Letteratura dimenticata negli istituti professionali? La proposta che fa discutere: “Sostituire i classici con testi che preparino al lavoro reale. Si parli di marginalità, fabbriche e riscatto”

Marco Ricucci, docente di Lettere e professore a contratto all’Università di Milano, affronta sul Corriere della Sera una questione importante: come insegnare italiano e letteratura alle nuove generazioni.
Il quadro è complesso: ore ridotte, programmi sovraccarichi e classi con livelli di competenza eterogenei. Senza un’analisi realistica di questi vincoli, ogni proposta rischia di rimanere astratta. Il modello attuale, ereditato da un’impostazione storicista, spesso si traduce in un approccio nozionistico, lontano dall’esperienza viva della lettura, soprattutto in contesti dove gli studenti faticano a comprendere testi semplici.
Un cambio di rotta: percorsi differenziati
La soluzione, secondo Ricucci, non è uniformare l’insegnamento, ma differenziare i percorsi. Nei licei, dove il profilo culturale lo consente, si può mantenere un quadro storico-letterario essenziale, evitando l’eccesso di dettagli eruditi. Nei tecnici e professionali, invece, serve un ripensamento radicale: privilegiare comprensione del testo, scrittura argomentativa e analisi critica, utilizzando opere più vicine alla sensibilità degli studenti. Autori come Carlo Levi o Natalia Ginzburg, con testi che affrontano temi sociali e relazionali, possono essere più efficaci di un’analisi pedante delle figure retoriche. L’obiettivo non è “abbassare l’asticella”, ma rendere la letteratura uno strumento di pensiero ed emozione, anziché un mero esercizio mnemonico.
Pragmatismo contro elitarismo
Il dibattito non dovrebbe ridursi a sterili contrapposizioni (“Manzoni sì o no?”), ma concentrarsi su come insegnare la lingua e la letteratura in modo coinvolgente. Ricucci invita a un approccio pragmatico: meno velleitarismi accademici e più attenzione alla funzione formativa della parola, soprattutto in un’epoca dominata dai social media.
La letteratura, come insegnava Calvino, può essere un antidoto al virtuale, a patto che la scuola sappia adattarsi alle esigenze dei ragazzi. Senza rinunciare alla qualità, ma con la consapevolezza che l’incontro con i testi deve essere autentico e stimolante, non un obbligo sterile.
L’attuale impostazione mostra sempre più evidenti criticità. Come sottolinea Ricucci, pretendere di affrontare lo stesso programma con classi che hanno solo 4 ore settimanali – quando va bene – e con studenti dai livelli di preparazione profondamente diversi, rischia di trasformare la letteratura in un mero esercizio mnemonico.
La soluzione non sta nell’abbassare la qualità dell’insegnamento, ma nel ripensare i programmi in ottica differenziata:
- Nei licei si potrebbe mantenere un percorso storico-letterario, ma snellito all’essenziale, concentrandosi sui grandi movimenti e autori cardine, eliminando il superfluo erudito
- Negli istituti tecnici e professionali andrebbe privilegiato un approccio per competenze, con testi vicini alla realtà degli studenti e attività pratiche di scrittura e comprensione
Per entrambi i percorsi sarebbe fondamentale ridurre il carico nozionistico, selezionando con cura i contenuti davvero formativi.
Esempi virtuosi esistono già in alcuni Paesi europei, dove i programmi sono costruiti per moduli tematici anziché cronologici, con ottimi risultati nell’engagement degli studenti.
La letteratura non può essere insegnata come un reperto museale, ma deve dialogare con la realtà che gli studenti vivono. Ciò non significa rinnegare i classici, ma trovare collegamenti con i temi attuali.
Una questione di qualità, non solo di didattica
Sulla pagina Facebook di Orizzonte Scuola, sono tanti i commenti a proposito. Per diversi utenti, privare gli studenti degli istituti professionali dello studio di autori come Dante, Leopardi o Ariosto significherebbe negare loro un patrimonio culturale fondamentale. La letteratura non è un privilegio riservato ai licei, ma uno strumento per sviluppare pensiero critico, capacità espressive e consapevolezza storica. Come dimostrano esperienze personali, un insegnante appassionato può far amare Carducci, Pascoli o Manzoni anche in un contesto tecnico, aprendo poi strade verso altri generi, dal gotico al contemporaneo.
Il problema delle ore e della percezione
Uno dei nodi critici è la marginalizzazione della letteratura nei professionali: poche ore, programmi frettolosi che spesso si fermano agli anni ’60, e una diffusa convinzione che l’italiano “non serva”. Eppure, molti diplomati scelgono l’università, e un’istruzione solida sarebbe cruciale. Equilibrare meglio storia e letteratura, magari con tre ore per ciascuna, permetterebbe di arrivare almeno agli anni ’80, rendendo lo studio più attuale e coinvolgente.
Ridare serietà ai professionali senza abbassare l’asticella
Per altri utenti, dunque, la soluzione non è semplificare i programmi, ma ripensare l’approccio didattico. Se alcuni ragazzi faticano con i classici, si può integrare la tradizione con testi moderni, senza cadere nello stereotipo che “le canzoni sostituiscano le poesie”. Servono fondi adeguati, più ore di pratica e docenti formati per rendere la letteratura viva e utile. Percorsi differenziati non devono significare minor qualità, ma maggiore attenzione alle esigenze degli studenti, perché anche un futuro meccanico o cuoco merita di capire il mondo in cui vive.
La sfida, dunque, è trasformare la letteratura da materia noiosa a strumento per comprendere il presente, mostrando come i grandi temi umani siano sempre attuali. L’approccio, unito a una programmazione più flessibile, potrebbe davvero ridare senso all’insegnamento dell’italiano nella scuola del XXI secolo.