Pensioni, i nati negli anni 70 potranno lasciare col massimo contributivo solo a 72 anni e mezzo d’età. Anief: per chi lavora nella scuola è insostenibile

Un lavoratore nato negli anni Settanta se vuole raggiungere il massimo di contributi è destinato ad andare in pensione non prima dei 72 anni e mezzo di età, un ventenne anche a 75 anni: la proiezione è stata pubblicata oggi dal quotidiano Il Messaggero e ricalca le anticipazioni del sindacato Anief di 18 mesi fa realizzate attraverso il simulatore Inps “Pensami – Pensione a misura” messo a disposizione sul sito web dell’istituto di previdenza

Un lavoratore che ha oggi 25 anni e ha iniziato a lavorare da un anno potrà andare in pensione anticipata a settant’anni e a riposo per vecchiaia a 70 anni e sei mesi, sempre che abbia contributi di almeno 46 anni e 4 mesi. E se gli anni di contributi sono meno di 20 anni ma più di 5 l’attesa per la pensione di vecchiaia si prolungherà fino a 74 anni e 10 mesi.

“Per un insegnante tutto questo è insostenibile, perché tranne la scuola dell’infanzia non c’è nessun riconoscimento di lavoro gravoso, sebbene svolga la professione più a rischio burnout della pubblica amministrazione. Come pure andrebbe riconosciuto il rischio biologico dell’attività svolta a contatto con gli alunni, invece previsto per altre professionalità anche del comparto pubblico. La verità è che chi lavora a scuola svolge un lavoro usurante e la Commissione Lavori gravosi lo deve capire. Come chi governa il Paese deve comprendere che ai lavoratori della scuola deve essere concesso il riscatto gratuito degli anni universitari, come chiesto più volte dall’ex presidente dell’Inps Pasquale Tridico. Inoltre – spiega ancora Pacifico – bisognerebbe adottare gli stessi parametri di accesso al pensionamenti previsti per i dipendenti delle forze armate, in modo da lasciare il servizio a circa 62 anni e senza tagli all’assegno di quiescenza”.

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