“Molti insegnanti contribuiscono al proprio deterioramento psico-fisico urlando. Ecco perché gridare fa male anche agli alunni”

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Di Ana Diana Anghel, esperta multidisciplinare in scienze della salute, profilo biochimico e neurocognitivo – Desidero offrire una riflessione che manca quasi sempre nel dibattito scolastico: il fatto che moltissimi insegnanti contribuiscono attivamente e inconsapevolmente al proprio deterioramento psico-fisico proprio attraverso il gesto più frequente e apparentemente “liberatorio” che compiono in classe: urlare.

Molti insegnanti giustificano le urla dicendo “non ce la faccio più”, “non mi ascoltano”, “è l’unico modo per farli stare zitti”. In realtà, ogni volta che urlano, è il loro stesso corpo a pagare il prezzo. Ogni urlo attiva il sistema simpatico: aumentano la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa, la produzione di cortisolo, la tensione muscolare e la vasocostrizione. L’organismo si comporta come se stesse affrontando una minaccia. E quando questo accade tutti i giorni, più volte al giorno, per mesi o anni, si entra in una spirale di allerta cronica che esaurisce le risorse cognitive, immunitarie ed endocrine.

Gridare non è uno sfogo: è un auto-avvelenamento lento.

Le neuroscienze lo dimostrano chiaramente: chi urla abitualmente altera il funzionamento della corteccia prefrontale (quella che serve per prendere decisioni, inibire impulsi, restare lucidi), rafforza i circuiti dell’aggressività reattiva e peggiora la propria vulnerabilità al burnout. In altre parole, ogni volta che un insegnante perde il controllo della voce, perde anche un po’ di sé stesso. È il cervello stesso a soffrirne: si riduce la tolleranza allo stress, si abbassa la soglia della pazienza, si diventa più fragili e cognitivamente affaticati.

E tutto questo non tiene conto del danno che viene arrecato agli alunni. Gridare contro i bambini non è solo inutile, è neurotossico. I bambini piccoli, e anche quelli della scuola primaria, non distinguono un urlo educativo da una minaccia. L’attivazione dell’amigdala produce in loro effetti biologici simili a quelli dell’abuso emotivo: alterazioni nella memoria di lavoro, difficoltà nella regolazione emotiva, insonnia, ansia, ritiro sociale. (Fonte: ScienceDirect, “Effects of verbal aggression on child neurodevelopment”).

Molti docenti pensano che “non ci sia altra soluzione”. Ma c’è: imparare a non sabotarsi. Perché le urla, oltre ad essere dannose per i bambini, sono un acceleratore diretto del proprio logoramento neurofisiologico. Più si urla, più ci si brucia. È un dato biologico.

Ricordo infine che il nostro ordinamento tutela l’integrità psichica e morale dei minori. L’art. 571 del Codice Penale punisce l’abuso di mezzi di correzione, e ogni modalità coercitiva e offensiva della personalità dell’alunno è in contrasto con i principi costituzionali di tutela educativa (art. 33 Cost., Legge 107/2015, Linee guida MIUR sul benessere scolastico). Nessuno è autorizzato a danneggiare sé stesso e gli altri in nome della “fatica”.

Chi urla si ammala e si ferisce. Chi viene urlato, si ferisce e si ammala. E la scuola, così, fallisce la sua missione.

Gridare non è solo un suono: è l’effetto comportamentale visibile di un meccanismo neurofisiologico interno di allerta e disfunzione emotiva.

Riferimenti:

1. Arnsten (2009): parla chiaramente della rabbia e delle emozioni forti che attivano i circuiti limbici, inibendo la corteccia prefrontale. Questo meccanismo è ciò che accade quando una persona urla per rabbia: perde il controllo razionale e reagisce in modo impulsivo. Il paper collega questi stati emotivi intensi alla distruzione dei circuiti neuronali prefrontali.

2.
McEwen (1998): descrive cosa accade quando l’organismo entra in ripetute attivazioni dell’asse HPA (ipotalamo-ipofisi-surrene), come accade durante reazioni esplosive o urla frequenti. Lo stress diventa tossico e produce danni cumulativi, esaurendo le risorse cognitive e ormonali.

3.
Lupien et al. (2009): anche se non parla dell’urlo in sé, illustra cosa accade a livello neurobiologico quando una persona vive esplosioni emotive frequenti (che includono comportamenti come urlare): alterazioni nella memoria di lavoro, regolazione emotiva compromessa, iperattività dell’amigdala e disturbi del sonno.

4.
Radley & Morrison (2005): evidenziano come gli episodi ripetuti di stress reattivo, come quelli che si verificano nei soggetti che perdono frequentemente il controllo (es. urlano), provocano cambiamenti strutturali negativi nel cervello.

5.
Yaribeygi et al. (2017): offrono una panoramica degli effetti dello stress sul corpo, mostrando che ogni attivazione del sistema simpatico, come quella indotta da un urlo rabbioso, aumenta cortisolo, pressione, tachicardia e infiammazione, con conseguenze neuroendocrine a lungo termine.

Chi urla frequentemente non si libera dalla tensione, ma la radica nei propri circuiti neuronali, compromettendo nel tempo lucidità, equilibrio e salute (neuroendocrina).

L’articolo arriva in risposta a Quasi il 50% dei docenti è a rischio burnout, lavora anche se malato e il 20% rimane a scuola oltre gli obblighi (presenteismo). INTERVISTA a Gaetano Cotena

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