Mantenimento del posto di lavoro in caso di malattia, infortunio, gravidanza (periodo di comporto): sono inclusi i giorni festivi? Cosa dice la giurisprudenza

La sentenza n. 969/2024 del Tribunale di Bologna affronta un caso di licenziamento illegittimo nei confronti di una docente dell’Accademia delle Belle Arti, allontanata per il presunto superamento del periodo di comporto, ossia quel tempo durante il quale il lavoratore mantiene il diritto alla conservazione del posto anche in caso di sospensione dell’attività per malattia, infortunio, gravidanza o puerperio (art. 2110, comma 2, c.c.).
Il principio del comporto e la sua interpretazione
Il giudice richiama la funzione del periodo di comporto come strumento di bilanciamento tra l’interesse del lavoratore alla tutela della salute (art. 32 Cost.) e quello del datore di lavoro alla continuità produttiva (art. 41 Cost.). La durata e le modalità di calcolo del comporto vengono stabilite dalla contrattazione collettiva, che può prevedere due modalità: a “comporto secco” (unico evento morboso) o “per sommatoria” (molteplici eventi sommati in un certo periodo).
La questione delle giornate festive
Un nodo centrale della vicenda riguarda il computo delle giornate festive che intercorrono tra due certificati medici. In base alla giurisprudenza (Cass. n. 24027/2016), queste giornate devono essere considerate nel comporto, salvo prova contraria. Tale prova, però, richiede la dimostrazione della ripresa dell’attività lavorativa tra un evento e l’altro.
“È, dunque, pacifico che le giornate festive che separano due diversi certificati di malattia debbano essere computati nel periodo di comporto in quanto vige una presunzione di continuità della malattia per i giorni festivi. Tali giornate non dovranno essere computate se il lavoratore fornisce prova contraria. Sul punto, la Corte ha ulteriormente chiarito che “lo prova idonea a smentire la suddetto presunzione di continuità può essere costituita soltanto dalla dimostrazione dell’avvenuta ripresa dell’attività lavorativa, atteso che solo il ritorno in servizio rileva come causa di cessazione della sospensione del rapporto di lavoro, con la conseguenza ” (Cass, Lav, sent. n. 24027.2016)
Malattie diverse, assenze distinte: il ragionamento del giudice
Nel caso concreto, la docente ha fornito documentazione sanitaria da cui emergeva che le assenze si riferivano a patologie diverse, ciascuna certificata dal medico curante. Questo elemento ha escluso la presunzione di continuità dell’evento morboso. Il Tribunale ha quindi ritenuto che il computo del comporto non potesse includere le giornate festive contestate, in quanto non sussisteva un’unica malattia ma più episodi distinti.
L’illegittimità del licenziamento e la reintegrazione
Poiché il periodo di comporto non era stato superato, il licenziamento è stato dichiarato nullo, in violazione dell’art. 2110 c.c. Il Tribunale ha così ordinato la reintegrazione della docente nel posto di lavoro, ai sensi dell’art. 63, comma 2 del D.lgs. 165/2001, applicabile al pubblico impiego. “L’amministrazione resistente viene condannata a reintegrare la ricorrente nel proprio posto di lavoro, La resistente viene, altresì, condannata al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, e comunque in misura non superiore alle ventiquattro mensilità, oltre al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per il medesimo periodo”.
L’amministrazione è stata inoltre condannata a corrispondere alla lavoratrice:
- un’indennità risarcitoria pari alla retribuzione maturata dal giorno del licenziamento fino alla reintegrazione (massimo 24 mensilità);
- i contributi previdenziali e assistenziali per lo stesso periodo.
Una pronuncia di rilievo
La decisione evidenzia l’importanza di una corretta valutazione delle assenze per malattia, distinguendo tra eventi clinicamente separati e continuità del medesimo stato patologico. In assenza di prova della prosecuzione dello stesso evento morboso, il computo del comporto non può includere automaticamente le giornate non lavorative. Un principio che, se non rispettato, espone il datore di lavoro – anche pubblico – al rischio di sanzioni gravi.