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L’importanza del gruppo per imparare e superare i conflitti

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Si sente sempre più spesso parlare di cooperative learning e peer-to-peer learning: l’uno basato su una cooperazione normalmente tra due o più alunni, e l’altro inteso come apprendimento da parte di uno studente che lavora insieme a un a un suo pari, il quale gli fa da tutor.

Sono entrambe delle tecniche di apprendimento basate sulla dinamica del gruppo. La domanda che l’insegnante dovrebbe porsi prima di formulare una lezione con queste basi metodologiche è, dunque: qual è l’importanza del gruppo, e quali obiettivi è possibile raggiungere sviluppando una lezione non frontale bensì cooperativa?

Il lavoro di gruppo e la scuola

Per gruppo si intende un insieme di persone che condividono un senso di appartenenza l’uno con l’altro, nonché regole implicite o esplicite di comportamento adottate comunemente da parte dei membri.

I primi tentativi di introdurre, nelle scuole, il lavoro di gruppo e la cooperazione tra alunni come assunti base di determinate metodologie si deve ai positivisti, che verso la fine dell’Ottocento rivoluzionarono il modo di vedere la classe – dove, prima di allora, il docente era l’unico protagonista della lezione e il discente un puro ricevitore di informazioni e nozioni.

Nacquero allora le cosiddette “scuole attive”, di Dewey, che vedevano il lavoro di gruppo come l’unico mezzo per realizzare progetti insieme ai compagni, rispettando i diritti degli altri e allo stesso tempo compiendo delle scelte personali in accordo con quelle del gruppo.

In Italia, tutto ciò viene sancito solo nel 1977, con la legge n 517 del 4 agosto, che riconosce l’importanza del lavoro di gruppo in classe per raggiungere obiettivi di tipo cognitivo e interpersonale, ovvero:

  • produrre pensieri di ordine più elevato
  • formulare ipotesi
  • migliorare il decision-making,
  • sviluppare la padronanza linguistica
  • aumentare la socialità.

Mentalità e cultura di gruppo

Il valore del gruppo non viene percepito dai membri che lo compongono come una mera somma delle parti: un gruppo viene infatti visto come un “organismo a sé stante”, che ha più valore di quello che si potrebbe definire un semplice aggregato.

È Wilfred Bion, nel suo libro “Esperienze nei gruppi”, a evidenziare come ci sia una netta differenza tra il primo e il secondo: l’aggregato è un insieme di individui oggettivamente e direttamente osservabile, mentre il gruppo è il prodotto di un’attività mentale dove si sperimenta un’apparente contraddizione, tra il confronto con gli altri e la perdita di individualità – causa di grande frustrazione per i componenti.

Se questo conflitto si risolve in maniera positiva, esso dà vita a una “mentalità di gruppo”, dove i membri, in seguito a una regressione inconscia, rinunciano a qualcosa di sé stessi a favore di qualcosa di più grande, ovvero la creazione di una cultura condivisa.

Quest’ultima nasce dall’incontro tra la natura consensuale degli individui (che, razionalmente, si sacrificano per un bene comune) e quella collusiva (che, inconsciamente, non vogliono perdere la propria individualità): tra alti e bassi, si crea una sorta di struttura organizzativa vivente del gruppo che, secondo Bion, è un tentativo di mediazione automatico e non cosciente tra il gruppo considerato come realtà autonoma e il singolo.

Schismogenesi

Ma le dimensioni emotivo-affettive che confliggono tra loro nel binomio singolo-collettività, possono anche dar vita a quello che Gregory Bateson chiama “schismogenesi” (da scisma e genesi: creazione di divisioni).L’antropologo usò questo termine, negli anni Trenta, per indicare l’origine di conflitti tra culture, ma anche all’interno di gruppi appartenenti alla stessa.

Può accadere, ad esempio, che l’organizzazione del gruppo si trasformi nella struttura “autorità-sottomissione” (come accade nei regimi dittatoriali), ma anche che due gruppi o due leader cerchino di prevalere l’uno sull’altro. Le stesse dinamiche possono accadere in un contesto di formazione scolastica: è compito del docente, dunque, far sì che l’interazione tra pari sia sempre accompagnata da integrazione, per evitare conflitti controproducenti.

Accompagnato dall’osservazione diretta e da indici sociometrici disposti in precedenza (utili per monitorare l’andamento sociale dei gruppi in classe), l’insegnante potrà (e dovrà, nel caso in cui fosse necessario), predisporre interventi volti a sostenere pratiche di gruppo per coinvolgere e proteggere gli alunni più deboli socialmente. Si tratta dunque di instillare nei vari componenti dei gruppi una visione assistenzialista delle micro-società che si sono creati, e il principio democratico del voto dal basso anziché delle decisioni prese dal leader: ciò ridurrà il potere decisionale di quest’ultimo, per ridistribuirlo tra i suoi pari.

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