L’immobilismo della mobilità
Laura Gatti – Leggo con disincanto le notizie relative agli incontri che i sindacati stanno tenendo settimanalmente al MIUR per stendere il contratto sulla mobilità 2012/2013. Leggo con mestizia l’impegno profuso per evitare la permanenza sulla stessa provincia per 5 anni dei neo immessi in ruolo. Buone intenzioni quanto infruttuose. Sono una fortunata, io. 33 anni, da 7 di ruolo, solo due da “precaria”. Un record leggendo le storie dei miei colleghi. Ma la mobilità è una chimera.
Laura Gatti – Leggo con disincanto le notizie relative agli incontri che i sindacati stanno tenendo settimanalmente al MIUR per stendere il contratto sulla mobilità 2012/2013. Leggo con mestizia l’impegno profuso per evitare la permanenza sulla stessa provincia per 5 anni dei neo immessi in ruolo. Buone intenzioni quanto infruttuose. Sono una fortunata, io. 33 anni, da 7 di ruolo, solo due da “precaria”. Un record leggendo le storie dei miei colleghi. Ma la mobilità è una chimera.
Ho ben valicato il limite dei 3 anni di permanenza sulla stessa provincia e cerco invano il trasferimento da qualche anno. La riforma gelminiana, o per meglio dire i tagli con la parvenza di riforma senza alcuna solida base pedagogica e didattica, hanno significato una notevole riduzione del personale e un numero elevatissimo di “perdenti posto” di ruolo. Nulla al confronto dei precari con il fiato in gola ogni anno nell’attesa di un incarico, supplenza, in corsa per racimolare punti al mercato del sapere in formato dispensa. Nulla di paragonabile.
Nell’istituto scolastico presso il quale presto servizio, nonostante da mesi sia diventata felicemente madre e ho scelto senza esitazione di restare accanto alla mia piccola più tempo possibile e non sia pertanto ancora tornata dietro la cattedra, mi trovo benissimo, nulla da eccepire. Ma con la mia famiglia da poco cresciuta non ce la facciamo più a vivere nella Roma Capitale. Costo della vita inaudito, ritmi incandescenti, stagnazione progettuale perché ostacolata da scarso potere d’acquisto di due giovani docenti. E poi, ancora più forte, il desiderio di tornare ad una vita di provincia, di regalare alla nostra piccola una vita a ritmo umano, la dignità di un tenore di vita senza pretese ma non impoverito dal furto liceizzato degli affitti romani. Desiderata frustrati. Prospettive di mobilità assolutamente inesistenti. Alternative sacrificate all’altare del dimensionamento, del risparmio sanatore delle casse malconce del nostro Stato ma che lasciano le nostre tasche e aspettative vuote e spente.
Il mio caso non è isolato: nell’Istituto presso il quale presto servizio, in una zona centralissima di Roma, c’è un elevato tasso di pendolarismo da fuori provincia e fuori regione, numerosi docenti fuori sede costretti a condividere, come da studenti, una casa con dei perfetti sconosciuti, lasciando magari consorti e prole lontani. Perseguono invano il mio stesso obiettivo.
L’ennesimo provvedimento di razionalizzazione fa sfumare un’alternativa possibile: la legge di stabilità 2012 cancella dal territorio nazionale 200 docenti e presidi “comandati”. Avendo già fatto l’esperienza presso una Direzione generale del Miur, intendevo ritentare la carta per una dislocazione periferica. Svanisce anche questa opportunità visto che i 300 sopravvissuti del contingente utilizzato per i compiti connessi con l’autonomia, difficilmente lasciano il passo alle nuove leve (posso darne la certezza vista l’esperienza asfissiante vissuta al MIUR. Ma questo sarebbe un altro, lungo capitolo).
E allora, buon lavoro a sindacati e tecnici del MIUR, aspetto il nuovo modello di domanda di mobilità, online o cartaceo, prenderà solo tanto del mio preziosissimo tempo per poi ritrovarmi il prossimo anno scolastico ancora nella stessa amata sede di servizio.