Le signore dei BES. Lettera

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Inviato da Mauro Alario – Il permissivismo e la logica della concessione non bastano a rappresentare una scuola destinata ormai all’irrilevanza.

La diffusa ipocrisia che la popola contribuisce a squalificarla, il grottesco la ridicolizza. La medicalizzazione del processo formativo trasforma l’istituzione in un luogo di cura obbligato, in cui l’intervento terapeutico sostituisce l’acquisizione dei saperi.

Curare l’anima significa il più delle volte assecondare capricci, assolvere inadempienze, col risultato di creare individui sempre più fragili e assistiti.

Mentre la prima fase del presunto cambiamento era costituita dall’ideologia delle competenze, con l’obiettivo di svuotare l’elemento culturale dall’insegnamento (eseguire senza pensare), l’approccio emozionale concorre a creare lo studente malaticcio, bisognoso di cure, incapace di sostenere l’onere dello studio, dunque la necessità di individuare strumenti e strategie che lo agevolino nel percorso di apprendimento. Una impostazione certamente virtuosa nei principi, ma che andrebbe osservata più da vicino per capirne l’efficacia o il danno. Agli studenti realmente in difficoltà, va tutta la nostra comprensione e affetto.

Per signore dei BES (bisogni educativi speciali) intendo quelle docenti che, a seguito di scarso profitto manifestato da uno studente, sovente dovuto all’accidentato sviluppo della crescita, propongono interventi didattici indolori al fine di assicurarne la promozione. Anziché limitarsi all’informazione e muoversi nell’ottica del buon senso, promuovono la necessità dell’ approccio curativo mediante l’ufficialità della documentazione, così che la funzione dell’insegnante subisce un mutamento sostanziale: il passaggio dall’approccio istruttivo – educativo a quello terapeutico.

Le signore dei BES diventano infermiere, tamponano ferite, incentivano provvedimenti medicali. Le tipologie sono molteplici: la categoria delle indifferenti, concordi su ogni proposta; le missionarie, che oltre a non distinguere gli studenti bisognosi, si votano alla dedizione salvifica purchessia; la tipologia furbesca, che trova il pretesto per evitare bocciature e scrupoli di coscienza. L’impressione è che la “malattia” in alcuni casi sia appiccicata, che dipenda da fattori esterni rispetto alla condizione vissuta dallo studente. In effetti, oltre alla complicità delle “signore” la logica curativa si alimenta nel contesto sociale. Genitori e psicologi con la condiscendenza di garbati burocrati ne sollecitano la realizzazione, consigliano dosi e strategie di intervento. Le signore dei BES non solo dunque suggeriscono pratiche di soccorso, ne subiscono l’invadenza fino a condividerne i dettami.

Le iniziative più bizzarre si sviluppano tuttavia dalla fervida mente delle “signore”: agevolazioni alla svogliatezza, appoggio a condotte irresponsabili, con la giustificazione del malessere psichico.

L’alunno diventa oggetto di analisi, di maniacale attenzione, un volontarismo improvvisato che attende complicità si impadronisce delle docenti elevandole a vestali dei pargoli in formazione. La forma patetica di tali comportamenti intristisce, rende impotenti, induce alla rassegnazione.

L’impegno scolastico diventa superfluo, un onere fastidioso di cui liberasi. Meglio curare che disturbare le esili menti. Il piglio della guarigione non incontra ostacoli, diventa un abito, una natura propensa al bene.
Storia di oggi, epoca “rassicurante”.

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