“Non è colpa dei social se i ragazzi soffrono”, Matteo Lancini smonta i luoghi comuni sull’educazione digitale: “Abbiamo sequestrato i nostri figli prima di Facebook e TikTok”

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Lo psicologo Matteo Lancini ha portato a Che Tempo che Fa una riflessione profonda sul rapporto tra genitori e figli oggi. “Mio nonno aveva un mandato, diciamo, ‘verticale’: lavora, fa figli. Noi invece li vogliamo, li amiamo di più, ma chiediamo loro un patto diverso: non più distanza, ma comprensione”.

Tuttavia, questa vicinanza si scontra con la fatica dell’ascolto, soprattutto quando emergono emozioni scomode come rabbia, tristezza o paura. “Le silenziamo perché ci chiederebbero un impegno maggiore”, spiega Lancini, sottolineando come spesso si neghino queste emozioni ai ragazzi, colpevolizzandoli di superficialità quando in realtà sono gli adulti a non saperle gestire.

Il “sequestro” del corpo e della libertà: colpa dei social o della società?

Lancini smonta un luogo comune: “La pervasività del digitale non l’hanno creata i ragazzi. Il sequestro del corpo dei nostri figli è avvenuto prima, con la chiusura dei cortili, il divieto di giocare a pallone, la paura del rischio”. Ricorda la sua infanzia, in cui i genitori lasciavano uscire i figli nonostante anni di piombo ed eroina, mentre oggi si preferisce il controllo. “Se vogliamo lavarci la coscienza, diamo la colpa ai social, ma siamo noi ad aver costruito questa società”. Una critica netta a un’educazione che ha rinchiuso i giovani, privandoli di esperienze fondamentali per la crescita.

Social network: potenzialità e rischi di un mondo connesso

“Ai miei tempi si diceva: i giovani non sanno più divertirsi. Lo scriveva già Eschilo, lo ripeteva Seneca”, osserva Lancini, ridimensionando l’allarme generazionale. I social e internet non sono demoni, ma strumenti potenti, con lati positivi (come l’accesso immediato alla cultura) e negativi (l’iperconnessione). “Mio padre mi rimproverava per la TV, io lo faccio con il cellulare. Ma il punto è altro: dobbiamo educare a un uso consapevole, senza colpevolizzare i ragazzi per un mondo che abbiamo creato noi”. Una chiamata alla responsabilità degli adulti, troppo spesso inclini a delegare alla tecnologia le proprie mancanze educative.

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