Organico Covid docenti e Ata, continua la protesta. Marco: “Pendolare ogni giorno, siamo stanchi delle promesse”. Lucia: “A 52 anni senza lavoro, ma per la scuola siamo indispensabili” [VIDEO]

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Orizzonte Scuola continua a concentrarsi sull’organico Covid docenti e Ata dando voce a coloro che hanno perso il lavoro e si trovano in una situazione disperata.

Sono circa 50mila gli operatori scolastici, in prevalenza Ata (oltre il 60%), ma anche insegnanti, che sono giunti al limite della sopportazione. Questi operatori si sono trovati in prima linea nella lotta contro il Covid durante l’apice della pandemia, ma ora sono stati esclusi dalla scuola pubblica a causa della carenza di personale, nonostante le promesse del governo.

Tre le storie che presentiamo oggi: quella di Marco D’Alesio e Lucia Iacca, tramite video e poi quella scritta di Lucia Dolmetti.

“Mi chiamo Marco e sono un collaboratore scolastico di terza fascia appartenente all’ex organico convinto. Sono anche un membro del Comitato Nazionale Organico aggiuntivo ATA. Oggi sono qui per fare un video, come hanno fatto tanti miei colleghi prima di me, per rivendicare il nostro diritto al lavoro e chiedere che venga ripristinato con estrema urgenza da questo Governo. Durante la pandemia abbiamo prestato servizio con onore e rischiando la nostra salute, ma nonostante questo, dopo due anni, siamo ancora privi di lavoro e reddito”.

“Questo Governo nella precedente campagna elettorale ha fatto molte promesse riguardo all’importanza dell’organico aggiuntivo per le scuole, ma finora non abbiamo ancora visto alcun provvedimento concreto. Siamo a casa da settembre, senza alcun sostegno economico da parte dello Stato, e siamo stanchi di ascoltare solo parole e promesse che non vengono mantenute”.

“Chiediamo ai deputati e senatori di questa maggioranza, tra cui Sasso, Iannone e la sottosegretaria all’Istruzione Paola Frassinetti, di prendere provvedimenti concreti e di rispettare il nostro diritto di poter lavorare nelle scuole. Io sono un pendolare che ha fatto sacrifici per lavorare, svegliandomi alle 4 del mattino ogni giorno, e sono qui a fare un appello a questo Governo affinché prenda finalmente in considerazione la nostra situazione. Basta parole, vogliamo solo lavorare”.

“Mi chiamo Lucia e sono un membro del comitato organico aggiuntivo. Nel 2020, durante la pandemia, sono stata chiamata dalla scuola per un contratto di otto mesi. Nonostante avessi già un lavoro nel privato a tempo indeterminato che mi permetteva di sostenere la mia famiglia, ho deciso di accettare la proposta”.

“Il lavoro non è stato facile, ho dovuto affrontare lunghi viaggi per raggiungere la scuola e all’inizio gli altri dipendenti non erano molto accoglienti. Ma poi si sono resi conto del lavoro che stavamo svolgendo e hanno capito che eravamo una risorsa preziosa per loro”.

“Non ci siamo tirati indietro a nessuna richiesta, abbiamo fatto di tutto, dall’apertura alla chiusura della scuola, dai turni pomeridiani agli open day di domenica, perché sapevamo che c’era una carenza di personale e che la scuola aveva bisogno di noi”.

“Oggi, a 52 anni, mi ritrovo senza lavoro e senza sussidio da settembre, e non posso più sostenere la mia famiglia e i miei figli. Sento di aver perso la mia dignità perché non ho più un lavoro e l’ingiustizia nei confronti dei 55.000 lavoratori che sono stati lasciati a casa è una violazione dell’articolo 4 della Costituzione, che garantisce il diritto al lavoro. Chiediamo che questa situazione venga risolta con urgenza, perché il diritto al lavoro non può essere negato a nessuno”.

C’è spazio anche per la testimonianza scritta di Lucia Dolmetti: “Mi chiamo Luisa e ho iniziato a lavorare nel mondo della scuola a 35 anni, un mondo che, devo ammettere, è bellissimo ma purtroppo non funziona molto bene. Era il 7 gennaio 2020 e stavo pulendo la veranda di una signora su una scala, perché avevo perso il lavoro e mi arrangiavo con le pulizie. Tuttavia, non avevo perso la speranza. Finalmente, ricevo una chiamata da Roma che mi dice che hanno bisogno di un collaboratore per una sostituzione di 10 giorni. Il mio cuore tremava, ma non ho pensato a nulla, solo a cambiare vita e dare un futuro più dignitoso ai miei figli. Io e mio marito avevamo perso il lavoro quasi contemporaneamente otto anni prima, quindi questa chiamata era una speranza per me. Sono corsa subito in stazione, pagando un abbonamento di 400 euro senza sapere se la mia supplenza sarebbe continuata, ma piena di speranza. Fortunatamente, ho continuato a lavorare e poi è arrivato il Covid e ci siamo dovuti fermare. Ho continuato a lavorare anche l’anno successivo con un contratto Covid dal 14 settembre al 8 giugno, sempre come pendolare, facendo tutti i giorni Napoli-Roma/Roma-Napoli, tre ore e mezza di viaggio andata e ritorno, perché la scuola si trovava a Roma Nord e non era facilmente raggiungibile”.

“Prendevo il Freccia Rossa e arrivavo a Roma centro per poi prendere la metropolitana e fermarmi a Lepanto, dove aspettavo il 301, l’unico pullman che mi portava a scuola, facendo la bellezza di 54 fermate. Nonostante ciò, ero felice perché si stava realizzando un sogno. Mi alzavo tutte le mattine alle quattro, preparando sul tavolo della cucina tutto l’occorrente per i miei figli. Avevo due figli, uno di 10 e l’altro di 4 anni, preparavo i loro zaini, la merenda, l’acqua da portare a scuola, le divise, il pranzo e, se potevo, anticipavo anche qualcosa per la cena, perché non avevo aiuti. Se cucinavo, mangiavo, se lavavo i panni, li trovavo puliti, se stiravo i panni, erano stirati. La stanchezza era tanta, sono arrivata a dormire anche due ore a notte, ma ero felice perché mi stavo riprendendo la mia dignità e soprattutto garantivo un futuro a me e alla mia famiglia”.

“Con l’aggiornamento, sono tornata a Napoli perché la piccola che aveva ormai sei anni iniziava la prima elementare e tra la carriera e un figlio ho scelto loro. Non potevo abbandonarla a se stessa, cosa che ho potuto fare con il più grande che mi ha dato, nonostante la lontananza, tante soddisfazioni e una grande dimostrazione di maturità. La mia più grande fortuna sono proprio loro. Devo tutto ai miei figli perché hanno fatto il sacrificio insieme a me. Chiediamo a gran voce di poter lavorare”.

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