Pedagogisti, professione difficile: “Accettano di essere declassati pur di lavorare”. Quale ruolo, quale funzione. Ne parliamo con Alessandro Bozzano [INTERVISTA]

WhatsApp
Telegram

Parte, oggi, presso l’aula magna dell’Università degli Studi IUSVE di Venezia, con inizio alle ore 15.00, l’Assemblea Nazionale dell’UNIPED, l’Unione Italiana Pedagogisti. Ad aprire i lavori il presidente nazionale prof. Alessandro Bozzato, cui seguiranno i saluti istituzionali della dott.ssa Chiara Sartori dell’Ufficio Scolastico Regionale per il Veneto e del prof. Enrico Miatto dell’Università Istituto Universitario Salesiano di Venezia. A presiedere il convegno il prof. Daniele Altieri Presidente UNIPED Regione Sardegna. L’assemblea sarà preceduta, come consuetudine da un importante convegno scientifico che vedrà relatori prof. Piero Crispiani dell’Università di Macerata e Link Campus di Roma che relazionerà su “Il Pedagogista e i servizi alla persona”; prof.ssa Tamara Zappaterra dell’Università di Ferrara che relazionerà su “Didattica blended e competenze digitali per la formazione. Il Corso di studi in “Formazione, Comunicazione e Cittadinanza digitale” (LM-93) dell’Università di Ferrara”; prof. Antonio Fundarò, redattore di OrizzonteScuola.it che relazionerà su “Empatia come strategia nella relazione educativa: l’insegnante a scuola”; e la prof.ssa Orietta Ciammetti Helsingin-Kaupunki che relazionerà su “La pedagogia della gioia– lo stile di vita finlandese”. L’importanza delle professioni educative – scrive Heffernan – si riflette nelle esigenze del lavoro: competenze specialistiche, forti capacità interpersonali, adattabilità e una mentalità di apprendimento. Ne conseguirebbe quindi che i pedagogisti sono apprezzati dalla società e le prove attuali supportano l’idea che lo sono davvero e compiutamente.

L’importanza dell’UNIPED

L’UNIPED è un’associazione che tutela e valorizza la figura professionale del Pedagogista e dell’Educatore professionale in tutti i loro ruoli e nei diversi servizi in cui trovano impiego: nel settore pubblico, nel settore privato e nell’attività libero-professionale. L’Associazione persegue le seguenti finalità:

  • Promuovere e tutelare la figura professionale del pedagogista e dell’educatore professionale socio-pedagogico elevando il profilo professionale, morale ed intellettuale degli associati;
  • Rappresentare gli associati nei confronti delle istituzioni e di tutte le parti sociali;
  • Gestire i registri professionali interni come da appositi registri professionali nazionali;
  • Promuovere e gestire attività culturali, gruppi di studio e approfondimento, convegni,
    manifestazioni, dibattiti, seminari, corsi di formazione;
  • Promuovere attività di pubblicizzazione editoriale e multimediale di libri, riviste, giornali, materiali, sussidi professionali e la loro commercializzazione;
  • Promuovere attività di collaborazione con altri enti pubblici e privati;
  • Promuovere il coordinamento e la consulenza degli enti associati.
  • Provvedere alla formazione ed all’aggiornamento professionale dei propri associati.

L’intervista ad Alessandro Bozzato, presidente dell’Unione Italiana Pedagogisti

Alessandro Bozzato è nato a Venezia ed è laureato in Pedagogia a Padova nel 1993. È presidente (ndr oggi, si vota il nuovo Consiglio Nazionale e il nuovo presidente che) dell’UnIPed, l’Unione Italiana Pedagogisti. Bozzato opera come professionista e come pedagogista nel settore sociale, in prevalenza con i minori. È specializzato nei disturbi specifici dell’apprendimento e svolge attività di terapia e potenziamento basate sulla teoria prassico motoria.

Affianca alla ricerca pedagogica lo studio del cinema e degli audiovisivi. Ha esperienze di insegnamento come professore a contratto di Istituzioni di Regia per l’Università di Bologna (dipartimento Beni culturali di Ravenna), come formatore per gli insegnanti delle primarie e delle secondarie nei temi dell’inclusione scolastica, dei disturbi dell’apprendimento e nell’uso degli audiovisivi. Si occupa degli screening per la rilevazione precoce dei disordini riferibili alla disprassia e alla dislessia. Tra le sue pubblicazioni i “Quaderni 1 – 2, pratiche per la clinica della dislessia” e “Gli screening diagnostici” con M. Spezzi e G. Santoni. Abbiamo chiesto a lui di rileggere la scuola che cambia.

Presidente, quale ritiene siano le maggiori sfide che i nuovi pedagogisti debbano affrontare oggi e ha qualche consiglio per superarle?

«I laureati in pedagogia e scienze dell’educazione sanno di aver scelto una carriera che li pone costantemente di fronte alla difficoltà della scelta: il pedagogista fatica a trovare un lavoro dove poter mettere in pratica quanto ha appreso e interiorizzato nel corso della propria formazione. Alcuni pedagogisti si “mettono in proprio” e tentano la strada del lavoro autonomo, ma la maggior parte accetta il declassamento, pur di lavorare: laureati con la specialistica affiancano a pari livello diplomati (e a volte “non diplomati”) nei settori del privato sociale, nelle cooperative, nei CEOD e nelle comunità.

Manca un riconoscimento fattuale del valore della figura professionale. UNIPED si batte anche per questo, per tutelare la figura e la professionalità dell’esperto educativo, impiegato nel suo campo. La sfida più importante, e anche più dura in questo momento, è riportare il ruolo e la funzione del sapere pedagogico nel suo ambito: va ridefinito il rapporto con gli altri operatori educativi (insegnanti, psicologi, istruttori, animatori…) differenziando e valorizzando il contributo specifico di ogni figura.»

Tutela della professione come tutela della comunità. In che senso professore?

«Il pedagogista si trova al centro di gravi decisioni ed è spesso portato a dover operare in assenza di tutele e di riconoscimento. Questo succede in vari ambiti professionali: negli enti locali, ad esempio, capita che ci siano pedagogisti con laurea magistrale che accettano di venire inquadrati con un profilo professionale “C”, cioè di non riconoscimento del titolo di studio, perché lavorano come “educatori di strada”. A titolo comparativo, il diploma di assistente sociale, ad esempio, prevede livello superiore, cioè “D”, già al momento dell’assunzione. Situazioni analoghe si verificano all’interno di realtà di privato sociale, nei tribunali, nelle scuole, eccetera. Nella scuola, in particolare, il pedagogista è considerato in modo altalenante: a volte si pensa al pedagogista come a una persona con una professionalità non ben definita, altre volte lo si ricerca esclusivamente per la soluzione di problemi legati a BES o DSA.

In una situazione di mancato riconoscimento professionale e sociale, è la comunità stessa che si trova ad essere privata di un punto di riferimento connotato per conoscenze specifiche e funzioni. Nei periodi di crisi, specialmente quelli degli ultimi tre anni, si è avuta chiara la percezione di una struttura sociale che girava a vuoto, alla ricerca di risposte educative che fossero le più sicure, le più efficaci, le più economiche, le più rapide, le più convenienti, e nel farlo ci si è rivolti ai soggetti più disparati: a psicologi, a sociologi, medici, giornalisti, opinionisti e anche a generali degli alpini. La valorizzazione delle specificità e delle competenze ha una ricaduta positiva sul corpo sociale, non sul singolo professionista. C’è davvero bisogno di un mutamento di prospettiva: si deve passare dall’idea della professione come azione del singolo a quella di funzione integrata all’interno di una comunità inclusiva. E questo cambiamento, va detto, è parte fondativa della pratica pedagogica.».

Quale il ruolo della pedagogia professionale in Italia?

«La pedagogia professionale, cioè il pedagogista che lavora in modo autonomo, resta il grande campo di lavoro che permette lo sviluppo sia in senso epistemologico che in termini di riconoscibilità funzionale; come ricorda Crispiani, l’epistemologia pedagogica si sviluppa nel modo delle professioni, e in effetti l’osservazione quotidiana lo conferma, sia dal punto di vista della prospettiva assiologica, che da quello della prospettiva evolutiva). Grazie al piccolo esercito di pedagogisti clinici, pedagogisti giuridici e consulenti pedagogici, in Italia si iniziano a riconoscere specifiche funzioni e competenze con peculiarità distintive e qualificanti.

Preciso che parlo sempre di lavoratori autonomi e mai di liberi professionisti, perché quella del Pedagogista è una professione “non ordinistica”, regolamentata dalla legge 4/2013. Si tratta cioè di una professione che non ha un albo né un ordine, e che viene tutelata direttamente da chi opera sul campo ovvero dalle associazioni professionali di pedagogisti. A ciò si associa il non riconoscimento della prestazione del pedagogista in ambito di sostegno alla famiglia: il supporto in caso di DSA, lavoro con spettro autistico, ADHD, valutazione funzionale, eccetera, non viene considerato come spesa deducibile. Nella pratica quotidiana, ricorrere al pedagogista per urgenze o necessità educative non gode della considerazione riservata, ad esempio, all’iscrizione a una squadra di calcio o alla frequenza in una palestra di fitness».

Ha qualche consiglio da condividere con aspiranti pedagogisti?

«La pratica unita alla teoria. Il pedagogista è una figura che mette al centro del suo agire il pensiero, quindi invito gli aspiranti pedagogisti a formarsi in modo serio e a seguire orientamenti diversificati. Però attenzione: il pensiero da solo non basta. Mi permetto quindi di suggerire a chi vuole avvicinarsi alla professione di iniziare a lavorare presto in qualunque contesto educativo. Affiancare dei tirocini solidi e delle esperienze di lavoro anche estemporanee ma intense.

L’educatore e il pedagogista sono a contatto con la loro “materia di studio”, che è materia viva, non inerte. Non esiste il pedagogista da laboratorio. Le esperienze a disposizione degli studenti sono molteplici: nelle colonie, nei soggiorni residenziali e nei centri estivi si lavora stagionalmente con i bambini; i diurni e i CEOD mettono a contatto con l’handicap; le comunità alloggio e le comunità terapeutiche consentono di entrare in contatto con il disagio; ci sono poi case di riposo, istituti, centri comprensivi. Chi volesse avvicinarsi al mondo dei disturbi dell’apprendimento può contattare le realtà pubbliche e private che fanno sostegno ai compiti, oppure qualche professionista con cui fare affiancamento e pratica operativa. Consiglio questo: entrate nel mondo reale prima della laurea, la laurea non è una patente di guida, potete iniziare a praticare (come apprendisti o come tirocinanti) ben prima di aver completato il corso di studi».

Che cosa ha imparato dall’esperienza della sua carriera che vorrebbe sapere se fosse nelle condizioni di ripartire da zero?

«Quello che suggerisco a tutti i nuovi colleghi: interessi differenziati e iniziare a lavorare sul campo prima della conclusione del corso di studi. Gli interessi differenziati permettono di confrontarsi con la molteplicità delle figure professionali che si incontrano, mentre avere una solida esperienza lavorativa consente di entrare nel mondo professionale con la consapevolezza dei propri diritti e della propria specificità professionale.»

WhatsApp
Telegram

Concorso PNRR novembre 2024: Quali novità dopo informativa MIM? Webinar Eurosofia 18 ottobre