“Monelleria e ignoranza sono sintomi. E i sintomi vanno capiti e curati”. INTERVISTA al docente Maurizio Muraglia

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La “condotta”, i luoghi comuni, l’apprendimento e la vera lotta alle deprecabili “condotte sociali” al centro dell’intervista al professore Maurizio Muraglia che da anni segna il dibattito attorno ai temi focali dell’apprendimento, della pedagogia e dell’innovazione curriculare e metodologica. Facile cavalcare il tema del “comportamento” all’indomani di fatti deprecabili e che scuotono l’opinione pubblica. Ma cosa c’è e cosa bisogna ancora prevedere nella nostra scuola? Ne parliamo con il prof. Muraglia, docente di Lettere nei Licei annessi all’Educandato “Maria Adelaide” di Palermo. Esperto di questioni educative e didattiche e formatore, collabora con riviste specializzate e, per l’editrice Tecnodid, ha pubblicato nel 2011 il volume “Curricolo”. Cospicui i suoi interessi per Dante, visibili attraverso interventi pubblici e pubblicazioni, tra cui il libro “Dante parla ancora?”, pubblicato con Laura Mollica nel 2021.

Professore, cosa si intende per “condotta” o “comportamento” a scuola?

«Nella vulgata i due termini sono usati quali sinonimi, ma il loro reale contenuto risulta sempre alquanto sfuggente. Dal mio punto di vista, si intende il modo in cui ogni allievo vive l’esperienza di apprendimento: motivazione, interesse, impegno, partecipazione, rispetto delle regole. Spesso però quest’ultimo nella valutazione prende tutto il campo».

Quanto peso, nel tempo, si è dato al voto o al giudizio sintetico del comportamento? Tale importanza muta o è mutato (anche nel tempo) al variare dell’ordine di scuola?

«Poiché se ne condivide la rilevanza educativa, a seconda delle stagioni e di eventuali recrudescenze di fenomeni devianti (bullismo, vandalismo, aggressioni varie), il peso è andato variando. Proprio in queste settimane, a seguito delle violenze di genere registrate dalle cronache, il Ministero ha annunciato un giro di vite proprio a partire dal voto di condotta. È chiaro che nel secondo ciclo l’enfasi sulla condotta aumenta».

Professore, lei scrive, “Non è infrequente vedere addossata al lassismo scolastico la responsabilità delle più efferate condotte sociali”. È davvero questa la percezione che si ha della scuola anche all’indomani di efferati accadimenti che scuotono l’opinione pubblica?

«Chi conosce bene il mondo della scuola non si lascia fuorviare da questi “scuotimenti”. La scuola è un sottosistema del sociale, e con esso intrattiene una reciprocità che non può essere misconosciuta, come se tutto quel che accade nel sociale dipenda dalla scuola. Peraltro, non sembra che in questi anni la politica sia stata capace di investire massicciamente sulla scuola e sui docenti. Risulta paradossale attribuire oneri senza onori».

La scuola è al centro di un ennesimo disegno di legge che, stavolta, attenziona la questione “comportamento”. Cosa propone e con quali prospettive questo nuovo impegno normativo?

«Questo è un impegno normativo che si illude (e illude) di restituire autorevolezza, rispetto e serenità alla scuola inasprendo gli effetti del voto di condotta. Nella secondaria di primo grado è stato reintrodotto addirittura il voto. Come se un numero avesse più efficacia sanzionatoria di un pronunciamento verbale. Non so chi possa convincersi dell’efficacia di una sospensione del giudizio di promozione, nel secondo ciclo, per chi ha “sei” in condotta (allievo che dovrebbe contestualmente avere tante altre insufficienze) ed è chiamato, per acquisire la promozione, a svolgere un elaborato su temi di cittadinanza. Rasentiamo il grottesco. Il compitino dei buoni pensieri per andare avanti a scuola».

Professore, la norma si sofferma sul “maggior peso” (punto b2 comma 4 dell’art. 3) da attribuire a questa nuova modalità di valutazione della “condotta”, lasciando inferire – lei scrive – che la valutazione del comportamento attualmente praticata non sia in grado di dispiegare i suoi effetti deterrenti sugli studenti. È davvero questa la situazione della scuola italiana?

«No. La scuola italiana soffre di mali endemici che hanno scarso o nessun nesso col voto di condotta. Il rapporto educativo tra docenti e discenti non soffre certamente di carenze sanzionatorie. La sanzione arriva quando la partita educativa è persa. Quel rapporto va rivitalizzato a partire da una rinnovata fiducia tra chi insegna e chi impara ed un’altrettanta rinnovata fiducia tra docenti e famiglie. Al di là del formale Patto di responsabilità. Se la credibilità sociale dei docenti resta quella attuale, non servirà brandire il voto di condotta. Si rischia il ridicolo».

Lei scrive in maniera davvero encomiabile e in forma assolutamente condivisibile “Sembrerebbe che il comportamento avvenga al di fuori del contesto di apprendimento e che quest’ultimo addirittura non abbia la potenza di condizionarlo”. Quale il rischio di depotenziare il valore dell’apprendimento?

«La condotta è funzione della didattica. Non esiste la “condotta”. Esiste la “condotta a scuola”. E a scuola si va per imparare. La scuola ha il compito di far rispettare le regole di convivenza civile, e su questo non ci piove. Poi però deve dare sensatezza alla presenza dei ragazzi in classe, soprattutto di quelli meno motivati. Il principale strumento della scuola per intervenire su motivazione e serietà è l’interesse che suscita il sapere. Qualsiasi sapere. È decisiva la mediazione didattica. La mera trasmissione non solo non affronta le fragilità ma crea sbadigli persino tra i più motivati. Si chieda agli studenti».

Possiamo dire che è ancora diffusa l’idea e la prassi consequenziale che alla monelleria non può che corrispondere la punizione e all’ignoranza la bocciatura?

«Molto diffusa. Ma le aree più evolute del corpo docente non hanno questa ingenua convinzione. La monelleria e l’ignoranza sono sintomi. E i sintomi vanno capiti e curati. Punire e bocciare rappresenta la vittoria di Pirro di un corpo docente che non è più capace di rimproverare e di appassionare».

Dunque, quale la strada per una scuola capace di contrastare le povertà culturali di questo secolo?

«La scuola deve dismettere quanto più possibile la burocrazia che sta schiacciando i docenti sotto una mole infernale di adempimenti volti a rendicontare anche l’aria che si respira. Le povertà culturali di questo secolo devono essere studiate bene, e non possono studiarle bene docenti precari oppure docenti che devono sbarcare il lunario a fine mese o ancora docenti che ripetono tale e quale sempre il primo anno di insegnamento. Soltanto docenti ben retribuiti (non in forme occasionali e aggiuntive) e ben motivati e formati potranno davvero affrontare le fragilità di cui è portatrice la maggior parte dei bambini e dei ragazzi».

Se fosse lei, professore, a ridisegnare la scuola italiana quali tasselli riterrebbe indispensabili e quali strategie adotterebbe?

«Intanto favorirei per legge la composizione di un comitato scientifico bipartisan incaricato di studiare i problemi della scuola al di là dei cambi di legislatura. Un organismo permanente e autorevole, dai pareri vincolanti. Purtroppo il CSPI non assolve a questa funzione perché i governi di turno ignorano quasi sistematicamente i suoi pareri, peraltro non vincolanti. Poi negozierei con i sindacati uno spazio ben più cospicuo da dare alla formazione e all’aggiornamento dei docenti e disegnerei un sistema che integri in modo meno occasionale formazione e didattica quotidiana. Darei dignità di “centri di ricerca” ai dipartimenti, finanziandone massicciamente il lavoro. E, come ho già detto, alleggerirei la burocrazia che molte volte è inutile. Qualcuno è in grado di dire a cosa servono ancora le programmazioni scritte a ottobre che nessuno guarda e che fatalmente hanno scarso nesso con quel che poi avviene quotidianamente in classe?».

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