Nuovo reclutamento, il pedagogista: “Rischio nuovo mercato dei 60 CFU. Le prove a crocette? Non sono oggettive e non rilevano competenze” [INTERVISTA]
La riforma del reclutamento targata Patrizio Bianchi, approvata pochi giorni fa dal Consiglio dei Ministri, ha fatto il pieno di critiche: non è piaciuto il metodo con cui è stata affrontata la riforma, oltre ai contenuti che hanno scatenato l’ira di una buona fetta del popolo della scuola e di tutto il fronte sindacale.
I punti contestati vanno dalla costruzione del percorso di formazione iniziale con 60 Cfu utili per l’abilitazione alla strada dedicata ai precari, anche troppo tortuosa. Per non parlare della formazione continua incentivata, che andrebbe a sconfinare nell’ambito della contrattazione sindacale.
Ad analizzare queste tematiche interviene a Orizzonte Scuola Cristiano Corsini, docente di Pedagogia dell’Università Roma Tre.
La nuova a riforma del reclutamento punta sulla formazione iniziale prima del ruolo, con i 60 CFU previsti dal decreto: come giudica il percorso così disegnato dal Ministro Bianchi?
Capisco le esigenze che hanno portato il ministro a intervenire, ma sarebbero indubbiamente più efficaci percorsi successivi alla laurea, come le vecchie specializzazioni che coi loro limiti rappresentano una delle pochissime esperienze difendibili di formazione all’insegnamento nella scuola secondaria. Mi spiace davvero che il ministro non abbia scelto questa strada. Ora il rischio è che questa riforma finisca con l’amplificare i difetti del sistema precedente, passando dal mercato dei 24 a quello dei 60 cfu. Inoltre, l’iscrizione parallela può compromettere la coerenza del percorso. Non credo sia facile assicurare organicità a percorsi con aspiranti docenti che nel frattempo si stanno laureando. La qualità stessa del legame tra lezioni e tirocinio è vincolata a questa organicità. Un altro elemento che mi preoccupa è il rischio che un generico riferimento ai cfu non consenta di intervenire in maniera mirata sulle reali esigenze formative, trascurando un ragionamento approfondito sulla didattica.
I precari, invece, dovranno prendere l’abilitazione dopo il concorso. Con 30 CFU, di cui 10 di tirocinio. Giudica adeguato questo percorso per chi ha già alle spalle molto spesso diversi anni di supplenze?
Se è vero che il fatto di aver prestato servizio non comporta automaticamente lo sviluppo di competenze, è anche vero che parliamo di gente che per anni è stata sfruttata e accertarne la preparazione con una prova oggettiva sarebbe una grave mancanza di rispetto. A mio avviso bisognerebbe assumersi la responsabilità di una valutazione più complessa e approfondita e poi prevedere, in base ai risultati, percorsi di abilitazione in grado di accompagnare l’esperienza di insegnamento.
L’impianto delle prove a crocette nei concorsi rimane anche se il testo approvato dal Governo specifica che la prova scritta potrà essere a risposta multipla o strutturata. Ma sono davvero oggettive, come dice Bianchi, le prove concorsuali impostate in questo modo?
La prove a scelta multipla – dette anche a crocette – sono un tipico esempio di prova strutturata. Sono oggettive nel senso che l’attribuzione del punteggio è automatizzata: se la risposta esatta è B e un candidato sceglie B ha oggettivamente scelto la risposta esatta, sennò no. L’oggettività però si ferma lì, alla cosiddetta “correzione”, per il resto c’è ampia discrezionalità: ci sono persone che costruiscono le prove scegliendo gli argomenti da testare, le domande da porre, le risposte esatte e i distrattori (ovvero, le risposte errate) da inserire, i criteri di assegnazione del punteggio e quelli per stabilire quante risposte esatte sono necessarie per superare il test. Sono scelte complesse, discrezionali e inevitabilmente condizionate da elementi valoriali e non c’è nulla di oggettivo, anche perché non esistono valutazioni oggettive. Sono prove che hanno punti di forza (permettono di contenere i costi chiedendo molte cose a tanta gente in breve tempo) ma ovviamente non rilevano competenze né l’uso attivo e critico di conoscenze. Possono essere utili per accertare livelli essenziali di conoscenze e dunque per una primissima scrematura, ma bisogna saperle costruire e bisogna anche saperle usare. Da quel che ho letto e visto, non è impossibile che si sia scelto di risparmiare anche sull’approntamento di questi strumenti, rivolgendosi a personale poco formato dal punto di vista docimologico. D’altra parte, viviamo in un paese che dà per scontato che se sai una cosa sai anche insegnarla, e allora se sai insegnarla sai anche valutarla… I luoghi comuni sull’insegnamento – assai diffusi presso l’opinione pubblica e amatissimi dalla nostra classe intellettuale – si rafforzano a vicenda e producono danni pressoché irreparabili.
Sul legame tra formazione e incentivo economico: pensa possa essere produttivo ciò?
Io credo che la formazione debba servire esclusivamente a migliorare le capacità di affrontare i problemi che chi insegna incontra in aula, altrimenti rischia di ingrossare un mercato di corsi e corsetti di dubbia qualità. Quanto alla remunerazione del corpo docente, onestamente mi pare così bassa che prima di pensare a differenziare inizierei ad aumentare.
Appuntamento per martedì 26 aprile alle ore 15.00, in diretta su Facebook, YouTube e sul nostro sito (www.orizzontescuola.it).