Luigi Berlinguer ad OrizzonteScuola: “Sogno una scuola aperta tutto il giorno tutto l’anno tutta la vita”

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di Eleonora Fortunato – La questione sociale della scuola e il diritto al pluralismo educativo. Sono questi i temi dell’istruzione oggi secondo Luigi Berlinguer, europarlamentare del Pd e ministro dal 1996 al 2000, padre delle due leggi che più negli ultimi venti anni hanno cambiato il volto della scuola: l’autonomia e la parità.

di Eleonora Fortunato – La questione sociale della scuola e il diritto al pluralismo educativo. Sono questi i temi dell’istruzione oggi secondo Luigi Berlinguer, europarlamentare del Pd e ministro dal 1996 al 2000, padre delle due leggi che più negli ultimi venti anni hanno cambiato il volto della scuola: l’autonomia e la parità.

In questa intervista, nata in occasione del convegno Treellle a Roma, approfondiamo con lui alcuni nodi irrisolti del suo progetto di riforma, mettendo a fuoco i certo non pochi elementi di continuità con l’attuale lavoro del governo Renzi sulla scuola.

Professore, nel suo ultimo libro, Ri-creazione (Liguori 2014), scrive “La scuola è la mia casa, aperta tutto il giorno tutto l’anno tutta la vita”. A giudicare dalle anticipazioni del sottosegretario all’istruzione Roberto Reggi sembra che il governo l’abbia presa alla lettera…

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“Ci sono in effetti moltissime consonanze tra le istanze progressiste che sembra emergano dall’attuale linea di governo e quello che ho scritto nel libro, e che mi sono sempre sforzato di portare avanti attraverso la mia attività politica. Occorre però fare una premessa: il governo propone un piano all’insegna del cambiamento, mentre finora ha prevalso l’idea del ‘rattoppo’, del mutamento di piccoli aspetti, al di fuori di un’ottica sistemica. Ho scritto il libro che lei ha citato per rivendicare la necessità di un mutamento radicale nel modo di concepire l’education nel nostro paese facendo riferimento alle tante esperienze positive in atto tanto in Italia quanto all’estero. Le faccio solo un esempio: l’insegnamento della musica, che dovrebbe essere concretamente realizzato, potrebbe accelerare il tramonto dei pregiudizi neoidealistici contro la manualità. La musica, insomma, è una vera carica di dinamite nei curricoli, un pianista pensa anche con le mani, e non dimentichiamo che Michelangelo la Cappella Sistina l’ha affrescata anch’egli con le mani!

Un aspetto che mi trova particolarmente d’accordo è il riconoscimento e la differenziazione anche economica del diverso impegno dei docenti, un principio che ho provato a far entrare nella scuola già dal 1997, dopo averlo portato persino in seno al Consiglio Superiore della Magistratura, quindi ai livelli più alti delle professionalità, dove pure mal si digeriva l’idea della valutazione dei curricula e delle attività dei magistrati”.

Questo secondo aspetto che lei mette in evidenza si lega alla carriera dei docenti, che sembra essere al vaglio del Governo.

“Sì, ma non mi piace la parola ‘carriera’, preferisco ‘professional development’: è assurdo che un docente esca dalla scuola con mansioni e retribuzione uguali a quelle d’ingresso! Credo però che i temi legati alla organizzazione interna delle scuole il governo debba approfondirli meglio, perché quando si parla di ‘efficienza’ di un organismo il rischio di una deriva aziendalista è sempre dietro l’angolo. Non dobbiamo dimenticare che quella del docente è una professione ad alto tasso motivazionale, egli partecipa con tutto se stesso alla funzione educativa, quindi bisogna trovare il peso specifico adatto a valorizzare questo processo”.

Proprio per questo, non pensa che il cambiamento debba partire da loro, dai docenti? Eppure le riforme scendono sempre dall’alto, senza una vera partecipazione degli insegnanti ai processi decisionali.

“Bisogna conquistare gli insegnanti all’idea del cambiamento. Molti di loro lo sono già, è vero, ma non si può ignorare il fatto che una buona maggioranza non è ancora entrata in questa ottica”.

Se parliamo di cambiamento, lei è il padre di una riforma epocale, quella dell’autonomia, grazie a cui una scuola nuova, più moderna e in sintonia con i bisogni reali della società, sarebbe già dovuta nascere. Che cosa pensa che l’abbia ostacolata? Che consiglio darebbe a Renzi per scavalcare questi ostacoli?

“Purtroppo la riforma dell’autonomia confliggeva con l’idea di un forte apparato che anche involontariamente, per il solo fatto di esistere, produce norme dall’alto che poi di fatto limitano la libertà dei soggetti che operano nel campo dell’istruzione. Il suggerimento che mi sentirei di dare è uno solo, ma radicale: cancellare una per una le norme, e sono centinaia, che soffocano l’autonomia”.

L’altro giorno al convegno Treelllequi a Roma lei ha parlato di un altro principio non attuato, il pluralismo educativo, che avrebbe dovuto trovare la sua strada grazie alla legge 62/2000. Nell’occasione ha incoraggiato il ministro Giannini a difendere il ‘sistema pubblico di istruzione’, che comprende tanto scuole statali quanto scuole non statali, al di fuori di posizioni ideologiche che lei ha definito ormai superate.

“Con questa domanda entriamo nella questione sociale della scuola, un tema su cui bisogna lavorare di più, chiedendosi che cos’è che provoca dispersione, abbandono scolastico, visto che questa emergenza porta l’Italia molto indietro rispetto agli altri Paesi evoluti. L’obbligo deve essere inteso non solo per otto o dieci anni, l’obbligo va esteso fino alla fine della scuola superiore, perché è un diritto di tutti i ragazzi essere sostenuti fino alla fine degli studi, ricevere opportunità concrete, anche sotto forma di borse di studio, per realizzare il loro successo formativo. Come si realizza, altrimenti, quell’uguaglianza sostanziale sancita dalla nostra Costituzione? Non dimentichiamo che la scuola costruisce la cittadinanza e che può davvero aiutare le persone a superare le differenze sociali. La scuola deve concepirsi come una comunità in grado di far camminare tutti secondo le proprie potenzialità, questo è il tema oggi. Sbaglia, è indietro di cento anni chi ritiene che invece il tema sia la solita contrapposizione tra scuola pubblica e scuola privata. La legge 62/2000 in linea con la Costituzione dice che chiunque eserciti una funzione educativa svolge una funzione pubblica, che lo Stato, quindi, deve assicurare che sia rispettata la natura pubblica dell’educazione anche nell’ipotesi di una gestione non statale”.

Questo, però, non significa finanziare…

“La risposta migliore a questa domanda ce l’ha data l’altro giorno proprio il presidente di Treellle, Attilio Oliva, mostrandoci in maniera documentata che oggi, nei Paesi avanzati e nella società della conoscenza, il principio educativo viene espresso non solo dalla scuola, ma dall’intera comunità attraverso il sostegno dello Stato. E’ felice l’esempio dell’Olanda, o anche della Francia, la patria di Voltaire, che già da tempo ha sanato la querelle tra scuola pubblica e scuola privata costruendo un sistema che dà reale sostanza al pluralismo educativo. Oggi quel principio è sancito anche nel nostro Paese dalla legge 62, nella quale si riconosce che i progetti educativi possono essere molteplici, ma che tutti devono incarnare i principi costituzionali, i principi della democrazia rappresentativa, prevedendo che anche nelle scuole non statali insegnino docenti capaci e preparati, che ci siano misure a sostegno dei meno fortunati, che i curriculi siano omogenei con quanto stabilito a livello nazionale”.

Ma chi ci assicura che i privati facciano propri questi principi ed espletino poi la funzione educativa nel loro spirito? La storia del nostro Paese è diversa dalla storia di Francia, lo Stato fin dai tempi di Giolitti è una vacca da spremere.

“Conosco gestori di scuole non statali che stanno già facendo tutto questo in maniera eccellente, bisogna che le loro esperienze entrino a sistema per essere emulate. La scuola paritaria grazie alla legge 62 ha fatto un salto di qualità, ma sembra che nessuno voglia prenderne atto. Se, invece, si scopre che alcune realtà calpestano la legge, diventando dei diplomifici, bisogna essere ferrei e intervenire col codice penale. 

Tuttavia il vero ostacolo alla piena attuazione dello spirito della legge di parità è rappresentato dalla grave crisi economica: siamo in tempi di carestia e c’è il rischio che la scuola statale viva come una sottrazione alle proprie risorse l’eventuale finanziamento a strutture non statali”.

Sul tema del finanziamento alla scuola paritaria Renzi non a caso è molto cauto.

“E fa bene, la cautela è molto opportuna in questo momento storico, ma sono sicuro che da questa classe di governo la questione sarà valutata nel concreto e nei giusti termini. Guai a tornare alle contrapposizioni ideologiche! Nell’articolo 33 della Costituzione lo si dice chiaramente: aprire una scuola è un diritto! Bisogna studiare come risolvere il problema delle risorse che mancano, ma per fare questo bisogna mettersi laicamente intorno a un tavolo”.

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