Nel 46% dei Comuni del Sud, scuole primarie a rischio chiusura per lo spopolamento

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Secondo il Rapporto Svimez 2024, presentato di recente, l’Italia potrebbe perdere 4,5 milioni di abitanti entro il 2050. Di questi, il Mezzogiorno sarà la regione più colpita, con una riduzione stimata di 3,6 milioni di persone, pari all’82% della diminuzione complessiva. Il fenomeno non riguarda solo il calo della popolazione, ma anche un significativo degiovanimento. Gli under 15 diminuiranno di 813mila unità (-32,1%), mentre gli over 65 aumenteranno di 1,3 milioni (+29%).

Impatto sulle iscrizioni scolastiche

Il calo demografico si rifletterà direttamente sulle scuole, con una riduzione significativa degli iscritti entro il 2035. Nel Mezzogiorno, la diminuzione prevista è del -21,3%, mentre nelle regioni centrali si attesterà al -26% e al -18% nel Nord. Questa tendenza potrebbe portare alla chiusura delle scuole primarie in circa 3mila comuni con meno di 125 bambini, un numero sufficiente per mantenere in vita solo una “piccola scuola”. Le aree interne saranno le più colpite, con il rischio chiusura che riguarda il 46% dei comuni del Sud.

Politiche necessarie per affrontare l’emergenza

Per contrastare questo fenomeno, il rapporto Svimez sottolinea l’urgenza di adottare politiche di lungo periodo. Le priorità includono il potenziamento del welfare familiare, strumenti per la conciliazione vita-lavoro, una maggiore offerta di servizi per l’infanzia e un sostegno concreto ai redditi familiari e alla genitorialità. È necessario superare la frammentarietà degli interventi attuali per affrontare una situazione definita come un’emergenza di emigrazione interna, e non di immigrazione.

Il commento di Cgil e Flc Sicilia

Il Rapporto Svimez, presentato dall’Associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno, evidenzia un quadro critico per la Sicilia. Secondo Alfio Mannino e Adriano Rizza, rispettivamente segretario generale della Cgil Sicilia e della Flc Cgil Sicilia, un problema strutturale è rappresentato dalla ridotta spesa pubblica italiana in istruzione, che si attesta al 4% del PIL, al di sotto della media OCSE (5%) e UE (4,4%). Le scuole dell’infanzia sono particolarmente colpite, con una destinazione di appena lo 0,75% della spesa pubblica, contro il 2% della Germania. Questa carenza di investimenti penalizza anche la scuola primaria e secondaria di primo grado, compromettendo la qualità dell’istruzione e ampliando le disuguaglianze. Secondo Mannino e Rizza, è necessario un cambio di rotta per valorizzare il ruolo centrale dell’istruzione nello sviluppo del Paese. Investimenti adeguati e duraturi sono indispensabili per garantire alle future generazioni opportunità migliori e per sostenere una transizione economica basata su innovazione e conoscenza. Ignorare queste priorità significherebbe condannare il sistema economico italiano a una stagnazione strutturale.

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