Pensioni, addio quota 100, nel 2022 via da lavoro a 67 anni: cosa prevede la legge Fornero

Nel PNRR il governo ha deciso di abbandonare definitivamente la quota 100, il meccanismo di pensionamento anticipato introdotto dal governo Conte I nel 2019. La misura era valida per tre anni e consentiva l’uscita anticipata dal mondo del lavoro per chi vanta almeno 38 anni di contributi con un’età anagrafica minima di 62 anni.
Dal 1° gennaio 2022 verrà ripristinata la legge Fornero che prevede l’uscita da lavoro a 67 anni. Rimarranno in carica due sistemi già esistenti: l’Ape sociale e Opzione Donna. Il governo, comunque, prevede una Quota 102 con 64 anni di età e 38 anni di contributi di cui non più di 2 anni figurativi (esclusi dal computo maternità, servizio militare, riscatti volontari).
La pensione anticipata dovrebbe essere resa stabile con 42 anni e 10 mesi per gli uomini (1 anno in meno per e donne), svincolata dalla aspettativa di vita ed eliminando qualsiasi divieto di cumulo tra lavoro e pensione e prevedendo agevolazioni per le donne madri (ad esempio 8 mesi ogni figlio fino a massimo 24 mesi), per i caregiver (un anno) e per i precoci (maggiorando del 25% gli anni lavorati tra i 17 e i 19 anni di età).
Cosa prevede la Legge Fornero
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La Legge Fornero prende il nome dall’ex ministro Elsa Fornero e fa parte del decreto legge Salva Italia varato dal governo Monti nel 2011. Si tratta di una riforma che prevede un sistema di calcolo contributivo nella costruzione della pensione, anche per quei lavoratori che – stando a quanto stabiliva la riforma Dini del 1995 – erano già certi di poter lasciare il lavoro con il vecchio sistema retributivo.
Con la legge Fornero, la pensione è calcolata in base a quanto versato dal lavoratore e non agli ultimi stipendi percepiti.
Uno dei punti maggiormente contestati della riforma Fornero è il conseguente innalzamento dell’età pensionistica di uomini e donne. La legge, infatti, ha modificato anche i requisiti per la cosiddetta “pensione di vecchiaia”, ovvero quella calcolata in base all’età anagrafica: minimo 20 anni di contributi e 66 anni di età per donne con contratti nella pubblica amministrazione e per tutti gli uomini impegnati nel pubblico e nel privato; 62 anni per donne del settore privato, che diventano 66 anni e 3 mesi nel 2018; 63 anni e 6 mesi per donne lavoratrici autonome che diventano gradualmente 66 anni e 3 mesi nel 2018.
Cosa propongono i sindacati
I sindacati propongono un sistema flessibile: stendere le regole applicate a chi ha un sistema interamente contributivo a chi ha un regime misto, ovvero con il retributivo fino al 1995 e poi con il contributivo. Obiettivo consentire di lasciare il lavoro a 64 anni in caso di pensione maturata almeno 2,8 volte superiore all’assegno sociale, circa 1.288 euro al mese. Il passo successivo sarebbe poi abbassare questa soglia a 62 anni, riducendo inoltre il limite di accesso a 1,5 volte la pensione sociale. Difficile, però, che il governo accolga la richiesta delle forze sindacali.