Maestre indagate, tra le accuse: parlano dialetto, contano fino a tre, urlano “Basta”. Processo è soluzione?

Siamo tutti convinti che l’incolumità dei bambini vada tutelata ad ogni costo. Tuttavia bisogna saperlo fare bene e con i giusti mezzi per non ottenere l’effetto paradosso e generare torti a danno di persone innocenti o di un’intera categoria professionale. Conviene pertanto subito ricordare che la salute dei docenti rappresenta la miglior garanzia per l’incolumità della piccola utenza.
Sono stato interpellato in una dozzina di processi (dalla Lombardia alla Sicilia) per “presunti maltrattamenti da parte delle insegnanti” ed ho potuto visionare interminabili filmati di noiosissime lezioni di maestre più o meno stremate, ma quasi sempre over 50, accusate di insulti, strattonamenti, botte, minacce ai danni dei loro alunni. I filmati però non rispondevano quasi mai alle tremende accuse trascritte negli atti e, quel che più sorprende, l’incongruenza si ripeteva nella maggioranza dei casi. Gli scappellotti delle videoregistrazioni divenivano per incanto “schiaffi violenti”, il contenimento dei disabili da parte degli insegnanti di sostegno si trasformava per magia in “atti di violenza e privazione della libertà”, i richiami diventavano “gravi ingiurie” e via discorrendo. Insomma qualcosa non quadrava e doveva esserci per forza un motivo per giustificare la lunga serie di incomprensibili errori e discrepanze, se non stranezze, di cui riporto di seguito solo alcuni esempi:
- in un’indagine in cui era stata autorizzata la sola registrazione video, ma non quella audio, gli atti riportano incredibilmente che “la maestra urla e i bimbi piangono”;
- un PM ritiene “attendibili” solo le colleghe che testimoniano contro la maestra inquisita mentre considera “reticenti” le altre colleghe a suo favore. Il tutto dopo aver accertato “l’alto livello di conflittualità tra le maestre del medesimo plesso”;
- un PM scrive che “la maestra si allontana dalla sua postazione non svolgendo così il suo lavoro” mentre la docente si reca semplicemente in amministrazione per motivi professionali. Nella fattispecie il PM viola l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori che impedisce l’uso del mezzo tecnologico (telecamera) per effettuare il controllo a distanza del lavoratore.
- un carabiniere descrive come “gesto di violenza ai danni dell’alunna e privazione della sua libertà individuale”, un atto di contenimento da parte dell’insegnante di sostegno nei confronti di un’alunna autistica grave che vuole fuggire dalla classe.
- un agente della Guardia di Finanza descrive così l’operato della maestra di sostegno alle prese con un alunno psicotico grave e oppositivo che indossa un caschetto di cuoio anti-caduta: “L’insegnante dimostra il suo disprezzo verso il disabile lasciandolo sdraiato per terra. Successivamente lo vuole mettere a sedere in carrozzina strattonandolo e usandogli violenza”. L’agente non è a conoscenza del fatto che lo stare a terra protegge il ragazzo da potenziali cadute mentre la manovra per riportare l’alunno in carrozzella è necessariamente vigorosa perché il ragazzo è oppositivo e vuole restare sdraiato sul pavimento;
- in un verbale si trova questa esilarante affermazione a carico di due maestre indagate: “L’intesa criminale tra le maestre è comprovata dal fatto che tra loro parlano in dialetto”;
- una delle accuse mosse a una maestra consiste nella sua aggressività a danno dei piccoli alunni per averli minacciati col fatidico “Conto fino a tre!”;
- in un filmato la maestra urla esasperata “BASTA!” in mezzo alla confusione della classe, ma negli atti viene riportato che “sembra che l’insegnante urli BASTARDI!”. Due righe più sotto scompare senza alcuna ragione il “sembra” e si ribadisce, stavolta con certezza, l’offesa indirizzata ai piccoli;
- la confusione regna sovrana anche tra le diverse figure di legge, spesso in disaccordo tra loro su interpretazione e gravità degli atti: il PM, il GIP, il Tribunale del Riesame (TdR) e talvolta il Procuratore Generale che arriva a impugnare la sentenza di primo grado. L’unica certezza risiede nel fatto che, al massimo, avranno visionato solamente i trailer ma mai integralmente le interminabile videoregistrazioni (che insopportabile costo aggiuntivo sarebbe inoltre stato per l’erario). Qui tuttavia mi premurerò di segnalare le intuizioni positive di un GIP che definisce “la maestra sessantenne esaurita e meritevole di andare in pensione” (Monti e Fornero riflettano sul danno arrecato da riforme previdenziali “al buio”) e richiama il dirigente scolastico ai suoi compiti di vigilanza chiedendogli il perché della sua ignavia. Un TdR ha invece sapientemente rigettato l’appello del PM perché “le immagini dei filmati sono estrapolate dal loro contesto e frutto d’interpretazioni che non rendono fedelmente l’accaduto nella realtà scolastica”. Appare inoltre opportuno e conseguente il richiamo di un PM a un principio di diritto della Suprema Corte che, come detto, risulta sempre disatteso per la lunghezza delle videoregistrazioni (tutte ben superiori alle 100 ore) a fronte di quanto ravvisato sopra dal TdR: “In tema di maltrattamenti da parte di un insegnante nei confronti degli alunni, il giudice non è chiamato a valutare i singoli episodi in modo parcellizzato ed avulso dal contesto, ma deve valutare se le condotte nel loro insieme realizzino un metodo educativo fondato sull’intimidazione e la violenza, attraverso la coartazione fisica o morale che renda dolorose o mortificanti le relazioni tra gli insegnanti e la classe, attuata consapevolmente, anche per finalità educative astrattamente accettabili” (Cass. Sez. 6 n. 8314 del 25.06.96, Rv.206131);
- in una circostanza è addirittura capitato che dei genitori abbiano sporto denuncia alla Polizia di Stato che li ha giustamente invitati a rivolgersi al preside della scuola. L’esortazione purtroppo non è stata raccolta e i predetti genitori si sono invece recati dai Carabinieri che hanno avviato le indagini con le intercettazioni audio e video. La vicenda risale al 2015 e, dopo tre anni, non è ancora stato formulato l’eventuale rinvio a giudizio: la circostanza ci rammenta che la Giustizia ha tempi biblici, con tutto ciò che ne discende per gli indagati;
- non possono ovviamente mancare i “processi popolari”, televisivi e non, che emettono sentenze sommarie, con tanto di nomi e cognomi delle maestre indagate, vergate su striscioni esibiti allo stadio, affissi ai pontili delle autostrade o scritte direttamente sui muri della scuola interessata. Nemmeno una denuncia contro ignoti per questi anonimi e coraggiosi stupratori seriali della privacy;
- per ultimo accenno all’episodio che più mi ha lasciato perplesso e profondamente amareggiato come cittadino che crede nelle Forze dell’Ordine e nel loro ruolo. Si tratta del caso in cui una maestra, benvoluta da tutta la classe a eccezione della sola coppia di genitori sporgenti la denuncia, che è stata spiata dalle telecamere per un mese. I carabinieri, dopo 15 giorni, sono stati autorizzati a prorogare le videoregistrazioni per altri 15 giorni, trascorsi i quali si sono visti negare la seconda richiesta di proroga. Nonostante ciò le telecamere hanno continuato a registrare la vita di classe e, allo scadere del 35° giorno (ben 5 oltre il termine consentito), è stato operato un arresto in flagranza di reato della maestra. In merito al filmato che ha dato origine all’arresto vale solamente la pena dire che mostra la scena dell’attività scolastica di una giornata ordinaria, mentre resta la gravissima violazione della legge dello Stato perpetrata proprio da chi è deputato per primo a rispettare la stessa e a tutelare i cittadini.
Perché hanno luogo tutti questi episodi (si consideri che negli ultimi 4 anni vi sono stati oltre 150 casi mentre gli episodi sopra citati si riferiscono a una dozzina soltanto)?
La prima considerazione è che la Giustizia non conosce la Scuola, né può applicare i suoi metodi d’indagine (videoregistrazioni illimitate, estrapolazione dei fatti dal loro contesto, trascrizioni romanzate da thriller etc). In seconda battuta non può essere affidata la decrittazione delle immagini, la loro estrapolazione in brevissimi trailer e la loro trascrizione interpretata a chi di scuola non s’intende proprio (Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza, Polizia Municipale).
L’art. 27 del CCNL della scuola prevede infatti che i docenti posseggano “competenze disciplinari, psicopedagogiche, metodologico-didattiche, organizzativo-relazionali e di ricerca, documentazione e valutazione tra loro correlate ed interagenti, che si sviluppano col maturare dell’esperienza didattica, l’attività di studio e di sistematizzazione della pratica didattica”.
Ha dunque senso affidare a un carabiniere, un poliziotto, un vigile urbano, un agente della Guardia di Finanza, il compito di valutare, interpretare e giudicare l’attività educativa di siffatti professionisti? Sarebbe come chiedere a un commercialista di effettuare un intervento chirurgico o rivolgersi a un ingegnere per farsi interpretare gli esami del sangue. Inoltre non ha senso sparare col cannone a una mosca (si pensi ai costi e alle risorse umane impiegate) quando le nostre Forze dell’Ordine hanno ben altre questioni (assai più importanti) di cui occuparsi. La scuola e il dirigente scolastico coi suoi collaboratori tornino a occuparsi dell’incolumità dell’utenza come hanno sempre fatto, ben sapendo che il modo migliore per garantirla passa attraverso la tutela della salute dell’insegnante oggi stremato per il lavoro svolto e la tarda età pensionabile decisa a tavolino senza valutare l’incidenza dell’anzianità di servizio e delle malattie professionali.
PS proprio in questo istante mi è pervenuto un nuovo fascicolo processuale (120 pagine!) relativo a un’indagine avviata nel Veneto dalla Polizia di Stato. Ritengo davvero inaccettabile tenere impegnate le Forze dell’Ordine per centinaia e centinaia di ore a occuparsi “della maestra che sculaccia i bambini quando avanzano le carote nel piatto e non stanno in fila”. E’ proprio il caso che la scuola torni a gestire in proprio queste vicende senza gravare sui Corpi di Polizia e sui tribunali ad altro adusi.
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