Non lasciamo da sole le maestre della scuola dell’infanzia
Fernando Mazzeo – Il fenomeno delle aggressioni verbali, fisiche e psicologiche, da parte di alcune maestre, nei confronti dei piccoli, è in continuo e costante aumento da nord a sud. Sconcertanti episodi di maltrattamenti turbano quasi quotidianamente le nostre coscienze, deturpano la scuola e offuscano l'operato cosciente e responsabile di tanti educatori ed educatrici.
Fernando Mazzeo – Il fenomeno delle aggressioni verbali, fisiche e psicologiche, da parte di alcune maestre, nei confronti dei piccoli, è in continuo e costante aumento da nord a sud. Sconcertanti episodi di maltrattamenti turbano quasi quotidianamente le nostre coscienze, deturpano la scuola e offuscano l'operato cosciente e responsabile di tanti educatori ed educatrici.
Senza alimentare una inutile quanto inopportuna e dannosa “caccia alle streghe”, forse, può risultare utile interrogarsi sul perché della diffusione di tali inaudite violenze, in particolar modo nella Scuola dell'Infanzia e, soprattutto, in un periodo storico in cui dovrebbe esserci una significativa e maggiore presa di coscienza delle problematiche infantili.
Le più importanti riforme scolastiche di questi ultimi anni, in sintonia con la migliore tradizione pedagogico-educativa del nostro Paese, puntano a rafforzare gli standard qualitativi, cercano di delineare una scuola di alto profilo ed assegnano all' istituzione scolastica in genere, un ruolo educativo strategico, chiamata a stimolare e valorizzare le potenzialità di ogni ragazzo.
Perché allora questi buchi neri, questi corto circuiti? Per rispondere a questa domanda occorre partire dagli orientamenti di una politica per l'infanzia che ha sempre sottovalutato l' opportunità di una specifica organizzazione dell'educazione infantile e di una razionale utilizzazione delle risorse e delle competenze. In pratica, i suggerimenti che vengono dalla nostra tradizione pedagogica, sollecitano, da anni, un precipuo “coordinamento pedagogico” per la scuola materna, una precisa identità unita ad una altrettanto precisa autonomia delle istituzioni educative prescolari.
La legge 97/1994 che istituisce gli Istituti comprensivi e la legge 59/97 che definisce i criteri generali dell'autonomia delle scuole, hanno di fatto notevolmente attenuato i caratteri differenziatori della scuola del bambino rispetto alla scuola del fanciullo, del preadolescente e dell'adolescente, uniformato i percorsi formativi di tutto il personale docente e impoverito l' attenzione per le diversità, per le differenze intra e individuali dei bambini. Né d'altra parte si può ignorare che il sistema di educazione infantile la cui natura è scolastica, ma si distingue per la sua specificità e
per la sua identità, necessita, a livello istituzionale, di una profonda sensibilità pedagogica, di una rilevante cultura dell'infanzia, di una precipua identità professionale, giuridica e amministrativa.
In questa prospettiva, il principio dell'indipendenza istituzionale della scuola per l'infanzia, costituisce una sorta di leva promozionale a vantaggio della permanente elevazione professionale delle educatrici. Non solo. Ma ben si collega alla esigenza di dare risposta chiara ai problemi connessi agli aspetti organizzativi della scuola, in una prospettiva di aggregazione capace di facilitare il coordinamento di più educatrici e il loro solidale impegno nel comune lavoro.
Pur senza alcuna intenzione di giustificare e senza alcuna pretesa di dare una esaustiva risposta al problema, si può rilevare che la capacità di operare autonomamente in rapporto alle caratteristiche e alle esigenze dell' educazione infantile, favorisce la collaborazione delle educatrici, il coordinamento del loro lavoro, costituisce una guida capace di promuovere ed orientare serenamente il compito educativo di ciascuno.
In linea generale, il coordinamento pedagogico dell'educazione infantile si profila come un sostegno strutturale e funzionale necessario, non soltanto per affrancare da determinati abusi tutte le attività didattiche, ma, soprattutto, per la corretta funzionalità e, al limite, per la stessa efficacia di questo importante segmento educativo e formativo. In questo senso parlare di autonomia gestionale e professionale della scuola dell'infanzia, significa dar ragione alla lungimirante e profetica intuizione pedagogica di una vecchia legge (la legge n.444/1968), ingiustamente relegata nell'ambito della “patologia istituzionale”, sì da richiedere accantonamenti liberatori; ma anche porsi in una relazione di aiuto nei confronti dei bambini e delle loro famiglie, delle stesse educatrici non sempre valorizzate nella nostra società e, spesso, abbandonate a se stesse.
Pertanto, tra le tante figure non sempre utili ed a volte marginali presenti nella scuola (non ultima quella del comitato di valutazione per il merito prevista dalle legge 107/15 che sta già creando non pochi problemi), non è anacronistico o fuori luogo ribadire che il coordinamento pedagogico dell'educazione infantile è condizione essenziale per una scuola che vuol essere viva e qualificata, per una scuola che vuole veramente promuovere la gioia di vivere, crescere, apprendere. Solo in questo modo sarà possibile monitorare costantemente il clima educativo all'interno delle varie sezioni, operare con professionalità secondo linee di piena responsabilità dell'attività educativa.
La scuola dell'infanzia, più di ogni altra scuola, ha bisogno di consolidare un preciso stile di lavoro coordinato per la precarietà relazionale e le interferenze educative che si determinano fra le sezioni; senza poi dire dell'opportunità di una figura costante che sia competente in materia di consulenza tecnica in ordine alla verifica metodologica, all'organizzazione e alle proposte di aggiornamento culturale e professionale delle educatrici. Infatti, l'organizzazione, la funzionalità e l' armonia dell'ambiente educativo è una condizione indispensabile per consentire al bambino di essere attivo, di sentirsi membro di una grande famiglia, responsabile e protagonista della propria educazione.
Non bisogna, inoltre, dimenticare che il passaggio dalle aule di una scuola alle aule di un tribunale è sempre e comunque una sconfitta per tutti.