“Mascherine a scuola? Senza base scientifica. Se il volto non può essere condiviso non c’è scuola”. Intervista al Professore Daniele Novara
Siamo a fine anno scolastico, è tempo di bilanci, ma alcuni temi son ancora al centro dell’attenzione come l’uso delle mascherine a scuola. Ne abbiamo parlato con il Professor Daniele Novara, Pedagogista, autore, fondatore e direttore del CPP centro psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti.
Professor Novara, le aperture legate alla crisi pandemica non hanno riguardato la scuola, tant’è che anche in questo mese particolarmente caldo gli alunni sono costretti ad indossare le mascherine a scuola. Quello delle mascherine è un tema che già aveva affrontato in passato criticandone l’uso a scuola. Ci aiuta a comprendere meglio perché questa restrizione continua a persistere nel mondo della scuola?
In questi due anni mi sono battuto su due tematiche importanti, la riapertura delle scuole, senza vincoli così com’era nel resto d’Europa, e il progressivo allentamento delle restrizioni scolastiche. Nel primo caso abbiamo ottenuto un buon risultato, sul secondo obiettivo direi assolutamente di no. Addirittura chiesi, durante l’audizione alla commissione parlamentare, di ridurre queste restrizioni, ma c’è poco ascolto. La scuola viene vista ancora oggi come una sorta di amplificatore del contagio. È una concezione che non ha nessuna base scientifica né epidemiologica, tant’è che i punti di picco dei contagi si sono verificati in concomitanza delle festività natalizie e pasquali quando la scuola era chiusa. Da questo punto di vista la scuola è un ambiente sicuro, il buon senso avrebbe dovuto consigliare, come nel resto d’Europa, di ridurre le restrizioni, ma questo, in realtà, non è avvenuto nemmeno dopo la fine dell’emergenza sanitaria. Proprio in quel momento il Premier Draghi aveva chiesto ed aveva auspicato che la scuola tornasse senza la restrizione delle mascherine, ma non è stato ascoltato. Addirittura, nella scorsa settimana, ha fatto una capatina in una scuola di Padova presentandosi senza mascherina tra gli studenti ed ha auspicato che il prossimo anno scolastico possa iniziare senza questa restrizione. Mi auguro che almeno il Premier venga ascoltato. L’unico cambiamento che abbiamo ad oggi per la scuola, dopo la fine dell’emergenza sanitaria, è stato il ripristino delle gite scolastiche, che sembra dettato più da esigenze di carattere turistico-economiche che non dai bisogni degli studenti e dell’ambiente scolastico. La questione specifica della mascherina è una faccenda che merita una considerazione particolare. Paradossalmente oggi possiamo stare dieci ore in un bar oppure andare in giro per negozi senza dover indossare la mascherina, però nella scuola si continuano ad avere restrizioni legate all’uso delle mascherine con ripercussioni sul ritorno ad una necessaria normalità della vita scolastica. Ricordiamo che non c’è scuola senza l’incontro. Se il volto non può essere condiviso non c’è normalità, non c’è scuola, perché la scuola è comunità, è relazione, è un momento d’incontro. La motivazione prevalente, sia di bambini che delle ragazze e dei ragazzi, è di andare a scuola per i compagni. Aver debilitato questo elemento motivazionale con un uso assoluto e a volte anche intollerante delle mascherine sta creando molta disaffezione nei confronti della scuola. Pensiamo solo all’alto numero di ragazzi che quest’anno verranno bocciati perché a scuola letteralmente non ci sono andati. Sarebbe stata un’operazione di buon senso, da parte delle istituzioni, permettere, perlomeno, di togliere la mascherina all’aperto, ad esempio durante l’intervallo scolastico, come già facciamo tutti noi da qualche tempo. Tutto questo non è avvenuto, fatto salvo alcuni casi dove dirigenti di buon senso hanno permesso, almeno all’aperto, che i bambini potessero correre e giocare senza questa limitazione. La salute non è semplicemente proteggersi da un virus, ma proteggere soprattutto la salute mentale dei nostri alunni. Purtroppo due anni in questa situazione stanno creando condizioni mentali e psichiche di grande sofferenza.
Professor Novara, ai provvedimenti restrittivi che hanno coinvolto la scuola non sono seguiti degli adeguamenti di carattere strutturale delle nostre scuole che potessero aiutare i ragazzi a sopportare meglio questi disagi. Una su tutte la questione dell’areazione, dove molte scuole hanno strutture datate e l’unico modo per areare le classi è stato quello di mantenere le finestre aperte lasciando gli alunni al freddo d’inverno e al caldo in questo periodo con l’obbligo di indossare la mascherina. Si è parlato sempre della tutela della salute in ottica di prevenzione al Covid non considerando che questa cattiva gestione delle aule esponeva i nostri alunni ad altre tipologie di malattie. Allora le chiedo perché non si è approfittato di questa situazione, e dei fondi messi a disposizione, per ammodernare le nostre scuole e renderle più salubri?
È una questione che si ripete nel tempo. L’ambiente scolastico viene lasciato all’ultimo posto nella vicenda Covid, dando per scontato che i bambini, i ragazzi e gli insegnati siano disposti a qualsiasi sacrificio. Abbiamo visto tutti il polverone che hanno alzato albergatori e baristi ed hanno ottenuto concessioni, ma dalle scuole non si sono mai alzate voci di grande protesta, perché gli insegnanti sono responsabili, lo abbiamo visto anche nel caso della guerra, le scuole sono sostanzialmente schierate a favore della pace, e quindi seguono le indicazioni del Governo sulle disposizioni sanitarie, ma è proprio dal Governo che ci si attenderebbe un’indicazione. Senz’altro condivido quanto da lei affermato nella sua domanda, perché dopo due anni di pandemia mi sarei atteso che ci fosse un’organizzazione per realizzare la “famosa” areazione delle aule. In piccola parte è stata programmata in una regione come le Marche, è quindi sostanzialmente possibile. Inoltre con il PNRR abbiamo molti fondi a disposizione che non necessariamente devono essere utilizzati solo per l’edilizia scolastica, ma potrebbero essere utilizzati anche per migliorare la salute ed il benessere degli alunni e degli insegnanti. Credo che la prima determinazione poteva essere quella inerente l’areazione che avrebbe automaticamente permesso di stare più tranquilli senza la necessità di dover ricorrere ad un uso così eccessivo delle mascherine. E comunque non è pensabile ipotizzare di continuare ad utilizzare anche in futuro le mascherine a questo modo, a fine maggio, con tutte le finestre aperte e questa ondata di caldo non è ragionevole. Ci sono delle lacune nella gestione del Covid a scuola e mi auguro che in futuro si ascoltino almeno le parole del Premier e che nel prossimo anno scolastico ci siano dei cambiamenti tangibili. Non possiamo permetterci di rovinare questa generazione solo perché la utilizziamo come capro espiatorio della pandemia.
Un altro aspetto che lei ha evidenziato in precedenza, e che abbiamo già ribadito anche nelle nostre interviste, è l’importanza della relazione a scuola, di come sia importante anche per la costruzione della personalità dei nostri ragazzi e di come le mascherine siano state in parte dei freni della relazione e di conseguenza per un loro sano sviluppo psico-fisico. Recentemente il parlamento ha approvato la legge sulle competenze non cognitive, che vanno nel senso che lei sta auspicando. Non trova che ci sia un controsenso tra la normativa che cerca di valorizzare queste competenze e la realtà che di fatto le neutralizza con questi strumenti di isolamento che limitano la relazione tra le persone?
È vero, ma mio malgrado devo dire che questi controsensi sono una pratica costante nella tradizione scolastica. Di queste vicende, io che sono un pedagogista “senior”, ne ho viste e vissute tante, da ultimo il concorsone degli insegnanti. Dopo che il Ministero si era speso in lungo e in largo con tanti documenti e dichiarazioni, anche del Ministro, contro la didattica delle lezioni frontali e puramente trasmissive, si arriva alla prova orale del concorso dove si chiede agli aspiranti insegnanti di simulare una lezione. Le contradizioni son all’ordine del giorno, abbiamo tante forze centrifughe, tante lobby, tanti interessi contrapposti che portano a scelte ondivaghe. Se veramente la scuola si mettesse in testa che è un servizio a favore dell’apprendimento delle nuove generazioni e che l’apprendimento non è semplicemente mettere le crocette giuste alle risposte giuste, a mo di quiz televisivi, ecco che allora tutto il sistema si riformulerebbe, così come i processi di valutazione e la didattica, e tutto questo in funzione di un reale apprendimento e non di una convenzionalità, come accade ogni volta per gli esami di maturità dove ci sono tanti dibattiti ma poco entusiasmanti. Lo trovo un rituale di convenzione ma che non ha un significato di vera e propria verifica e valutazione. La valutazione è una cosa seria che va effettuata sui progressi di un alunno che vengono commisurati ai suoi punti di partenza, quella che chiamo valutazione evolutiva. Ci vuole anche una didattica che vada in questa direzione e ovviamente, come ha detto lei, una didattica relazionale. Non esiste una didattica puramente individuale, esiste l’individualizzazione come processo di apprendimento, ma sempre nel contesto sociale e dell’interazione che non isolano l’alunno. Dopo questi due anni è necessario dare una svolta, tornare ad una didattica viva, di presenza attiva, di esperienza e partecipazione sociale.
Un’ultima domanda restando sul tema delle competenze non cognitive. A settembre dovrebbe partire la formazione dei docenti in questo ambito. Lei da tempo ha avviato progetti di formazione che riguardano proprio queste competenze, ad esempio la valutazione maieutica, la strutturazione della classe, le modalità di interazione al suo interno e la gestione dei conflitti. A questo punto le chiedo quanto sia importante la formazione e perché viene lasciata alla buona volontà dei singoli istituti.
Questi sono annosi problemi sindacali della scuola dove non c’è ancora un profilo professionale dell’insegnante che, invece, viene considerato come un impiegato dello Stato e non un professionista dell’apprendimento. Devo dire che i sindacati, che su diversi aspetti sono molto avanzati, su altri incespicano sui retaggi del nostro passato di cui non abbiamo bisogno. Penso che riusciremo ad avere un cambiamento quando l’orario scolastico non sarà più organizzato sulla base del così detto orario di lezione, che già il termine è equivoco per antonomasia, perché non ci si può basare solo sulle lezioni se si vuole avere una scuola con una didattica viva, vera ed efficace. Dobbiamo puntare, come nel resto d’Europa, ad avere un monte orario dove c’è la presenza in aula, con i ragazzi, ma insieme si colloca la preparazione ed il lavoro d’equipe. Una grande carenza, soprattutto nella scuola secondaria di primo e secondo grado, è la mancanza di una organizzazione dell’apprendimento in equipe, cioè del gioco di squadra degli insegnanti. Siamo ancora dominati dalla “campanella” che scandisce i tempi dell’aula con l’alternanza degli insegnanti. Credo che nelle scuole secondarie i docenti siano in grado di organizzare le attività senza il bisogno della campanella. Abbiamo bisogno di destrutturare questo mito della materia a favore di una didattica che trasversalizzi gli apprendimenti. Questa nuova legge è un’occasione per fare un passo avanti ma deve essere inserita all’interno di un metodo. Non mi stancherò mai di ripetere che per aiutare gli alunni ad apprendere ci vuole metodo, l’insegnante deve avere metodo ed essere in grado di saper far lavorare gli alunni e non semplicemente saper parlare agli alunni, che è il grave equivoco idealistico della scuola gentiliana che ci trasciniamo. L’insegnante non è solo un testimone del sapere, ma deve essere in grado di mobilitare i propri alunni in funzione di un’esperienza di apprendimento. I ragazzi di oggi sono cambiati e la scuola deve prenderne atto se vuole evitare quello che sta succedendo in Italia, mi riferisco ai NEET, quelli che non studiano e non lavorano, al record di abbondoni scolastici e al record negativo di laureati. È sotto gli occhi di tutti che questo sistema non funziona, i risultati sono pessimi, e quindi bisogna cambiare metodo ricorrendo a quella che è la scienza dell’apprendimento, che è la pedagogia. Una precisazione anche in questo senso va fatta, io mi riferisco alla vera pedagogia e non al “trombonismo” accademico chiuso in sé stesso di cui non abbiamo nessuna nostalgia. La vera pedagogia è quella di Maria Montessori, una scienza pratica, concreta, che ti aiuta ad imparare. Non dimentichiamo che la Montessori fu accusata dai “Tromboni” di far fare i lavoretti agli alunni mentre loro si dedicavano ai grandi sistemi, con scarsi risultati. Il mondo è cambiato e do ragione ai ragazzi che spesso e volentieri sono disaffezionati da questa scuola “trombonistica” e delle crocette. Abbiamo bisogno di una scuola viva e laboratoriale, come diche anche il Ministro e ribadito in molti documenti ministeriali, una scuola che sappia emozionare gli alunni. Il bambino andrebbe lasciato a 100 metri dalla scuola, se corre verso la scuola vuol dire che è contento di andarci, mentre se torna in dietro vuol dire che c’è qualche problema. Con questo voglio dire che gli alunni devono essere attratti dalla scuola e la prima attrazione è trovare i loro compagni, questa è la grande forza della scuola, più dei contenuti.
Una battuta al volo prima di chiudere legata alla formazione dei docenti che però per questa categoria non rientra nell’orario scolastico. Piuttosto che demandare sempre al singolo docente l’autoformazione, non sarebbe più utile impiegare alcuni periodi come le prime due settimane di settembre per dedicarle alla formazione?
Assolutamente, e aggiungo che anche a giugno gli insegnanti sono in servizio, ma queste giornate non vengono utilizzate per la formazione. La formazione ha un costo ed ha bisogno di un’organizzazione, questo scoraggia ad avventurarsi in questa esperienza. Pensiamo alla DAD, gli insegnanti non sono stati formati nemmeno a questo nuovo approccio a distanza, sono stati mandati allo sbaraglio dietro ad un computer senza aver ricevuto un minimo di formazione, e non è solo riferito ai mesi del primo lockdown, la DAD è proseguita anche successivamente e sempre senza formazione. La formazione è tutto, in qualsiasi professione c’è l’obbligo formativo e io sono per l’obbligo formativo anche per la scuola. Pensiamo al bonus docenti dove la voce formazione è agli ultimi posti dei possibili utilizzi. Va ben la stagione teatrale, tutto fa cultura, ma l’insegnante ha bisogno di migliorare la sua professionalità, ma finché continueremo a considerare gli insegnanti come semplici funzionari statali non ne verremo a capo. È il modello di Gentile, ma siamo al 2022, è passato diverso tempo da quella concezione e dobbiamo ragionare alla figura dell’insegnante come quella di un professionista e va trattata come tale, sia da un punto di vista retributivo che dal punto di vista della considerazione del suo lavoro. Per fare tutto ciò bisogna partire da un buon reclutamento degli insegnanti, da una buona formazione e da una buona considerazione retributiva all’interno di una ristrutturazione dell’orario di lavoro. La formazione deve rientrare all’interno di un nuovo modo di considerare l’orario di lavoro dell’insegnante.