Obbligo vaccinale docenti, non scatta se non si svolge l’attività lavorativa. Per la malattia il Ministero è riuscito a fare confusione
L’Italia non a caso è il Paese dell’Azzeccagarbugli perchè scriviamo leggi che si prestano a mille interpretazioni quando sarebbe necessaria invece chiarezza, tassatività e determinatezza della norma. Così non è da tempo immemore soprattutto nella scuola dove, caso più unico che raro, circolari e note di rango ministeriale riescono a conseguire un valore normativo rilevante, a volte anche innovativo. Il caso della vicenda sull’obbligo vaccinale nella scuola trae origine da un decreto legge scritto in modo tutt’altro che chiaro ed il ministero è stato chiamato,alla luce di, si immagina, una quantità di quesiti notevoli, a porre una toppa. Ma questa toppa non sembra essere riuscita proprio bene come testimoniano le note che si son susseguite nel tempo.
Nota del 20 dicembre 2021
La parte oggetto della contestazione è la seguente:
In ragione di quanto sopra, le procedure di verifica dell’avvenuta vaccinazione potranno non essere avviate soltanto nei confronti di coloro che non svolgono la propria prestazione di lavoro presso le istituzioni scolastiche perché prestano servizio presso altra amministrazione o ente, oppure perché fruiscono di aspettative o congedi che comportano l’astensione piena e continuativa dalle attività lavorative a scuola (per i motivi di assistenza e/o di cura familiare o per i motivi personali già richiamati nelle precedenti note di questo Dipartimento), oppure perché versano nelle condizioni di infermità, previste dalla normativa vigente e certificate dalle competenti autorità sanitarie, che determinano l’inidoneità temporanea o permanente al lavoro.
La nota del 17 dicembre
Nota che del 20 dicembre 2021 che richiama quella del 17 dicembre: A partire dal 15 dicembre, l’obbligo vaccinale si applica a tutto il personale scolastico, incluso quello assente dal servizio per legittimi motivi, con la sola eccezione del personale indicato nella precedente propria nota 7 dicembre 2021, n. 1889/DPIT, il cui rapporto di lavoro risulti sospeso per collocamento fuori ruolo, comando, aspettativa per motivi di famiglia, mandato amministrativo, infermità, congedo per maternità, paternità, per dottorato di ricerca, sospensione disciplinare e cautelare
La nota del 7 dicembre
Che a sua volta fa riferimento a quella del 7 dicembre:
Con il decreto-legge 26 novembre 2021, n. 172, quale evoluzione dell’obbligo del possesso e del dovere di esibizione della certificazione verde COVID-19 introdotto dal decreto-legge 6 agosto 2021, n. 1115, dal prossimo 15 dicembre, la vaccinazione costituisce requisito essenziale ed obbligatorio per lo svolgimento dell’attività lavorativa di dirigenti scolastici, docenti e personale ATA delle istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione e del personale delle ulteriori tipologie di servizi scolastici e formativi sopra richiamati. L’obbligo si applica al personale a tempo determinato e indeterminato. Pare dunque possa ritenersi escluso dall’obbligo vaccinale introdotto dal decreto-legge 26 novembre 2021, n. 172, il personale scolastico il cui rapporto di lavoro risulti sospeso, come nel caso di collocamento fuori ruolo, aspettativa a qualunque titolo, congedo per maternità o parentale
La vaccinazione è requisito obbligatorio solo per svolgere l’attività lavorativa
Il comma 2 dell’articolo 2 del Decreto 172 afferma chiaramente che la vaccinazione costituisce requisito essenziale per lo svolgimento delle attività lavorative dei soggetti obbligati.
Chi ha scritto la norma ha lasciato, però, un vuoto normativo rilevante che ha scatenato dunque interpretazioni, che vanno dal pare al quasi essere certi. Se il rapporto di lavoro si trova in una qualsiasi condizione di sospensione giuridica, è evidente che il lavoratore non esercita alcun tipo di attività lavorativa e pertanto non ha necessità di procedere alla vaccinazione obbligatoria. Quali sono le condizioni di sospensione? Ad esempio tutte quelle che determinano de facto il mancato svolgimento dell’attività lavorativa in relazione all’esercizio da parte del dipendente del ricorso a strumenti normativi/contrattuali che richiedano la sospensione del rapporto di lavoro. La casistica è plurima, ferie, aspettative, congedi, e non può non rientrarvi la malattia o l’infortunio sul lavoro.
La questione dell’infermità
Vediamo ora alcune massime della giurisprudenza per comprendere quanto sia tutt’altro che lineare il concetto di infermità. Ben tenendosi conto che il datore di lavoro non può conoscere in generale la diagnosi nella certificazione medica prodotta dall’interessato e dunque venire a conoscenza dello stato dell’infermità.
La capacità di intendere e volere e l’infermità
Giova rammentare che, secondo l’insegnamento di legittimità espresso in sede penale (Cass. pen. Sez. U. n. 9163 del 2005), in astratto, anche i “disturbi della personalità” possono rientrare nel concetto di infermità di cui agli artt. 88 e 89 c.p. Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità formatasi alla luce del richiamato arresto impone che la verifica, caso per caso, dell’eventuale infermità relativa (anche con riferimento al vizio del gioco d’azzardo) passi per l’accertamento dei seguenti aspetti: 1) se il disturbo abbia consistenza, intensità e gravità tali da incidere effettivamente sulla capacità di intendere e di volere del reo, escludendola o scemandola gravemente; 2) se il disturbo sia poi in concreto collegato da un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa (da ultime, Cass. pen. 18458/2012; Cass. pen. 33463/2018; Cass. pen. 14467/2020).
Infermità e trattamento pensionistico
Ai fini del trattamento pensionistico privilegiato deve escludersi la dipendenza dell’infermità “artrosi” dal servizio di bidella e cuoca prestato presso una scuola materna. Corte dei Conti Umbria Sez. giurisdiz., 12/04/2005, n. 162
Infermità e malattia
Legittimamente è dichiarato decaduto dall’impiego il dipendente che sia rimasto assente dal servizio per oltre 15 giorni senza alcuna giustificazione ed è irrilevante la circostanza che, dopo il decorso di 15 giorni di assenza, egli abbia presentato una domanda di aspettativa per infermità. Cons. Stato Sez. VI, 25/11/1994, n. 1707
Infermità per malattia o infortunio ed accertamento del datore di lavoro
Deve peraltro rimarcarsi che, come notato dalla sentenza impugnata, questa Corte ha espressamente stabilito che le disposizioni della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 5, in materia di divieto di accertamenti da parte del datore di lavoro sulle infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente e sulla facoltà dello stesso datore di lavoro di effettuare il controllo delle assenze per infermità solo attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, non precludono al datore medesimo di procedere, al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, ad accertamenti di circostanze di fatto atte a dimostrare l’insussistenza della malattia o la non idoneità di quest’ultima a determinare uno stato d’incapacità lavorativa e, quindi, a giustificare l’assenza, confermando così la sentenza di merito che aveva ritenuto legittimi gli accertamenti demandati, dal datore di lavoro, a un’agenzia investigativa, e aventi a oggetto comportamenti extralavorativi, che pure assumevano rilievo disciplinare sotto il profilo del corretto adempimento delle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro (Cass. n. 25162/14).
Patologie ed infermità ed accertamento abnorme del datore di lavoro
Inviare plurime visite di controllo in relazione alle assenze per malattia effettuate da un docente in un ristrettissimo spazio temporale nel corso delle quali erano stati mostrati i certificati specialistici confermativi sia della diagnosi che della prognosi delle patologie e/o infermità dalle quali era affetta è un potere di controllo che il datore di lavoro ha esercitato in maniera abnorme, tanto da rivestire carattere vessatorio.
Corte d’Appello Bari Sez. lavoro, Sent., 17-11-2021
Il datore di lavoro non può conoscere l’infermità del dipendente
Va anche rilevato che i certificati medici inviati alla società o consultabili dal datore di lavoro nell’archivio dell’Inps, non riportano alcuna diagnosi e ciò perché in questo senso dispone la legge, a tutela della privacy del lavoratore (l’art.2 del D.L. n. 663 del 1979 conv.nella L. n. 33 del 1980, e sua attuazione, distingue tra certificazione di malattia da inviare all’Inps, che deve contenere la diagnosi, e l’attestazione da inviare al datore di lavoro, che deve contenere unicamente la data di inizio e la durata presunta dell’infermità, in tal modo escludendo che il datore di lavoro possa conoscere la diagnosi); né, per le stesse ragioni, il datore di lavoro ha alcun diritto di conoscere la diagnosi o di svolgere indagini in tal senso.
12:34 26/12/2021