“Memorizzare non è ripetere come pappagalli. La didattica personalizzata è un’utopia. Servono docenti formati, non tuttologi”. INTERVISTA ad Alex Corlazzoli

Le Nuove Indicazioni Nazionali sono al centro di un acceso dibattito, alimentato dalle dichiarazioni del Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara.
A Orizzonte Scuola, il docente e giornalista Alex Corlazzoli affronta i punti più controversi della riforma, offrendo una prospettiva critica e stimolante. Dalla memorizzazione al latino, dalla storia occidentale alla didattica inclusiva, Corlazzoli analizza le proposte del ministro, sottolineando la necessità di un approccio equilibrato e contestualizzato. “Sarebbe stato opportuno”, osserva Corlazzoli, “presentare le Nuove Indicazioni in una conferenza stampa e pubblicarle sul sito del ministero, per garantire la condivisione e la partecipazione di tutti gli attori coinvolti”.
Il ritorno alla memorizzazione, in un’epoca in cui l’accesso all’informazione è immediato e capillare, non rischia di essere anacronistico e di mortificare le capacità di ragionamento e di problem solving degli studenti? Non sarebbe più utile insegnare come cercare e come elaborare le informazioni, piuttosto che memorizzarle?
“Da studente della primaria odiavo le poesie a memoria; al liceo ho mal sopportato lo studio mnemonico delle declinazioni latine e greche ma da adulto mi sono accorto che certe espressioni latine (ad esempio Homo homini lupus), il canto del Magnificat o i proverbi in dialetto che mi raccontava il nonno, mi sono rimasti in testa grazie ai vantaggi della memorizzazione. L’intenzione, seppur corretta del ministro, rischia per i modi in cui è stata esplicitata di far trattare la questione con delle semplificazioni improprie. È evidente che è utile oggi insegnare come cercare e come elaborare le informazioni ma gli esperti di neuroscienza sottolineano che esercitare e mettere in moto il sistema di memoria procedurale della mente ci viene in aiuto quando dobbiamo svolgere una performance grazie a una serie di automatismi interiorizzati. La questione semmai – come ben sottolinea Cesare Cornoldi, professore di psicologia dell’apprendimento e della memoria di Padova – è legata all’esagerazione didattica di un uso improprio della memorizzazione nelle scuole (soprattutto nel passato). La reazione – come la mia – infastidita nei confronti della memorizzazione meccanica nasce da un ricorso esagerato a questa pratica. C’è il giusto timore che chi apprende in questo modo non elabori il contenuto in maniera significativa e profonda e sviluppi noia e rifiuto delle attività proposte. Qui entra in gioco la capacità dell’insegnante che non può far ripetere come i “pappagalli” ma deve adoperare la memoria in ottica ludica. Ai bambini persino piace, talvolta. Mi torna in mente un episodio tra i tanti: il 25 aprile scorso ho fatto ascoltare ai miei alunni “Staffette in bicicletta” di Vinicio Capossela. Senza che lo suggerissi hanno appreso la canzone a memoria in pochi minuti”.
L’introduzione del latino (come materia opzionale), pur apprezzabile, non rischia di sovraccaricare ulteriormente i programmi scolastici, già densi di contenuti? Non sarebbe più opportuno concentrarsi sul potenziamento delle lingue straniere moderne, più utili in un contesto globale? E l’introduzione del latino a partire dalla seconda media non rischia di creare disparità tra gli studenti che scelgono percorsi di studio diversi?
“Lo studio delle lingue straniere (tra l’altro è arrivato forse il momento di introdurre l’arabo e il cinese oltre l’inglese) è indispensabile, necessario e va assolutamente migliorato visti i risultati a livello internazionale, ma l’uno non esclude l’altro. Non capisco perché se a parlare della necessità dell’apprendimento delle lingue antiche è Andrea Marcolongo allora va bene se lo fa Valditara si levano gli scudi. Semmai il problema è che non so quanto possa servire un’ora la settimana e soprattutto mi preoccupa il fatto che essendo opzionale a sceglierlo (costretti) saranno i figli degli ex liceali creando così una discriminazione classista di cui non abbiamo certo bisogno. Credo che un tempo dedicato al latino ci possa essere all’interno della disciplina d’italiano attraverso una didattica intelligente che faccia “divertire” i ragazzi ad esempio con l’etimologia”
La scelta di focalizzarsi sulla storia d’Italia e dell’Occidente rischia di trascurare altre culture e prospettive storiche?
“Assolutamente no. Il ministro ha parlato non di escludere le altre culture ma di “privilegiare la storia d’Italia, dell’Europa, dell’Occidente”. E digli poco! Mi pare logico che vivendo in Italia, nel Vecchio Continente, in Occidente si debba, in primis, sapere la storia e la geografia di “casa nostra”. Oggi c’è il rischio che i nostri ragazzi non sappiano com’è nata Napoli o che non conoscano la strage di Srebrenica, non sappiano quando e perché c’è l’Unione europea. Non si tratta di trascurare altre culture ma di un’emergenza didattica. D’altro canto se nasci in Mozambico non studi Garibaldi o Mazzini. Ho viaggiato in mezzo mondo e amo le altre culture talvolta più della mia ma anche qui rischiamo di banalizzare la questione. Semmai la bravura di un docente sta nel fare connessioni tra la storia d’Occidente e d’Oriente, tra l’Europa e l’Africa. Un esempio? Le discriminazioni razziali. Le colonizzazioni”.
Come si intende conciliare l’obiettivo di una didattica personalizzata e inclusiva con la realtà delle classi numerose e la carenza di risorse umane e materiali in molte scuole? Non c’è il rischio che le nuove Indicazioni Nazionali rimangano lettera morta, se non accompagnate da investimenti concreti nel sistema scolastico?
“Nuove o vecchie cambia poco. Le Indicazioni Nazionali attuali sono come la nostra Costituzione, le più belle del mondo. All’interno di questo documento elaborato e revisionato da persone come Marco Rossi Doria; Franco Lorenzoni; Giancarlo Cerini; Eraldo Affinati e tanti altri ci sono suggerimenti preziosi che in questi anni spesso non sono stati applicati dai dirigenti e dai docenti. Faccio un esempio ma potrei farne a decine: nelle Indicazioni si dice di “perseguire l’obiettivo costante di costruire un’alleanza educativa con i genitori”. Risultato? Gli organi collegiali che li vedono coinvolti sono inutili! Il fallimento non è solo di Valditara e del Governo di Destra ma della maggior parte dei ministri che si sono succeduti a viale Trastevere più preoccupati dei titoli dei giornali che di cambiare la Scuola ammettendo, in primis, le falle che esistono nel sistema. La didattica personalizzata è un’utopia e forse non ha nemmeno senso. L’inclusione non va a braccetto con le classi numerose e resta una bella parola sulla bocca di molti presidi o nei Pdp o Ptof. Ciò che serve – lo ripeto da decenni – è una seria e bella (sottolineo bella) formazione rivolta ai docenti che non possono essere tuttologi ma devono essere professionisti. Detto in altre parole: non puoi insegnare se non hai studiato Alberto Manzi, Mario Lodi, Danilo Dolci, don Lorenzo Milani, Janusz Korczak, Célestin Freinet, Paulo Freire e Gian Franco Zavalloni oltre a Maria Montessori”.
L’introduzione della Bibbia tra i testi di lettura è coerente con il principio di laicità della scuola? Come si gestirà questo aspetto?
“Credo di essere ateo ma il mio ultimo libro si intitola “Diario di un monastero” e l’ho scritto dopo aver trascorso due mesi con i monaci. Sono contrario al crocefisso in classe se è una suppellettile che serve per ideologia ma appendo in aula il crocefisso fatto con il legno dei barconi dei migranti finiti nel cimitero di Lampedusa spiegando ai miei alunni il significato di quel simbolo. E così quando spiego la Sicilia o leggo il quotidiano coi bambini tutto torna. È assurdo avere ancora nel 2025 l’insegnamento della religione cattolica ma farei, senza dubbio, lo studio delle religioni. Conoscere la Bibbia non lede il principio di laicità della Scuola ma è un fattore culturale. Come puoi entrare nel Duomo di San Gimignano o di Monreale e capire i dipinti se non ti hanno insegnato la Bibbia a scuola? Corrado Augias scrive riferendosi alla Bibbia: “Di queste migliaia di pagine, esistono letture diverse all’interno dell’ebraismo, letture diverse per i cristiani, infine letture diverse anche per i non credenti che però non possono non riconoscere in questa straordinaria raccolta “Il Grande Codice” come l’ha definito il critico letterario canadese Northrop Frye. Solo gli stolti estremisti possono pensare che non si debba parlare della Bibbia a scuola. Semmai, ancora una volta, è necessario verificare che gli insegnanti la conoscano non grazie al catechismo ma a un serio percorso d’apprendimento”.