ParlAutismo nelle scuole: “Alleanza con i docenti, e formazione ai curriculari. No alle aule sensoriali”. INTERVISTA all’associazione

In Italia, un bambino su 77 nella fascia 7-9 anni ha un disturbo dello spettro autistico, con un’incidenza maggiore nei maschi. A rivelarlo è l’Osservatorio Nazionale Autismo (OssNA).
Nel contesto scolastico, secondo l’ultimo rapporto ISTAT sull’inclusione degli alunni con disabilità, gli studenti con disturbi dello spettro autistico sono circa 107.000, pari al 32% del totale degli alunni con disabilità.
“La crescita dei numeri conferma la necessità di un sistema scolastico più inclusivo, soprattutto con dei docenti formati adeguatamente nella specificità dell’autismo”, dice Marina Giuliano, rispondendo ad un’intervista per Orizzonte Scuola.
Mamma di Simone, un bambino di 10 anni, con disturbo dello spettro autistico, Marina è anche volontaria dell’associazione nazionale ParlAutismo, la cui presidente è Tiziana Amato.
ParlAutismo è nata a Palermo circa 20 anni fa, a crearla è stata Rosi Pennino, mamma di Sara, e oggi assessora alle politiche socio-sanitarie del Comune di Palermo. L’associazione è affiliata alla FIA, la Federazione Italiana Autismo, il cui presidente è Davide Faraone, deputato nazionale, ma anche papà di Sara.
L’associazione ParlAutismo all’inizio di marzo e per il sedicesimo anno ha avviato una campagna di sensibilizzazione nelle scuole siciliane in vista della Giornata internazionale del 2 aprile. Un grande evento si festeggerà a Palermo, domenica 6 aprile al Teatro Politeama.
Marina, facendosi portavoce del gruppo di mamme di ParlAutismo, circa 600 le famiglie che ne fanno parte, critica la formazione di alcuni docenti di sostegno, spesso inadeguata, riscontrata in diversi contesti scolastici. Le abbiamo chiesto cosa serve alla scuola italiana.
Al tempo stesso l’associazione ha creato nel tempo delle forti alleanze con il personale scolastico, gli specialisti, le famiglie e i bambini ottenendo risultati importanti, nel segno di una sempre più accurata e adeguata formazione e inclusione nei contesti scolastici.
L’Ufficio Scolastico Regionale siciliano, quest’anno, ha invitato tutti gli Istituti del territorio ad aderire alla campagna di sensibilizzazione di ParlAutismo.
L’incontro scuola-famiglia
“Non esiste un genitore che non abbia mai avuto problemi a scuola – dice Marina al nostro giornale -, abbiamo spesso riscontrato anche un ostruzionismo da parte dei docenti. Noi però come genitori vogliamo fare rete, essendoci specializzati anche come dei veri caregiver nel prenderci cura dei nostri figli, e pagando a nostre spese la figura del terapista che interviene a scuola. Quello che diciamo al personale scolastico: dateci modo per nostro figlio, nostra figlia, di avere il suo sacrosanto diritto alla salute e allo studio. Se un docente non proprio formato tiene in classe un bambino che fa le stereotipie dicendo che dà fastidio, e costringendolo ad andare fuori dalla classe, questo sta violando un suo diritto. Quello che ci sentiamo dire spesso dal personale della scuola è che noi famiglie pretendiamo, loro sono i docenti, e a scuola non si fa terapia. Non si tratta di fare terapia.
Per l’autismo, una disabilità intellettivo relazionale particolare – continua Marina -, non si può adottare un unico metodo come per altre disabilità. Essendo uno spettro, non esiste un autistico uguale all’altro, la terapia che fa uno non può essere adatta per un altro. Ci vogliono delle dritte specifiche per fare in modo che questi bambini possano fare un loro programma didattico, che si riesce a fare quando la scuola finalmente si mette in gioco. Grazie al fatto che riusciamo ad entrare nelle scuole notiamo che c’è un interesse e una sete di formazione da parte dei docenti. Se i nostri figli sanno di non essere capiti o non sono seguiti bene, fanno un po’ come i bambini normotipici. Mio figlio, Simone, con un basso funzionamento, che non è vocale, è riuscito a rispettare le regole in classe grazie ad una docente che si è messa in gioco, e ad un terapista che è intervenuto. Le soddisfazioni arrivano e bisogna garantire a tutti i bambini il diritto di autodeterminarsi come persone.”
Cos’è l’autismo?
“L’autismo ha tre livelli di gravità – spiega Marina -, si va dal più lieve che è il livello 1, sono livelli di supporto, fino al livello 3 che è quello più grave, dove c’è veramente una compromissione da tutti i punti di vista, cognitiva, a volte anche motoria. A volte con una conformazione ossea un po’ storta. Gli alti funzionamenti sono quelli che hanno la sindrome d’Asperger che adesso è inserita anche nel disturbo dello spettro autistico. La difficoltà trasversale a tutti i livelli, è quella relazionale. Un alunno autistico ad alto funzionamento non vuol dire che non abbi delle criticità tipo la difficoltà relazionale. I bassi funzionamento che sono i livelli 2 e 3 hanno più delle stereotipie, più ossessività, interessi ristretti e ripetitivi fino ad arrivare ai livelli 3. Per esempio, con mio figlio che non è neanche vocale, e che comunica un po’ col comunicatore elettronico, prima abbiamo iniziato con le immagini della PECS, poi siamo passati al comunicatore elettronico e ai segni.”
Tornando a scuola, cosa manca secondo lei, ai docenti?
“Una conoscenza più precisa dell’autismo – risponde Marina -. La formazione di oggi, come il corso TFA, guarda a tutte le disabilità, dà un po’ di nozioni di tutto. Io dico che ci vorrebbe un TFA per l’autismo, un assessorato per l’autismo, un Ministero per l’autismo. Sembra una battuta ma in realtà non lo è perché l’autismo è veramente una sfida e le scuole sono lasciate sole. Infatti spesso le scuole ci dicono: noi siamo lasciati soli. Noi rispondiamo: siamo soli anche noi, quindi uniamoci e collaboriamo.”
L’USR Sicilia per la campagna di ParlAutismo
“Quest’anno abbiamo il supporto dell’Ufficio Scolastico Regionale – continua Marina -, che ha invitato tutti gli Istituti scolastici regionali ad aderire alla nostra campagna. Sono già circa 30-35 scuole, tra Palermo, in provincia, e in altre zone della Sicilia, come Agrigento, Messina e Catania, dove abbiamo già fissato delle date. Un lavoro in corso d’opera, se le scuole ci chiamano, noi andiamo. L’unica nostra criticità è che siamo tutte mamme, siamo tutti genitori che fanno questo lavoro in modo volontario e gratuito.”
Com’è strutturato un incontro di sensibilizzazione?
“La nostra campagna prevede l’intervento di un genitore e di un terapista, proprio per arrivare a quello di cui parlavamo prima, il famoso lavoro di rete – risponde Marina -. Poi per dare non solo il senso di sensibilizzazione, ma anche di supporto a tutta la scuola, perché la sensibilizzazione non va fatta esclusivamente agli alunni, ma va fatta a tutto il personale scolastico, tutti i docenti, non solo di sostegno, o agli assistenti all’autonomia e comunicazione, ma anche ai docenti curriculari, che spesso non vogliono tenersi i nostri figli neanche per mezz’ora, quindi se manca il docente di sostegno, i nostri figli sono costretti a uscire prima.
È scritto che l’alunno con disabilità non è solo del docente di sostegno e dell’assistente, ma in realtà non si applica mai questa cosa – continua Marina -, perché appena hanno problemi e non riescono a sopperire, ad avere una sostituzione del docente di sostegno che manca, o dell’assistente, ti chiamano dicendo che tuo figlio è scoperto e devi andarlo a prendere. Sebbene alcuni genitori non possono farlo perché lavorano o hanno i loro impegni, e spesso si trovano costretti a chiedere permessi al lavoro. Sono cose scorrette, questo comporta gravi disagi per le famiglie, e questo succede spesso.
Tornando alla campagna – continua Marina -, dopo l’ingresso del terapista e del genitore, ci si presenta, compresa l’associazione per l’autismo, facciamo vedere un video, che di solito è un cortometraggio di massimo 10 minuti su tematiche tarate per il tipo di scuola e di classe, dall’infanzia alle superiori. Dopo questo video si apre il dibattito, di solito si chiede anche: cos’è per voi l’autismo, oppure in base anche al video che abbiamo fatto vedere, cerchiamo di stimolare i ragazzi. Devo essere sincera, nelle campagne notiamo da parte anche dei bambini più piccoli, molto interesse, spesso fanno a gara per chi deve parlare prima per dire cosa fa il compagno o la compagna autistica. Noi diciamo loro che li devono stimolare, non devono mai commiserarli.
Poi di solito facciamo fare delle attività, perché non è un convegno – continua Marina -, quindi facciamo in modo di tenere alta l’attenzione dei ragazzi. Un’attività che può essere dei quiz, risposta multipla, in modo tale che ci sia interazione. Oppure facciamo dei giochi di ruolo, delle attività per animare il tutto e poi la conclusione, cioè l’invito all’evento del Teatro Politeama a Palermo, come ogni anno, per la Giornata internazionale, che quest’anno sarà domenica 6 aprile alle ore 18.00, ma consigliamo di arrivare alle 17.00.”

Le sfide per il presente-futuro
“Le nostre sfide? Delle terapie gratuite. Si nasce autistici, non si guarisce, non è una malattia l’autismo, i nostri figli nascono autistici e moriranno autistici. Noi famiglie non ci possiamo addossare tutte le spese che vanno sempre aumentando. Parlare soltanto di terapia è forse riduttivo. L’autismo riguarda tutti i contesti di vita dei nostri figli – continua Marina -, il contesto familiare, scolastico, lavorativo, è chiaro che sono tutte delle sfide, però è anche chiaro che non possono essere le famiglie ad addossarsi le spese. Quello che noi continueremo a fare come associazione è creare sempre dei percorsi, spingere sempre più il settore di servizio pubblico a creare dei percorsi, una continuità soprattutto, di tipo assistenziale ed educativa per i nostri figli, che possa prevedere delle terapie convenzionate, che non siano solo dei progetti. Oggi, è anche vero che non ci sono più le attese di anni, che c’erano prima, adesso i tempi di attesa sono molto migliorati.
La legge 328 è una legge nazionale che prevede una continuità – continua Marina -, un progetto di vita che sarebbe dipinto sulla persona, che prevede dei servizi erogati gratuitamente in parte dal Comune e in parte dall’Asp. C’è il servizio educativo domiciliare, il cosiddetto SED, che è molto importante perché è quello che effettivamente può aiutare i nostri figli da quando sono piccoli, con le autonomie a vestirsi e svestirsi, togliere il pannolino prima di tutto, tutte le autonomie all’interno della casa, anche fare la cucina o cucinare perché no, fino ad arrivare alle autonomie fuori da casa, quindi prendere anche i mezzi o aspettare il semaforo, anche nel lavoro avere un tutor. E poi ci sono le varie attività ludico-ricreative, sport, musica, arte, teatro, questi sono tutti i servizi che sono erogati dal Comune.
La parte che eroga l’Asp sono tutte le terapie del sanitario, quindi l’ABA, la neuropsicomotricità, la logopedia. La parte affidata ai Comuni purtroppo non è perfetta – continua Marina -, dovrebbe garantire molto di più. Dovrebbe essere in mano allo Stato, sicuramente ci sarebbero meno problemi. Alle famiglie i meccanismi dietro i disservizi non interessano, perché la famiglia vuole il servizio, la legge 328 è un progetto individualizzato ed è un diritto dei nostri figli, averlo.”
Tornando a scuola: cosa pensate della continuità del docente di sostegno?
“Siamo tutti per la continuità, perché dovrebbe essere garantita. Questa però non è scontata perché bisogna tener conto delle graduatorie dei docenti – risponde Marina -, a meno che non sia di ruolo. L’insegnante di ruolo però può anche scegliere un altro Istituto. A me è capitato di richiedere la continuità, e non mi è stata data, non perché la scuola non l’abbia voluta dare. In un altro momento, mio figlio in terza elementare ha avuto una docente di sostegno di ruolo, che ha portato mio figlio fino a quest’anno, in quinta, la docente poteva scegliere un’altra scuola, per fortuna non l’ha fatto.”
Possibilmente vi siete trovati bene?
“Si, la fortuna è che abbiamo trovato anche una docente di ruolo che si è messa in gioco – continua Marina -, non senza difficoltà, perché lei stessa si è dovuta scontrare con quello che dicevamo all’inizio dell’intervista. Degli analisti del comportamento che devono applicare quelle strategie che per un insegnante, soprattutto per un bambino come mio figlio con basso funzionamento, ci vuole quel cosiddetto setting che all’inizio è molto strutturato, molto rigido, ma deve essere così per cercare di limitare al massimo i comportamenti considerati un ‘problema’. Mio figlio si alzava in continuazione dalla sedia e voleva fare sempre avanti e indietro, non era regolamentato questo suo comportamento.
Adesso l’insegnante da sola riesce ad occuparsi di Simone, mio figlio, e lui non ha più questi comportamenti che lo facevano alzare dalla sedia, e andare avanti e indietro – continua Marina -. Ci vuole un pò di buon senso. La docente di sostegno di mio figlio adesso è la prima non solo a essere soddisfatta del fatto che riesce a lavorare bene con Simone, quindi a portare avanti il suo programma didattico per Simone, ma anche a incentivare le colleghe a creare queste collaborazioni. Riesce lei stessa da sola a supportare i colleghi che hanno delle particolari difficoltà con degli alunni autistici, dando loro delle strategie. Ecco che si crea un circolo virtuoso.”
E i compagni di classe di Simone?
“La docente di sostegno sta lì, come figura sfumata, perché i compagni conoscono Simone. Gli chiedono chiaramente di prendere il tablet e scrivere la richiesta, quando Simone vuole dire qualcosa. Simone prende il tablet – continua Marina -, e gli fa la richiesta. Come facciamo tutti noi a casa, o appunto come ci hanno detto i terapisti di fare da principio. Si è creata questa autonomia, si deve arrivare a questo, che i nostri figli siano più autonomi possibile e che i compagni li supportino, non stiano lì a commiserarli, i nostri figli devono essere stimolati, sennò tendono a chiudersi. C’è questa nomea di dire che gli autistici sono violenti, ci sono quelli violenti, ma c’è sempre una motivazione, sicuramente non c’è un canale di comunicazione che è stato attivato, o se è stato attivato non è quello corretto per quella persona autistica. Pertanto quella persona, quel bambino va in frustrazione. Capiterebbe a chiunque di noi, mettiamoci nei loro panni, se non riusciamo più a parlare, abbiamo bisogno, e non veniamo ascoltati.”
“No alle aule sensoriali dentro le scuole”
“Molte scuole adottano ancora le aule sensoriali viste dalla maggior parte come positive, perché i nostri figli, gli autistici spesso hanno bisogno di momenti di relax. Ma l’aula sensoriale – dice Marina -, fatta con le luci soffuse va fatta nei centri di riabilitazione e non a scuola, perché la scuola è il contesto migliore per i nostri figli, per fare attività sociale. Meglio che gli facciano fare una passeggiata nel giardino della scuola, e poi rientrare in classe. La maggior parte delle scuole sfrutta queste aule come escamotage per fare uscire i bambini fuori dalla classe, così eliminano il ‘problema’, e possono fare studiare gli altri in santa pace.”
Il dopo di voi
“Dobbiamo stare sul pezzo perché l’incubo lo viviamo costantemente per i nostri figli, il cosiddetto dopo di noi. Pensa – conclude Marina -, io parlo con te di mio figlio che non parla, non so un giorno cosa potrà dire, potrà dire quattro cose? Non è che potrà mai parlare come parliamo noi. Lui è figlio unico, l’incubo c’è, noi non siamo eterni. Viviamo il presente, dobbiamo tenerci in forza, se cadiamo noi crolla tutto. Per le istituzioni è più semplice creare le RSA, le Residenze Sociali Assistenziali, e schiaffare dentro tutti, anziani, persone non autosufficienti, autistici, disabilità, schizofrenici, tutti assieme nel calderone. Abbiamo combattuto tanto per i nostri figli. Andiamo avanti per tutelare i loro diritti. Adesso si parla tanto di inserimento lavorativo, anche dei bassi funzionamenti, proprio per non arrivare a questo incubo che abbiamo tutti noi i genitori. Qualcosa che ci lascia ben sperare.”