Occupazione persone con disabilità: meno del 52%. Cosa succede nei principali paesi europei

Il diritto all’occupazione delle persone con disabilità è riconosciuto dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (CRPD), un documento ratificato anche dall’Unione Europea. L’articolo 27 del trattato definisce l’obbligo per gli Stati di garantire pari opportunità nel mondo del lavoro. Tuttavia, la realizzazione concreta di questo principio resta incompleta.
Azioni politiche europee per l’inclusione lavorativa
Negli ultimi anni, le istituzioni europee hanno intensificato le strategie per promuovere l’inclusione lavorativa. La Strategia per i diritti delle persone con disabilità 2021-2030 colloca l’accesso al mercato del lavoro tra gli obiettivi centrali. Nonostante ciò, i dati continuano a segnalare una distanza significativa tra quanto pianificato e quanto realizzato.
Indicatori occupazionali e disuguaglianze
Secondo Eurostat, meno del 52% delle persone con disabilità in età lavorativa risulta occupato, contro un tasso superiore al 75% nella popolazione senza disabilità. Le disparità si accentuano ulteriormente nei confronti di donne e giovani. Il Forum Europeo sulla Disabilità conferma questo divario, attribuendolo alla persistenza di ostacoli sia strutturali che culturali.
Fattori che limitano l’inclusione professionale
L’esclusione dal mondo del lavoro dipende da una combinazione di fattori. Le principali barriere possono essere ricondotte a diversi ambiti:
- barriere fisiche e ambientali nei luoghi di lavoro;
- pregiudizi e stereotipi da parte dei datori di lavoro e colleghi;
- mancanza di accomodamenti ragionevoli, come orari flessibili o tecnologie assistive;
- scarsa intermediazione tra servizi sociali, formazione e mercato del lavoro.
Differenze nazionali nell’attuazione delle politiche europee
L’Unione Europea promuove l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità attraverso documenti programmatici come la Strategia 2021-2030, ma l’attuazione concreta delle indicazioni europee varia sensibilmente tra gli Stati membri. Le differenze dipendono da fattori come l’assetto normativo, l’organizzazione dei servizi sociali e la cultura del lavoro inclusivo.
Germania: incentivi economici e cooperazione pubblico-privato
Il modello tedesco prevede un sistema di quote obbligatorie per l’assunzione di persone con disabilità nelle imprese con più di 20 dipendenti. Le aziende che non rispettano tale obbligo devono versare un contributo a un fondo per l’integrazione. Inoltre, la Germania sostiene la collaborazione tra servizi per l’impiego, aziende e istituzioni scolastiche.
Francia: centralità dell’AGEFIPH e sanzioni proporzionali
In Francia, la promozione dell’occupazione inclusiva è affidata a enti specifici come l’AGEFIPH, che gestisce fondi e fornisce supporto tecnico alle imprese. Anche qui vige un sistema di quote, ma le sanzioni per mancato adempimento sono commisurate al numero di posti non coperti. Il modello francese punta sulla responsabilizzazione delle aziende.
Spagna: focus su cooperative sociali e inclusione nel settore pubblico
La Spagna promuove l’impiego delle persone con disabilità attraverso un sistema misto che include sia incentivi fiscali sia sostegno alle cooperative sociali. Una quota dei posti nel settore pubblico è riservata ai lavoratori con disabilità, e sono previste misure di sostegno per la formazione continua. Il sistema spagnolo valorizza forme di impresa sociale.
Svezia: inclusione personalizzata e supporto al lavoratore
Il modello svedese si basa su un approccio individualizzato. Le agenzie pubbliche per l’impiego offrono percorsi personalizzati, affiancati da programmi di tirocinio e tutoraggio. Le aziende ricevono un supporto per l’adattamento dei posti di lavoro e sono incoraggiate a collaborare con i servizi di mediazione. L’obiettivo è facilitare l’inserimento attraverso soluzioni flessibili.
Italia: transizione lenta e ruolo centrale del Terzo Settore
In Italia, il sistema prevede quote obbligatorie e offre incentivi economici, ma l’efficacia è ostacolata da una debole integrazione tra politiche attive, formazione e collocamento. Il Terzo Settore assume un ruolo rilevante nella realizzazione dei percorsi di inclusione, soprattutto attraverso cooperative sociali e iniziative territoriali.