Per avere la Carta del docente i precari devono svolgere almeno 5 mesi di servizio l’anno: 2.000 euro alla supplente dal Tribunale di Padova. Anief: decisivi i pareri favorevoli della Corte Ue, Consiglio di Stato e Cassazione

“Non appare sussistere alcuna ragione obiettiva, nel significato elaborato dalla Corte di Giustizia, che giustifichi la mancata estensione ai docenti a termine della” carta del docente: lo scrive il giudice del lavoro di Padova nel decidere sul ricorso prodotto dai legali affiliati al sindacato Anief in difesa di una insegnante che ha svolto servizio “con contratti a tempo determinato negli anni scolastici 2019-2020, 2020-2021, 2021-2022, 2022-2023”.
Dopo avere esaminato la norma e i precedenti nelle aule di giustizia, il Tribunale veneto è giunto alla conclusione di condannare il Ministero al risarcimento della docente precaria dei 2.000 euro della Carta del docente non assegnati dalla stessa amministrazione nel corso delle supplenze annuali con scadenza 31 agosto e 30 giugno.
Dopo aver specificato che “le sentenze interpretative della CGUE, precisando il significato e la portata del diritto dell’Unione, hanno effetto retroattivo”, il giudice ha ricordato che la stessa Corte di Giustizia Europea “ha affermato che “la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che riserva al solo personale docente a tempo indeterminato del Ministero, e non al personale docente a tempo determinato di tale Ministero, il beneficio di un vantaggio finanziario dell’importo di EUR 500 all’anno, concesso al fine di sostenere la formazione continua dei docenti e di valorizzarne le competenze professionali, mediante una carta elettronica che può essere utilizzata per l’acquisto di libri e di testi, anche in formato digitale, di pubblicazioni e di riviste comunque utili all’aggiornamento professionale, per l’acquisto di hardware e software, per l’iscrizione a corsi per attività di aggiornamento e di qualificazione delle competenze professionali, a corsi di laurea, di laurea magistrale, specialistica o a ciclo unico, inerenti al profilo professionale, ovvero a corsi post lauream o a master universitari inerenti al profilo professionale, per rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l’ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo, ad altre attività di formazione e per l’acquisto di servizi di connettività al fine di assolvere l’obbligo di effettuare attività professionali a distanza” (Corte Giustizia UE, sez. VI, 18/05/2022, n.450)”.
Quindi, nella sentenza il giudice ha rammentato che pure “il Consiglio di Stato, nella pronuncia n. 1842 del 16.03.2022 ha ritenuto che la scelta ministeriale forgi un sistema di formazione “a doppia trazione”: quella dei docenti di ruolo, la cui formazione è obbligatoria, permanente e strutturale, e quindi sostenuta sotto il profilo economico con l’erogazione della Carta, e quella dei docenti non di ruolo, per i quali non vi sarebbe alcuna obbligatorietà e, dunque, alcun sostegno economico. In particolare, secondo il C.d.S., “un tale sistema collide coni precetti costituzionali degli artt. 3, 35 e 97 Cost., sia per la discriminazione che introduce a danno dei docenti non di ruolo”.
Sulla stessa lunghezza d’onda – ha osservato ancora il Tribunale di Padova – si è posta la Suprema Corte di Cassazione, in sede di rinvio pregiudiziale (Cass. n. 29961/23 cit.), laddove ritiene che “l’art. 1, co. 121 cit. è dunque in contrasto con il principio di parità di trattamento di cui all’art. 4, punto 1, dell’Accordo Quadro” ricordando che “ È stato del resto ripetutamente affermato che la clausola 4 dell’Accordo esclude in generale ed in termini non equivoci qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, sicché la stessa ha carattere incondizionato e può essere fatta valere dal singolo dinanzi al giudice nazionale, che ha l’obbligo di applicare il diritto dell’Unione e di tutelare i diritti che quest’ultimo attribuisce, disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno” (v. Cass. 28.11.2019 n. 31149, con richiamo a Corte di Giustizia 8 novembre 3011, Rosada Santana)”. E tale equiparazione, ha ancora osservato la Cassazione, sempre con la sentenza dell’autunno 2023, riguarda “il lavoratore a tempo determinato” che “è stato assunto a termine, nell’anno scolastico a cui si riferisce il beneficio richiesto”, con supplenza fino al termine delle lezioni, al 30 giugno o 31 agosto.
Sui “periodi più brevi” di supplenza comunque utili alla concessione della card annuale da 500 euro, il giudice ha spiegato che “la sentenza della Cassazione non ha enunciato uno specifico principio di diritto, trattandosi di questione estranea al giudizio a quo”: un “periodo sufficientemente lungo da garantire quella stabilità di rapporto che porti a presumere che della spesa in formazione fatta in favore del docente il Ministero possa trarre un vantaggio”, ha calcolato il giudice, “potrebbe essere individuata, seppur con una qualche approssimazione, dalla durata di almeno 5 mesi (150 giorni) di prestazione lavorativa nell’anno scolastico oggetto della domanda, pari all’entità minima della prestazione di un docente di ruolo part time ai sensi dell’art. 39 comma 4 CCNL e dell’art. 4.1 OM 55/1998 (cioè il 50% dell’orario di docenza dell’insegnante full time) a cui la normativa riconosce il bonus in misura piena”.
Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, nel commentare la sentenza emessa dal Tribunale di Padova ha fatto notare che “si sta riducendo sempre più riducendo i periodi minimi per richiedere la Carta del docente attraverso il ricorso gratuito patrocinato dall’Anief, al fine arrivare a farsi risarcire fino a 3.500 euro più gli interessi maturati. Del resto, la Corte di Cassazione, il Consiglio di Stato e la Corte di Giustizia Europea hanno inciso così profondamente sulla questione, spiegando in modo dettagliato i motivi della discriminazione che si sta attuando nei confronti dei precari con la negazione della card annuale per l’aggiornamento, che i tribunali non possono non tenerne conto”.