Nuovo reclutamento, anche la CIIM contraria: “Sbagliato far prendere i 60 CFU già con la triennale. La formazione iniziale fondamentale per l’insegnamento della matematica a scuola” [INTERVISTA]

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La riforma del reclutamento approvata dal Governo e che presto arriverà in Parlamento sembra non raccogliere i favori di molte forze politiche, sindacali e delle associazioni di categoria. A queste nei giorni scorsi si è aggiunta la Commissione Italiana per l’Insegnamento della Matematica (CIIM) che ha criticato l’impianto previsto specialmente per quanto riguarda la formazione iniziale.

Ad Orizzonte Scuola interviene la presidente del CIIM Maria Mellone, che ha evidenziato le criticità della riforma Bianchi, oltre a fornire una panoramica sull’insegnamento della matematica a scuola.

 

La riforma del reclutamento pensata dal Ministro Bianchi: quali sono le principali criticità?

La maggiore criticità sta nel fatto che il percorso organico, laboratoriale e co-progettato scuola-università post-laurea di  formazione iniziale degli insegnanti, condiviso dai ministri competenti con molte società scientifiche, tra cui la nostra, si è trasformato in 60 CFU da acquisire in un periodo indefinito, addirittura a partire dalla laurea triennale. Questa singola novità è devastante perché scardina le fondamenta di quell’idea condivisa e tanto attesa– l’introduzione finalmente – di un percorso serio anche nel nostro Paese di formazione insegnanti  necessario per accedere alle selezioni per il reclutamento a tempo indeterminato.

Quali ricadute negative possono esserci da un tale sistema?

Non collocare il percorso post-laurea magistrale (ricordiamo che la  laurea magistrale è un titolo necessario per accedere all’insegnamento), e addirittura permettere di iniziarlo alla triennale, non ha alcun senso né organizzativo e si rischia di avere molti studenti che acquisiscono questi crediti senza poi terminare il percorso di laurea. Inoltre sarebbe interessante capire su cosa sarebbe fatta la selezione iniziale per l’accesso ai percorsi dovrebbe, infatti, essere evidente come percorsi paralleli (titoli di laurea) indurrebbero una scarsa frequenza, laddove si auspica una didattica laboratoriale e partecipata. Ancor più chiaro dovrebbe essere il fatto che non si possa parlare efficacemente di didattica della disciplina senza aver prima acquisito i fondamenti della stessa. Insomma, una novità improvvisa quella dell’anticipo del percorso prima dell’acquisizione della laurea e la sua trasformazione in una sorta di  acquisizione fai-da-te di CFU da parte degli studenti che, da sola, rende vana quella speranza di avere, dopo più di 20 anni, un percorso serio di formazione iniziale insegnanti anche nel nostro Paese, e avrà  come unico effetto, siamo facili profeti, quello di favorire l’aumento dello squallido fenomeno del mercato dei CFU visto con i 24 CFU. Per questo – e qui mi rivolgo non solo ai Ministri competenti, ma al Presidente del Consiglio e al Parlamento tutto – dico: per favore, se non volete un percorso serio di formazione iniziale insegnanti post-laurea fermatevi, togliete qualsiasi obbligo di formazione iniziale. Sarebbe da una parte più onesto intellettualmente, dall’altra almeno non incentiverebbe uno svilimento degli aspetti  formativi così come abbiamo vissuto per i 24 CFU offerto proprio a  coloro che un domani dovranno spendersi per il valore della  formazione: i futuri insegnanti.

Abbiamo anche tanti precari di matematica e altre discipline scientifiche. Pensate che il percorso disegnato dal Ministro possa aiutare questi insegnanti ad una rapida stabilizzazione?

Ritengo importante sottolineare due aspetti. Da una parte, il fatto che si debbano tutelare coloro che, per un motivo o per un altro, lo Stato ha chiamato per tenere dritta la barca della scuola per molto tempo. È dunque importante immaginare norme transitorie efficaci che prendano in carico questa questione e che possano offrire anche percorsi formativi specifici ai neo-immessi in ruolo a titolo definitivo da canali di questo tipo. Dall’altra, stabilire un principio per il futuro proprio a partire da  questa riforma: la formazione iniziale è fondamentale ed è uno strumento per il futuro insegnante. Ma questo principio non si stabilisce con proclami o introducendo solo obblighi formali, ma credendo davvero nella formazione iniziale e dunque sviluppando percorsi seri. E qui si ritorna a quanto detto in risposta alla sua  prima domanda. Da quello che uscirà dal Parlamento si capirà se l’interesse per la formazione iniziale degli insegnanti è meramente formale o è  sostanziale, si vuole veramente offrire strumenti per far crescere da una parte i futuri insegnanti, dall’altra scuola e università seriamente e congiuntamente impegnate a sviluppare i percorsi formativi.

Si parla molto delle discipline Stem negli ultimi anni. Ma tutto inizia con la formazione degli insegnanti. Cosa si dovrebbe fare nello specifico, secondo voi?

Sono una matematica e, oltre che essere presidente della CIIM, mi occupo, per ricerca, di didattica della matematica: può immaginare quindi quanto ritenga importante l’obiettivo di un’educazione scientifica di base e di qualità per tutti. L’importanza di tale obiettivo si è resa particolarmente evidente proprio negli ultimi due drammatici anni che abbiamo vissuto: durante la pandemia, la comunicazione di massa ha fatto un uso massiccio di dati numerici, tabelle e grafici. Avere gli strumenti, la competenza scientifica, per interpretare questi dati e le argomentazioni basate su di essi è una delle chiavi conoscitive per poter prendere decisioni responsabili. Io sono convinta che per diventare  insegnante di qualsiasi disciplina sia fondamentale un percorso specifico di formazione iniziale: un insegnante formato è un insegnante con più strumenti, e dunque migliore. Basti pensare al salto di qualità che sta facendo la scuola dell’infanzia e la scuola  primaria a seguito dell’istituzione dei percorsi di Scienze della  Formazione Primaria: ecco, viviamo il paradosso che per i primi livelli scolari abbiamo un percorso quinquennale che è preso a modello anche da altri Paesi europei, e per la secondaria sono anni che non ci sono percorsi specifici. E’ ben noto che le difficoltà in matematica sono molto diffuse. È forse meno noto che la ricerca didattica ha sviluppato risultati e strumenti molto importanti proprio nell’ambito delle difficoltà in matematica. Avere uno spazio formativo iniziale apposito su queste tematiche per i futuri docenti è ovviamente cruciale: per contrastare il rifiuto della matematica e più in generale della razionalità scientifica tra i giovani (fenomeno che spesso priva i giovani anche della possibilità di seguire vocazioni, proprio per paura della matematica), per discutere e contrastare il gender gap nelle materie STEM, per conoscere percorsi didattici disciplinari sperimentati e di qualità, metterli alla prova, evidenziarne le potenzialità e le eventuali criticità, e adattarli attraverso un opportuno percorso di tirocinio.

 

C’è qualcosa da cambiare a livello didattico per quanto riguarda il metodo di insegnamento della matematica e le discipline scientifiche?

Non parlerei di metodo al singolare: esistono molti insegnanti e molti approcci diversi (per fortuna). Punto ancora sull’importanza della formazione (in particolare, di quella iniziale), che c’è tanto da offrire in tema di consapevolezza affinché un insegnante abbia il maggior numero di strumenti conoscitivi sia per sviluppare il suo stile di insegnamento, sia per criticarlo, aggiornarlo e svilupparlo nel tempo. Ad esempio, sarebbe opportuno, a mio avviso, che un futuro insegnante avesse da subito la consapevolezza delle risorse che si possono attivare durante le lezioni di matematica – mi riferisco anche all’uso di strumenti digitali come software didattici di varia natura (geometria dinamica, ma anche strumenti analogici) – così come dell’idea di laboratorio di  matematica sviluppata già all’interno del progetto Matematica per il cittadino, o anche dei tanti modi possibili di valutare all’interno della nostra disciplina e di cosa ognuno di questi modi ci può dire e non ci può dire sull’apprendimento dell’allievo (il tema della valutazione, e di una qualche difficoltà diffusa su questo, è esploso  in tutta la sua forza proprio durante la pandemia, segnalando criticità che vanno ben al di là dell’aspetto contingente della distanza). Insomma, un percorso serio di formazione iniziale insegnanti può fare la differenza, ne sono estremamente convinta. Penso che il nostro Paese e i nostri giovani – sia studenti che futuri insegnanti – non si meritino un’altra occasione persa in questo senso.

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