Perché chiudere le scuole secondarie? Lettera

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Inviato da Francesca Incardona – Caro Direttore, Le scrivo da imprenditrice e ricercatrice in virologia, da mamma, da cittadina.

Come imprenditrice e ricercatrice capisco che di fronte al virus si devono prendere misure importanti e dolorose per evitare il peggio. Capisco anche però che è molto importante che si prendano le misure giuste, quelle che massimizzano il risultato con il minimo della fatica per tutti: è fondamentale l’analisi costi-benefici. Per fare adeguatamente questa analisi servono i dati reali: in quali attività e in quali settori della popolazione ci si infetta e quanto. Una azione utile e giusta non può prescindere da questi dati, non può essere dettata dalla forza di contrattazione delle diverse corporazioni, che spesso non è rappresentativa neanche del vero costo sociale per le diverse parti. Purtroppo questi dati non sono ancora disponibili, almeno per noi cittadini. In attesa che l’ISS o il Ministero li pubblichino, cerchiamo i dati che ci sono.

Come mamma sono interessata alla questione scuola. L’ottimo lavoro del Network Bibliotecario Sanitario Toscano ( http://www.nbst.it/751-riapertura-scuole-rischio-trasmissione-covid-19-report-ecdc-indicazioni-iss.html#) offre un’ampia panoramica: da uno studio del Public Health England (PHE) nelle scuole materne e primarie inglesi dell’estate 2020, (sKIDs COVID-19 surveillance in school KIDs, Phase 1 Report 01 September 2020) è emerso che: 1) sono pochi i casi di infezione e gli eventi di trasmissione tra i 12.026 partecipanti in 131 scuole; 2) dove è stato identificato un caso positivo non vi sono stati ulteriori casi in famiglia, in classe o nel contesto educativo più ampio, quando testato; 3) la frequenza scolastica, il tempo trascorso a scuola o il livello di contatto tra il personale e gli studenti non erano significativamente associati a sieropositività sia negli studenti che nel personale.

Eurosurveillance pubblica a sua volta un report sui casi di Covid-19 in Germania dopo la riapertura delle scuole, su studenti tra i 6 e i 20 anni (Surveillance of COVID-19 school outbreaks, Germany, March to August 2020) in cui si mostra che, su 8.841 focolai di Covid-19 per un totale di 61.540 casi per i quali era possibile ricostruire il contesto di infezione, 48 (0,5%) di questi focolai si sono verificati nelle scuole e hanno incluso 216 casi (0,3%). Interessante è non solo che i casi nelle scuole sono pochi rispetto ai casi totali, ma anche che il numero di persone coinvolte per focolaio è minore (4,5 in media a scuola contro i 7 fuori) il che sembra indicare che la scuola accompagnata da misure igieniche e di distanziamento è un ambiente protettivo.

JAMA Pediatrics riporta il 25 settembre uno studio (Susceptibility to SARS-CoV-2 Infection Among Children and Adolescents Compared With Adults: A Systematic Review and Meta-analysis) che dà evidenza preliminare che bambini e adolescenti hanno una minore suscettibilità al virus SARS-CoV-2 rispetto agli adulti e che esistono prove, seppur deboli, che bambini e adolescenti svolgono un ruolo minore rispetto agli adulti nella trasmissione della SARS-CoV-2 a livello di popolazione.

Allora perché chiudere le scuole secondarie? Dato che le scuole secondarie sono state sostanzialmente chiuse dall’ultimo DPCM, diciamolo, inutile sperare che un 25% in presenza possa contrastare l’effetto del 75% di didattica a distanza (DAD) o didattica integrata come piamente si tenta di ribattezzarla. E la DAD non è scuola. Questo è già stato detto da molti e molto bene, non è necessario ribadirlo. Pure, un elemento di realtà può sempre essere utile: venerdì scorso alla riunione di classe il Prof. coordinatore era molto contento: la DAD a metà tempo che stavamo facendo (sì, è così, quella che è stata chiusa non era una scuola aperta ma, in moltissimi casi, una scuola aperta a metà) era molto più simile alla scuola vera che non alla DAD totale sperimentata da marzo a giugno, la classe rispondeva bene: “Una settimana di lezione frontale”, ha detto con entusiasmo, “vale più di due mesi di didattica a distanza!”.

Dunque, perché chiudere le scuole secondarie? Perché gli studenti affollano gli autobus? Ma gli autobus non sono le scuole, se il problema sono gli autobus bisogna risolvere il problema degli autobus, mettere più autobus e mandare gli studenti a scuola, magari in orari scaglionati. Perché gli studenti si affollano all’uscita da scuola? Ma il fuori scuola non è la scuola, se il problema sono gli assembramenti, bisogna evitare gli assembramenti, mettere più personale a controllare e mandare i ragazzi a scuola, magari in orari scaglionati.

Dunque, perché chiudere le scuole secondarie? Se il beneficio è piccolo, come sembrano dimostrare gli studi disponibili, il rapporto costo/beneficio può essere interessante solo se il costo è piccolissimo, minuscolo, quasi zero. Allora forse l’idea è questa, che il costo della chiusura delle scuole secondarie di secondo grado sia praticamente nullo: non bisogna pagare indennizzi a nessuno, non si perdono ore lavorative, non diminuiscono i consumi… Per le scuole primarie e dell’infanzia questo non è vero, perché almeno un genitore dovrebbe restare a casa a badare ai bimbi, così è senza pudore che si ammette che questo è il motivo per cui si tengono aperte: per mandare le mamme al lavoro. Per le scuole secondarie di primo grado non si sa, alcuni genitori resterebbero a casa, altri no, e così le scuole medie sono felicemente dimenticate dal decreto.

Ma quest’idea, che il costo della chiusura della scuola sia nullo a parte la ricaduta sul lavoro dei genitori, è un’idea stupida e pericolosa.

Il costo anche immediato in termini di salute psicofisica di intere generazioni non è ancora stato valutato appieno scientificamente, ma ci sono molte indicazioni. E’ lo stesso MinSal a riportare i risultati di uno studio dell’ospedale pediatrico Gaslini di Genova sull’impatto psicologico e comportamentale del lockdown nei bambini e negli adolescenti in Italia: “L’isolamento a casa durante l’emergenza da nuovo coronavirus ha causato l’insorgenza di problematiche comportamentali e sintomi di regressione nel 65% di bambini di età minore di 6 anni e nel 71% di quelli di età maggiore di 6 anni (fino a 18)… Tra i disturbi più frequentemente evidenziati vi sono: l’aumento dell’irritabilità, disturbi del sonno e disturbi d’ansia.”

Il Paediatrics and Child Health Journal in uno studio pubblicato a settembre 2020 (The indirect impact of COVID-19 on child health) fa osservare che tra i fattori che incidono sulla salute dei bambini in periodo COVID-19 c’è la perdita dell’effetto protettivo della scuola rispetto a maltrattamenti, abusi, negligenze. Inoltre stando lungo tempo a casa aumentano nei bambini e ragazzi i comportamenti non salutari, come quelli obesogeni e il lungo tempo davanti agli schermi. Riguardo agli aspetti psicologici, in assenza di dati di lungo periodo sul COVID-19 l’articolo riporta in analogia i dati relativi alla pandemia H1N1, dove un impressionante 30% dei bambini isolati o messi in quarantena negli Stati Uniti d’America ha sviluppato disturbo da stress post-traumatico e ricorda, ma non c’è bisogno di ricordarlo, che i traumi infantili possono avere effetti profondi e distruttivi che si manifestano in età più avanzata.

C’è poi il costo in termini di mancato apprendimento. Anche questo non è ancora stato valutato appieno ma uno studio della SIRD (https://www.sird.it/) “La scuola e la didattica a distanza nell’emergenza Covid-19. Primi esiti della ricerca nazionale …” cui hanno partecipato 16.084 insegnanti (circa il 2% degli insegnanti italiani) riporta che, secondo la stima dei partecipanti alla ricerca, un quarto degli studenti è stato raggiunto parzialmente (18%) o per nulla (8%) dall’insegnamento a distanza. Da più parti si è messo in evidenza l’effetto di aumento delle disuguaglianze prodotto dalla DAD. Infine, e soprattutto, il coro di voci come quella del nostro Prof. è forte e così pure quello dei ragazzi.

Dunque il costo della DAD è alto in termini di salute e di apprendimento. Ma salute e livello di apprendimento hanno un corrispettivo economico certo, non aleatorio, seppure spalmato nel tempo. Quindi non considerarli un costo per il sistema è stupido e pericoloso.

Come cittadina penso che sia importante per la tenuta del corpo sociale che non solo le scelte politiche siano basate sui dati ma anche che i dati e l’analisi costi-benefici siano resi pubblici. I disordini di questi giorni, spesso basati sul “Perché io devo chiudere e lui no?!” dimostrano che l’equità delle scelte e la sua comunicazione sono fondamentali. La Direttiva europea sugli Open Data entrata in vigore a luglio del 2019 da sola ce lo imporrebbe, ma è semplicemente il segno della moderna definizione di democrazia: la trasparenza sui dati è oggi una componente imprenscindibile della democrazia. Ovviamente i dati vanno saputi leggere per evitare le manipolazioni. Ad es. se un presidente di regione dice “Oggi ho avuto 1100 positivi, nelle scuole ci sono 500 casi, quindi per forza devo chiuderle”, è probabile che stia manipolando surrettiziamente i dati, dal momento che non c’è nessuna evidenza che i 500 casi si siano contagiati a scuola né è chiaro su quale periodo di tempo siano calcolati i casi scolastici, per poterli paragonare con la somma dei nuovi positivi giornalieri nello stesso lasso di tempo, non necessariamente con i positivi rilevati in un giorno solo. Per poter fare questo, per poter leggere i dati e non farsi manipolare, i cittadini devono essere preparati, devono aver studiato a scuola. La scuola, non ci si stanchi di ripeterlo, è una componente essenziale della democrazia. Così come la cultura in genere, inclusi cinema e teatro.

La mancanza di trasparenza sui dati e il semplicismo con cui si maltratta la scuola sono forse “solo” il frutto di incapacità ma rappresentano un grave vulnus democratico e un pericolo per il nostro Paese.

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