma anche responsabilità delle famiglie che non educano i figli all’autonomia personale quotidiana, indispensabile – secondo Gouthier – per l’apprendimento della materia, pregiudizi sociali contro una disciplina che non sarebbe secondo molti alla portata di tutti, insegnanti della primaria e della secondaria di primo grado, secondo lui, per formazione non sempre all’altezza del compito anche se occorre essere molto grati per il lavoro che svolgono

La matematica è in tutto il mondo la disciplina che si insegna per tutto il percorso scolastico”, dice Gouthier, che è anche insegnante al Master in Comunicazione della Scienza della Sissa di Trieste. “Da qui una domanda: Perché tutta l’umanità partecipa a questo gioco? La risposta ci serve per superare i limiti dei nostri sensi. Che sono fallaci. Abbiamo bisogno di astrarre, di sganciarci dalla realtà per capire in un modo più completo e condivisibile”. E cosa vuol dire fare matematica? “Vuol dire astrarre, le astrazioni servono per imparare, per acquisire una forma mentale. L’astrazione è qualcosa a chi dobbiamo abituarci piano piano”. Ma “astrarre non è naturale, vuol dire muoversi su un terreno che non è di tutti i giorni e per farlo abbiamo bisogno di essere autonomi. Il motivo per il quale ho scritto un libro rivolto a genitori e insegnanti è che abbiamo un fronte di attrito tra scuola e famiglia, non è un matrimonio felice e le responsabilità non sono di un solo coniuge”. Così esordisce Gouthier davanti a un pubblico di genitori e insegnanti accorsi l’altra sera nell’aula magna della Scuola media Ferraris di Modena per la presentazione del suo libro intitolato “Matematica fuori dalle regole”, ed. Feltrinelli.

“Cosa si può fare per rendere la matematica più coinvolgente e meno difficile per i nostri figli?, gli chiede Eleonora Cannella, presidentessa del Comitato genitori delle Ferraris, promotore dell’incontro pubblico. “Uno dei momenti di fatica – risponde Gouthier – è proprio sulla matematica poiché la disciplina è vittima di pregiudizi forti che tutti noi portiamo ai nostri figli e studenti e ne ostacolandone l’apprendimento. Una cosa davvero importante che i genitori possono fare è fare in modo che i ragazzi possano essere autonomi. Per avere un’autonomia nel calcolo serve avere delle persone che hanno avuto autonomia nel farsi lo zaino e nel prepararsi i libri. Questo è importante poiché ci sono due modi per apprendere: andare da lui e mettergli la maglia e aggiustare il colletto oppure lasciare che si vesta da solo ed esca con il colletto storto però sapendo che lo ha fatto da solo. Se non abbiamo autonomia in queste cose non possiamo ottenere in seguito autonomia nelle astrazioni”. E i prof? E la scuola? “Quello a cui assisto negli ultimi decenni è che la scuola è stata sovraccaricata da più richieste. I libri degli anni ‘80 erano diversi, le richieste sono aumentate a dismisura e non è che all’epoca fosse peggio imparata. Molto spesso a scuola si fanno delle corse dietro ai contenuti e non ci si ferma a vedere le cose con gli occhi del calcolo, del gioco, della discussione, c’è molta velocità e molte richieste. E questo non è formativo. È più significativo soffermarsi sullo stesso contenuto e confrontarsi sui diversi modi di riflessione da parte degli interlocutori. Spesso siamo molto ansiosi nella matematica, questo ci dicono i dati. Inoltre la nostra scuola è capace di far laureare molte persone in matematica e questo è positivo e invece siamo scarsi quando andiamo a verificare i dati sugli apprendimenti e ci accorgiamo che molte persone sono molto ignoranti in matematica e questo è molto grave perché dobbiamo confrontarci sempre più con problemi sociali, economici e ambientali per capire i quali è fondamentale avere una mentalità matematica. Non averla significa che ci saranno dei cittadini a metà”. Consigli ai genitori, dunque? “Il mio consiglio – conclude Gouthier – è difficile da ascoltare ma io dico che bisogna lasciare i bambini molto autonomi, i compiti son compiti loro. Non sta a noi calcolare l’area dei triangoli”. E cosa possiamo fare invece? “Ci sono delle attività importanti come i giochi da tavolo, i giochi didattici, la dama, gli scacchi che hanno dietro di sé della matematica e non è importante capire quale matematica sia. E la letteratura. Per capire la matematica occorre avere letto tanti racconti e romanzi”. Il perché lo capiremo dall’intervista.

La matematica crea ansia, come pure abbiamo riportato in un’altra intervista. E la matematica, si sa – questo si legge nella quarta di copertina del suo libro – è materia difficile e, come si dice spesso, o la ami o la odi. Daniele Gouthier smentisce questa cattiva fama, offrendo a insegnanti e genitori buone ragioni e ottimi strumenti per alimentare l’interesse dei ragazzi e farli appassionare alla matematica, fino a trasformarla nella loro materia preferita. L’impresa sembra impossibile se non si conoscono le chiavi più efficaci per aiutare chi inciampa o per rispondere alle esigenze dei più curiosi. Per favorire l’apprendimento della matematica è necessario andare al cuore delle possibilità offerte dalla materia e saperle veicolare ai ragazzi conducendoli fuori dal labirinto angusto delle regole e delle procedure, per portarli a cogliere il senso profondo della matematica e le sue infinite potenzialità e applicazioni.

Professor Daniele Gouthier, se gli apprendimenti a scuola in fatto di matematica non sono un disastro, poco ci manca. Perché siamo arrivati a tanto?

“Il disastro c’è anche dopo. Le persone ritengono che sia estranea alla loro vita. Vede, il diritto non è estraneo alla mia vita, e anche se non l’ho studiato ugualmente cerco di capire cosa sia un Parlamento o una legge, non dico non lo capirà mai. Invece con la matematica ci sono difficoltà negli adulti anche a fare una percentuale o a sommare due frazioni. Quanti suoi colleghi sanno fare una media matematica? Così come io matematico devo avere idea di come usare un congiuntivo, la stessa cosa con succede per la matematica”.

Un primo indizio sulle cause

“Ci manca una riflessione su quelli che sono gli insegnanti di matematica. C’è spesso una carente preparazione. Alla scuola primaria e alle medie viene insegnata da persone che hanno una preparazione specifica debole. Dobbiamo essere assolutamente grati a loro, perché devono fare una cosa per la quale non sono preparati”.

Questo però è sempre stato un tabù

“E’ un tabù ma lo si deve dire. Se io dovessi insegnare e spiegare cos’è una cellula cosa potrei dire se non delle cose superficiali? Invece questa cosa va detta perché dobbiamo trovare un modo per supportare queste persone. Si consideri che in Italia mancano 40.000 laureati in matematica e, di questi, 4.000 mancano nella scuola. Eppure ogni anno se ne formano solo mille”.

Un bel dislivello

“Un bel dislivello, certo. E occorrerebbe fare una valutazione politica. Servirebbe l’aiuto del ministero e, tra gli altri, quello degli industriali”.

In che senso?

“Nel senso che c’è bisogno di valorizzare le competenze matematiche delle persone che lavorano. Siamo capaci di certificare la sicurezza sul lavoro o la lingua, o la preparazione informatica, ma sulla matematica brancoliamo nel vuoto. Avremmo bisogno di valorizzare le persone che hanno queste competenze, che non si acquisiscono solo con l’università ma anche in tanti altri modi. Tutto questo non esiste e, insisto, servirebbe una riflessione da parte dello Stato. Una riflessione che non c’è”.

Tornando a scuola, dato che il numero dei laureati in discipline matematiche è carente, dal suo punto di vista i problemi si limitano alla scuola primaria e alla secondaria di primo grado?

“Anche alle superiori avremo docenti con formazione decrescente in matematica, sarà sempre difficile avere a scuola docenti laureati in matematica, ma anche sull’insegnamento delle scienze in generale”.

Però guardando i libri di testo si nota una crescente produzione di contenuti e di calcoli da far studiare agli alunni. Le lavagne sono ogni giorno piene di formule, numeri, lettere, espressioni.

“Si continua a essere intrappolati nell’idea che aggiungere contenuti sia un miglioramento”.

E non è così?

“No. Avremmo bisogno di soffermarci sull’idea fondamentale che la matematica ci insegna a fare delle scelte e ci educa al pensiero razionale ma dobbiamo studiarla guardando al contenuto non solo con il calcolo ma anche con la discussione, con l’argomentazione, con la soluzione di problemi, con la manualità. Se si costruiscono delle macchine semplici questo aiuta molto il pensiero. Anche gli origami vanno bene, il coding va benissimo poiché imparo tante coordinate e mi aiuta a imparare a capire le funzioni. Noi abbiamo bisogno di un insegnamento della matematica con meno contenuti ma visti da ottiche diverse. Anche perché se continuiamo a lavorare con il calcolo e con le lavagnate quello che succede è che selezioniamo persone che hanno quella intelligenza lì, cioè quella computazionale, ma lasciamo indietro gli altri. Quella computazionale non è l’unica intelligenza matematica e se abbiamo uno studente che è bravo invece con le rappresentazioni visuali, che sono importantissime, se noi non lavoriamo mai con questo tipo di intelligenze che sono considerate di serie B, questo diventa un impoverimento per tutti. Poi c’è un fronte legato alla famiglia e alla società”.

Cioè?

“Ci sono moltissime leggende sulla matematica e sul fatto che le persone siano o portate naturalmente o negate naturalmente per la matematica”.

E non è così?

“Ciascuno di noi ha sensibilità e intelligenze diverse, però non c’è nulla di biologico che mi dimostri che non sei in grado di capire il teorema di Ruffini. E invece molti genitori dicono all’insegnante: mio figlio non ce la fa, la matematica non è per lui, dunque perché non gli dà 6? Questo atteggiamento contribuisce alla convinzione, nei bambini, di non essere adeguati e li blocca. Occorre che le famiglie si fidino di più della scuola. Se uno mi dicesse: sali sull’Everest è chiaro che non ce la farei, ma magari su una collinetta sì”.

Altro che collinette. Guardando ai programmi e agli esiti degli scrutini, i docenti non pare si accontentino delle collinette.

“E invece occorre andare in profondità ma con meno contenuti”

Lei nel suo libro parla di leggerezza e di lentezza come ingredienti essenziali nell’insegnamento della matematica.

“Serve leggerezza, occorre rallentare, specie alla primaria. Tutto l’apprendimento è lento all’inizio. E però, se si rallentasse, arriverebbero le proteste dei genitori che dicono: nell’altra sezione sono già ai polinomi. E invece sarebbe meglio fermarsi magari sulle frazioni. Siamo molto disarmati su molte cose e questo è grave. La società nella sua generalità non ha ancora capito che molte questioni democratiche e di cittadinanza passano attraverso un minimo di comprensione matematica e scientifica. Se io non sono in grado di cogliere taluni aspetti matematici poi non capisco le decisioni che sono state prese. Durante la pandemia si parlava di distanziamento di 4 metri quadrati ma questo non vuol dire nulla, il distanziamento non si misura in metri quadrati. Eppure abbiamo riempito pagine di giornali di contenuti che non avevano significato. Se pensa alle importanti questioni politiche, la matematica è decisiva. Anche sul fare il ponte sullo Stretto, prima di farmi un’opinione devo fare un bilancio ambientale, un bilancio economico, devo parlare di rischi, e questi sono tutti elementi matematici. Se non so leggere un grafico come faccio a sapere se quel ponte sarà utile o meno? Certo non so stimare i rischi sismici ma se li ho capiti ci salto fuori. Come faccio a sostenere una politica costruttiva o decidere se vaccinare o meno un figlio se non so se un quinto è maggiore o minore di un mezzo”

Ecco, appunto. Non sarebbe meglio insistere meno su limiti e derivate e trattare meglio e con più lentezza percentuali e frazioni?

“Certamente. In matematica abbiamo da un lato i calcoli, a cui viene data tanta importanza e dall’altra la soluzione dei problemi a cui viene data minore importanza. Ancora minore importanza viene data alla comprensione delle idee matematiche: quando studiamo filosofia, l’idea di giustizia, quella di etica e altre idee questa cosa si fa, invece in matematica tutto questo è sconosciuto. A me serve molto di più che le persone conoscano le idee di fondo della matematica. Posso avere idea di cosa fosse un Mozart o un Bach anche se non suono e questo contribuisce alla cultura musicale. A noi manca la cultura matematica e questo non ci consente di stare davanti alle questioni di cittadinanza con un po’ di consapevolezza. Penso al diritto: so alcune cose di come è impostata la nostra Costituzione e questo mi consente di capire molte altre perché ho in mano degli strumenti di diritto, ma in matematica no”.

La matematica dev’essere anche divertente?

“No, non dev’essere divertente. Alcuni, certo, si divertono, ma non è obbligatorio per tutti. Per divertirsi serve consapevolezza. In matematica a scuola, semmai, dobbiamo creare le condizioni di benessere. Se io mi sento a disagio la mia mente si chiude, nessuno impara se si sente dire che è stupido. E purtroppo molte persone si sentono imbecilli davanti alla matematica. E dovremmo fare in modo che questo non succeda”.

Come?

“Valorizzando i punti di forza. Non bisogna avere la dittatura del risultato pensando che l’indicatore di una cosa sia il risultato corretto: non è il risultato che conta. Potrei arrivare a una soluzione e nello stesso tempo non aver capito quel che ho fatto: è meglio capire cosa si sta facendo, anche se per distrazione o altro la soluzione sarà errata. E’ più importante che io abbia capito il senso di quel che ho fatto. Sbagliare un calcolo perché sono stato distratto è una cosa correggibile ma non grave, ma se sommo numeratori e denominatori questa è una cosa diversa, grave. Gli insegnanti dovrebbero cominciare a lavorare sugli errori”.

Spesso si dà un 2 nell’illusione che possa fare da stimolo. Ma quanto incide in realtà sugli alunni una valutazione sempre negativa?

“Se continui a prendere 3 ti convinci che sei stupido anche perché nello stesso tempo si mettono su un palmo di mano gli studenti che invece prendono voti alti. In realtà chi prende un voto alto magari ha l’abitudine a un certo pensiero ma questo non significa che è più intelligente e allora occorre smontare l’equazione bravo e intelligente”.

Stando così le cose e prendendo atto della difficoltà di molti studenti, serve bocciare?

“Questa è una domanda molto importante. Io credo di aver capito che per l’evoluzione e crescita delle persone sia più facile cambiare e quindi migliorare nell’apprendimento da piccoli e quindi io credo che la cosa ideale sarebbe l’opposto di quel che si fa ora”.

Cioè?

“Sarebbe preferibile bocciare in prima primaria e meno in quinta superiore. Se viene fermata all’inizio, una persona ha tempo di colmare delle lacune, se invece viene fermata successivamente quelle lacune se le porterà avanti e inficeranno il suo percorso. Inoltre se prendiamo dei bambini della primaria ci accorgiamo che in una stessa classe ci sono fasi evolutive diverse. Ci sono bambini che avrebbero acora bisogno di giocare-giocare-giocare. Il gioco è uno dei momenti importanti per consolidare l’apprendimento. In prima ci sono bambini che non sanno allacciarsi le scarpe. Dovremmo regalare del tempo a crescere. Bocciare è dare del tempo. Se ci soffermiamo e ci prendiamo del tempo da piccoli va bene. Occorrerebbe lasciare del tempo, le decisioni naturalmente spettano alle famiglie e agli insegnanti che danno i consigli più idonei, però prendersi del tempo per poter sedimentare le cose sarebbe importante”.

Torniamo a un aspetto della matematica citato prima. Lei diceva che ci sono dei pregiudizi sulla matematica basati sulla convinzione che alcuni non sono portati per questa materia. Ma, insisto, la matematica, almeno quella ad alti livelli, imposta a tutti gli studenti, è onestamente davvero alla portata di tutti?

“La risposta onesta non la conosco. Si possono capire lei idee, questo senz’altro. Faccio un esempio: quando guidiamo una macchina, comprendere che l’accelerazione cambia la velocità è un concetto che tutti possono comprendere. Altra cosa è capire le tecniche del calcolo e allora qui posso capire che ci possono essere delle difficoltà che però vengono causate dal fatto che non diamo spazio a un insegnamento che presenta le idee matematiche scollegate dalla tecnica di calcolo. E’ come se noi dovessimo insegnare come funziona il motore e pretendessimo che si sappia cambiare la cinghia di distribuzione di quel motore: in realtà posso capire come funziona quel motore anche senza fare il meccanico. Allo stesso modo, posso studiare il diritto delle imprese agricole senza lavorare necessariamente in agricoltura. E posso capire la musica che ascolto anche senza sapere scrivere un sonetto”.

E in matematica questo non si fa. E così?

“In matematica questo non succede. Dovremmo invece dare spazio alle idee matematiche in una certa misura anche scollegate alla tecnica del calcolo. Se io guardo il David di Donatello riesco benissimo a capire che tipo di scultura è e anche a capire che non è un Modigliani, anche senza avere imparato gli aspetti tecnici della scultura. Occorrerebbe studiare la storia del numero zero, la storia dei numeri e delle geometrie. Anche la lettura di pagine divulgative potrebbe aiutare. Vorrebbe dire che nelle ore di matematica si prende un saggio e lo si legge e lo si studia: lo facciamo con la storia della letteratura, perché non con la storia della scienza? Se lei chiede a un suo collega di collocare nel tempo un matematico sarà in grande difficoltà. Sarebbe interessante sapere ad esempio che la trigonometria è napoleonica, che è nata in Francia nell’800 e serviva per stabilire la traiettoria dei proiettili per colpire i nemici e non le proprie truppe. E noi invece insegniamo queste cose come se fossero asettiche, come se non c’entrassero con gli uomini. E’ un insegnamento che cancella molte dimensioni storiche della realtà”.

Meglio queste cose che le lavagnate di cui sopra?

“Meglio certamente queste cose che le paginate di polinomi. Se prende un libro di testo francese si accorgerà che le espressioni presenti sono un ventesimo rispetto a quello che si legge nei nostri libri”.

E questo è meglio?

“L’eccesso di calcolo da noi non funziona. Alla fine non produciamo dei ragazzi che fanno bene quei calcoli lì”.

Riprendo il tema tabù sfiorato all’inizio dell’intervista: se ci fosse un’abbondanza di docenti laureati in matematica tutto si risolverebbe?

“No, l’insegnante è un elemento. Non credo che andando in Cina a prendere dei laureati in matematica risolveremmo il problema e questo perché in ogni caso ci inseriamo in un contesto in cui la matematica non è considerata come importante”

Perché ha sentito la necessità di scrivere questo libro?

“Perché mi sembrava che non ci fosse un testo che facesse comunicare insegnanti e famiglie, entrambi vittime di pregiudizi e di una una visione distorta della matematica. Di meno gli insegnanti, di più le famiglie e bisogna superare tutto questo perché è un fattore culturale non tecnico”.

Come fare?

“In famiglia cercando di lavorare sui giochi, sulla lettura e sull’autonomia e soprattutto non interferendo con l’autostima dei bambini”.

Quando si interferisce, secondo lei?

“Quando io dico a un figlio: Io la matematica non l’ho mai capita e dunque neppure tu la capirai. Quando dico: applica questa procedura, invece che facilitare il suo pensiero autonomo”.

Lei è convinto che la comprensione della matematica passi per una necessaria autonomia personale quotidiana acquista fin da bambini. E’ così?

“L’autonomia è una cosa che più ne ho più ne voglio, autonomia è prendersi dei rischi, la strada deve essere attraversata. Noi facciamo matematica quando lavoriamo in autonomia. Se i genitori fanno questo aiutano tantissimo i loro bambini e ragazzi. Non devono invadere lo spazio dei bambini, non devono fare i compiti con i bambini. Quando le famiglie affiancano nei compiti fanno dei danni perché che non ne hanno la preparazione. Servirebbe un’alleanza comune per progredire tutti insieme. Peraltro non tutti i genitori hanno tempo, abbiamo genitori in carcere o che lavorano fino a tardi o che non sono attrezzati sul piano culturale. E’ facile farlo quando i genitori sono medici o avvocati, tanto per dire. Per me la scuola o dà la possibilità di trovarvi un ascensore sociale, fornendo delle opportunità a chi non le aveva, altrimenti è la legge del più forte culturalmente e socialmente. Ma a quel punto non mi serve la scuola. L’autonomia matematica è più difficile per delle persone che non sono autonome nella vita quotidiana. Lavarsi i denti da soli, allacciarsi le scarpe è fondamentale per l’acquisizione della matematica. Per avere un’autonomia nel calcolo serve avere delle persone che hanno avuto autonomia nel farsi lo zaino e nel prepararsi i libri. Questo è importante poiché ci sono due modi per apprendere: andare da lui e mettergli la maglia e aggiustare il colletto oppure lasciare che si vesta da solo ed esca con il colletto storto, però lo ha fatto da solo. Se non abbiamo autonomia in questo non possiamo ottenere in seguito autonomia nelle astrazioni”.

Lei scrive pure che esiste un legame preciso tra il successo nella comprensione della matematica e la buona abitudine a leggere romanzi e racconti. Qual è il legame tra la matematica e la letteratura?

“Quando leggiamo un racconto o Anna Karenina o vediamo un film, noi collaboriamo con l’autore a costruire la storia. Racconto un aneddoto. Vent’anni orsono in famiglia si leggeva Harry Potter. Un giorno andammo al cinema a vedere Harry Potter 5 e alla fine ci furono tante critiche, in un crescendo di rabbia e con un lungo elenco di cose che secondo i miei figli erano state trasposte malissimo: e poi nel libro il professore ha una voce diversa, disse mia figlia. La voce. Ecco, questo è il migliore elogio per la lettura: ognuno la condisce con la propria immaginazione. Quando facciamo matematica e pensiamo a un numero con tanti zeri, per affrontare questa cosa dobbiamo fare degli esperimenti basati sulle immaginazioni. Se io non ho fatto esperienza di racconto anche reale come penso di fare esperienza sui polinomi? Il collegamento è dunque sull’immaginazione. In matematica io devo vedere le cose astratte, devo vedere una forma geometrica, devo vedere com’è l’andamento di una funzione e per far fare questo è importante che io l’abbia esercitato su una cosa concreta e la palestra migliore è la letteratura. Quando io leggo un romanzo sto esercitando la mia immaginazione, popolo quel romanzo di visioni ed emozioni mie, sento come si sente quel personaggio, l’autore non mi ha detto che cosa mangi ma ugualmente io lo immagino e tutta questa immaginazione che io metto in campo è una palestra per l’immaginazione astratta tipica della matematica. Se mettiamo dentro delle esperienze positive il nostro cervello si plasma in un altro modo”.

Torniamo al problema degli apprendimenti: sono una novità o ci sono sempre stati?

“È cambiata la scuola. Quando andavo a scuola io, non tutti andavano a scuola. I problemi sono gli stessi da molto tempo, oggi però c’è qualche problema diverso legato alla bassa propensione alla fatica e anche a una scarsa propensione alla frustrazione. Sarebbe importante che a scuola i bambini avessero fin da subito delle frustrazionie non avessero sempre delle soddisfazioni. L’idea che le frustrazioni siano rimandate più avanti paralizza. E quindi dovremmo essere un po’ più rilassati e tranquilli verso le cadute. Se queste ultime avvengono a scuola gli alunni sono protetti. Le frustrazioni sono importanti e la scuola è il posto giusto dove avere frustrazioni e fallimenti, altrimenti ci sarà il giorno in cui entri nel mondo vero e all’improvviso queste cose ti cadono addosso. Se non ho mai avuto delle frustrazioni succede che quando arrivano sono distruttive. E poi, insisto, c’è una carente disponibilità a fare fatica: tutto quello che ho detto finora passa attraverso la disponibilità di fare fatica. Nessun pasto è gratis in matematica. Non posso capire al volo con un clic, devo scornarmi con il problema e fare tanto esercizio. Non bisogna avere fretta, come detto, e devo essere disponibili alla fatica. Su questa propensione a far fatica dobbiamo lavorare tutti insieme, genitori e insegnanti: meno pappa pronta”.

Che ruolo ha la nuova dimensione digitale nelle difficoltà di tanti alunni?

“La dimensione digitale c’entra. Ma c’entra pure un’altra cosa: soprattutto nelle famiglie strutturate, ma non solo in quelle, rubiamo il tempo ai bambini, che viene classificato con centomila attività tanto che loro non hanno più la possibilità di capire cosa piace loro o no, cosa fare o non fare. E se il mio tempo è stato deciso dagli altri, io non farò degli errori, non mi affaticherò per conquistare quel che mi interessa e che mi piace”.

Viva la noia?

“Sì, viva la noia. Russel diceva che il motore della creatività è la noia, se noi non ci annoiamo non capiamo ciò che ci appassiona e se i nostri figli hanno un’agenda molto scandita e il tempo è sempre dettato dagli adulti, quando si annoiano? Questo sarebbe importante: avere dei tempi morti”.

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