“Negli istituti alberghieri manca la realtà”, per lo chef pluristellato solo chi ascolta, osserva e chiede può diventare un vero professionista. Genitori e insegnanti, “il vostro compito è accendere la scintilla della voglia di fare”

Per Chicco Cerea, chef tristellato, in un’intervista a L’Eco di Bergamo, il talento nel mondo della ristorazione non si misura solo con la tecnica. “Attenzione, curiosità, voglia di fare: io lo vedo dopo cinque minuti chi ha la stoffa”, afferma.
La differenza, spiega, sta nell’atteggiamento: “Se non ascolti, non guardi, non chiedi, non sei una spugna… non è questione di bravura, è che non ti interessa abbastanza”. Un giudizio netto, frutto di decenni trascorsi a formare giovani, che mette in luce un problema cruciale: il disallineamento tra scuola e mondo del lavoro.
“Troppa teoria, poca pratica”: la critica agli istituti alberghieri
Cerea non usa mezzi termini: “Negli istituti alberghieri si insegna ancora troppo poco della realtà. I ragazzi arrivano qui e non sanno cosa significa davvero stare in una cucina o in una sala”. Il problema, secondo lo chef, non è solo nei programmi didattici, ma nell’approccio formativo. “La scuola dovrebbe insegnare la cultura del lavoro, il rispetto per clienti e colleghi. Invece spesso manca tutto questo”. Il risultato? Giovani svogliati, privi di quella scintilla necessaria per affrontare un mestiere impegnativo. “È difficile accendere una passione se non c’è qualcuno che te la trasmette”, aggiunge.
Genitori e responsabilità: il ruolo della famiglia e dell’esperienza diretta
La soluzione, per Cerea, sta in una formazione esperienziale. “La prima carota che ho pelato non me la scorderò mai. Oggi, invece, ci sono ragazzi che fanno sei mesi di stage e non toccano un coltello”. Serve, dunque, un cambio di rotta: più pratica, più responsabilità, più spazio per sbagliare e imparare. Ma non è solo compito della scuola. Anche i genitori hanno un ruolo: “Spesso li accompagnano qui e chiedono: ‘Ma cosa gli fate fare?’. Io rispondo: gli facciamo vivere il lavoro”. Un lavoro fatto di fatica e soddisfazioni, che oggi più che mai ha bisogno di nuovi talenti capaci di innovare. “La scuola può darti le basi – conclude Cerea –. Ma la passione… quella, se non la trovi dentro, non arriva mai”.
Come colmare il divario tra formazione e realtà professionale
Il rapporto tra scuola e mondo del lavoro rappresenta una delle sfide più complesse e attuali del sistema educativo. Negli ultimi anni, la distanza tra ciò che viene insegnato tra i banchi e le competenze richieste dalle aziende si è fatta sempre più evidente, alimentando un dibattito che coinvolge docenti, studenti, famiglie e imprese.
L’orientamento scolastico, spesso limitato a informazioni generiche sulle professioni, fatica a guidare i giovani verso scelte consapevoli e coerenti con le reali opportunità occupazionali. In questo scenario, emerge la necessità di ripensare i percorsi formativi, puntando su una didattica più esperienziale e su un dialogo costante con il tessuto produttivo.
Gli istituti professionali e tecnici, che dovrebbero rappresentare il ponte naturale tra scuola e lavoro, si trovano oggi a dover affrontare una doppia sfida: da un lato, il calo delle iscrizioni e la percezione di “serie B” rispetto ai licei; dall’altro, la difficoltà di aggiornare programmi e laboratori in linea con le trasformazioni del mercato.
Alcune scuole, però, stanno sperimentando modelli innovativi, grazie a laboratori permanenti, stage in azienda e collaborazioni con realtà locali, che permettono agli studenti di acquisire competenze pratiche e di misurarsi con le richieste concrete delle imprese.
Le esperienze dimostrano che l’apprendimento “sul campo” non solo rafforza le conoscenze tecniche, ma contribuisce anche allo sviluppo di soft skills fondamentali come la capacità di lavorare in gruppo, la gestione dello stress e la flessibilità.
Un ruolo chiave è giocato dall’alternanza scuola-lavoro (oggi PCTO), che, se ben progettata, può rappresentare un’occasione preziosa per avvicinare i giovani al mondo produttivo. Tuttavia, non mancano le criticità: in molti casi, gli stage si riducono a esperienze poco significative, prive di reale valore formativo. Per rendere efficace l’alternanza, è necessario un coinvolgimento attivo delle aziende e una progettazione condivisa dei percorsi, che tenga conto delle esigenze di entrambe le parti. In questo contesto, la formazione dei docenti assume un’importanza strategica: solo insegnanti aggiornati e motivati possono guidare gli studenti in un percorso di crescita personale e professionale.
Anche le famiglie hanno un ruolo determinante nell’orientamento dei ragazzi. Spesso, però, la tendenza a privilegiare percorsi considerati più “sicuri” o prestigiosi rischia di limitare le scelte degli studenti, alimentando la fuga dai settori professionali e artigianali. È fondamentale, invece, valorizzare tutte le strade formative, riconoscendo il valore del lavoro manuale e delle competenze tecniche in un’epoca di rapida trasformazione tecnologica.
Infine, l’innovazione didattica rappresenta la chiave per rendere la scuola più attrattiva e funzionale. L’introduzione di nuove tecnologie, la creazione di laboratori digitali e l’adozione di metodologie attive possono contribuire a colmare il gap tra formazione e lavoro, offrendo ai giovani strumenti concreti per affrontare le sfide del futuro. Solo attraverso un impegno condiviso tra scuola, famiglie e imprese sarà possibile costruire un sistema educativo capace di rispondere alle esigenze della società e di valorizzare i talenti delle nuove generazioni.