Ludopatia negli studenti: quando il gioco virtuale diventa una malattia invalidante. Cosa può fare la scuola

Un’abitudine che dal divertimento può sfociare in una vera e propria dipendenza: la ludopatia (dal greco: ludo = ” gioco” + patèia = “sofferenza”).
Ludopatia in Italia
L’Italia è prima in Europa per l’abitudine al gioco (scommesse, slot, video lottery, ecc.): dall’indagine “STILI D’ITALIA” dell’Ufficio Studi Ancc-Coop (2018) emerge come il “15% degli italiani giochi con slot machine e video lottery, mentre il 2% si dichiari dipendente o quasi. Il numero di giocatori sale poi sopra al livello di guardia se si parla di altri giochi e scommesse sportive”. Non a caso, secondo i dati dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, dal 2001 al 2018 la raccolta proveniente dal gioco legale è aumentata di cinque volte, passando da 20 ad oltre 100 miliardi di euro.
È in questo quadro generale che – volenti o nolenti – nascono e crescono i giovani di oggi: più di 4 studenti su 10 hanno avuto qualche esperienza di gioco d’azzardo nella vita, un diciassettenne lombardo su due, secondo il Ministero della Salute (2018). La ludopatia, dunque, indica una vera e propria dipendenza patologica dal gioco elettronico o d’azzardo, tale da sfociare in altre patologie connesse – soprattutto negli adolescenti. Tuttavia, oggi sta prendendo piede – in particolare nei digital native – un tipo di ludopatia che non prevede necessariamente il gioco d’azzardo, ma si consuma sul web.
Il mondo virtuale e quello reale
Con l’avvento di Internet e degli smartphone, la grande maggioranza dei videogame si è spostata online. Associando infatti la possibilità di giocare con altri player in tutto il mondo, le grandi marche di videogiochi puntano sul senso di comunità che giocare coi propri pari può instillare nel consumatore, il quale è ovviamente più portato a giocare anche da solo – avendo a disposizione nell’etere l’intera community globale che smorza la noia del gioco in solitaria. Fin qui ovviamente non ci sarebbe nulla di strano: dall’alba dei tempi è preferibile giocare in compagnia e non da soli, seppur virtualmente. Tuttavia, il problema insorge quando i compagni di gioco virtuali sostituiscono quelli della vita reale.
Infatti i videogame online odierni si sono circondati di vere e proprie comunità dove poter non solo giocare, ma anche chattare e scambiarsi foto e video: insomma dei veri e propri social game.
Così come una droga, questo tipo gioco – soprattutto negli adolescenti, che spesso non hanno il senso del limite – può quindi diventare un mondo a sé, totalizzante, dove sprofondare, e può provocare dipendenza: ciò significa che per il ludopatico diventa prioritario giocare con i propri compagni online, rispetto a tutte le altre faccende della sua vita, scuola compresa. Il mondo reale diventa accessorio, poiché chi soffre di ludopatia trova soddisfazione solo in quello virtuale: pensa che i suoi veri amici siano quelli dall’altra parte del joystick o del social media, poiché non giudicano e lo/la accettano così com’è (o come vuole far vedere). Paradossalmente, giocano nel virtuale ma non si mettono in gioco nella vita vera, e tutto ciò va anche a scapito del profitto scolastico ma soprattutto della frequenza scolastica, molto saltuaria e a volte insufficiente per la promozione.
Cosa si può fare a scuola
Essendo alta la possibilità che – una volta in situazione da astinenza – il ragazzo affetto da ludopatia cada in una vera a propria depressione, è importante cercare di non eliminare dalla sua vita il gioco in maniera radicale. Non sono rari i casi di aggressività adolescenziale nei confronti di chi viene visto come la causa della loro infelicità (es. il genitore che gli/le porta via la console o lo smartphone) e quindi, per evitare che accadano episodi spiacevoli, è consigliabile togliere poco alla volta il videogame, proprio come si farebbe in qualsiasi altro caso di dipendenza. Il gioco online dovrebbe essere sostituito dal gioco in presenza, in modo che lo studente ritrovi la gioia di frequentare la scuola anche solo per stare con i compagni, quantomeno all’inizio del suo percorso di guarigione: questo farà sì che capisca qual è il vero mondo in cui vivere, cioè che viva la sua vera vita, mondo reale e con gli amici in carne ed ossa, piuttosto che con quelli dei social media o dei giochi online. Per far è importante che ci sia una fortissima sinergia tra i docenti e la famiglia: i genitori dovranno centellinare i giochi online a casa, fino a toglierli del tutto, mentre contemporaneamente i docenti proporranno, in classe, più role playing o attività laboratoriali, di modo che il ragazzo in questione (ri)trovi la complicità con i suoi compagni di classe. Ovviamente, i genitori o chi per loro dovranno aiutare il figlio/la figlia a frequentare il più possibile la scuola, perché è la conditio sine qua non per fargli/òe ritrovare il contatto con la realtà.
D’altro canto, i docenti dovranno tener conto del fatto che “Roma non si è costruita in un giorno”, e guardare dunque al profitto dello studente solo come passo successivo al suo (re)integro sociale, che rappresenta la priorità perché si allontani dal gioco come sua unica fonte di soddisfazione, e perché riesca ad esprimere il suo vero sé apertamente, senza nascondersi dietro a uno schermo.