Lettera personale di un docente di potenziamento

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Inviato da Emanuele Puglisi – Egregia redazione, sono un docente di ruolo di filosofia e storia nella secondaria di secondo grado, assunto a tempo indeterminato per effetto della legge 107/15.

Scrivo per dar voce alla mia frustrazione e per dar sfogo a quel sentimento di umiliazione che mi accompagna da quando ho avuto quella che, ormai, considero la pessima idea di accettare il ruolo.

Già all’inizio dell’anno scolastico passato avevo scritto alla dirigenza dell’Ufficio Scolastico Regionale di mia appartenenza, lamentando la preoccupazione per la situazione di chi si trovava costretto, come me e come tanti altri, a confluire nel potenziamento. In tale occasione, avevo fatto presente come il potenziamento rappresentasse una posizione umiliante e degradante per quei docenti che si trovassero a doversi eventualmente confrontare con dirigenti dotati di scarsa lungimiranza e/o con la chiara intenzione di usare il potenziamento come risorsa tappabuchi, a cui riservare qualche progettino giusto per indorare la pillola. Progetti che, a fronte di evidenti difficoltà organizzative, nella maggior parte dei casi potevano finire con l’occupare solo una percentuale ristretta del monte ore annuale e che quindi avevano come risultato più evidente quello di qualificare indirettamente il docente potenziatore come quel docente occupato per la maggior parte del tempo a sostituire i colleghi assenti, e poco più.

Se si solleva il problema del potenziamento, chiedendo alle “alte sfere” di prendere qualche posizione o provvedimento in merito, ci si vede principalmente rispondere – le eccezioni sono d’obbligo – che non esistono docenti di serie A e di serie B. A tutt’oggi, dopo un anno di esperienza di ruolo nella scuola targata Buona Scuola, e pur sapendo benissimo che tutto questo non dipende certo dagli USR e USP ma da chi prende le decisioni al vertice della piramide dell’ordinamento scolastico nazionale, mi trovo a dover contraddire questa affermazione: spiace farlo presente, ma i docenti di serie A e di serie B esistono eccome. Di serie A sono coloro che, entrando in classe, sanno di essere docenti di materia, titolari di una cattedra e di un ruolo che possa dirsi tale non solo ai propri occhi, ma anche agli occhi dei colleghi e degli studenti; quelli di serie B sono tutti coloro, di ruolo o meno, che entrano in una classe che non è la loro e sono lì soltanto per svolgere un’ora di supplenza; o che svolgono un progetto che poi, per difficoltà facilmente immaginabili a livello burocratico e organizzativo, non ha alcun riscontro in termini di valutazione finale e che quindi si trovano a dover combattere contro l’assenteismo dei ragazzi – che non sono né si sentono obbligati a partecipare a tale progetto – o, nel peggiore dei casi, la maleducazione degli stessi, visto che il docente presente in classe spesso non possiede alcuna autorità riconosciuta se non quella che gli può derivare dall’essere un adulto, in quanto la sua figura professionale non possiede un inquadramento chiaro talvolta né agli occhi degli studenti che a quelli del personale di segreteria o dei colleghi. Per non parlare del dirigente.

Personalmente ho vissuto un anno di grande amarezza e delusione. Alla fine, l’unico ruolo che è stato ritagliato per me nell’ambito di un potenziamento di filosofia è stato quello di docente di sostegno alla classe e docente “sostitutore”. Quello che ho fatto, in un anno di lavoro in un Istituto Tecnico (altra cosa strana: ma non si potevano dare più ore di potenziamento di filosofia ai licei?) è stato effettuare sostituzioni e compresenze, durante le quali il mio ruolo era quello di dare una mano nella gestione della classe e prendere appunti durante la lezione di turno, da distribuire agli studenti che erano più in difficoltà; oppure, aiutare qualche studente a fare recupero e studio assistito alcuni pomeriggi a settimana. I progetti: qualche uscita didattica e qualche evento da organizzare. E questo perché, oggettivamente, in presenza di un monte ore fisso settimanale, organizzare delle attività aggiuntive serie, e cioè che vadano anche ad incidere fattivamente sulla programmazione (quindi con valutazione, obbligo di frequenza, obbligo di inserire la valutazione del corso in sede di scrutinio…) è, per molte scuole, di estrema difficoltà organizzativa; senza contare le varie forme di resistenza che talvolta il potenziamento trova sul suo cammino quando cerca di affiancarsi agli insegnamenti tradizionali. Con tutto quel che si può dire sulla scuola dell’autonomia.
Tutto questo è umiliante. Non solo perché, a causa delle storture del sistema scolastico, spesso il potenziamento è stato assegnato senza criteri logici, assegnando ad esempio ad istituti tecnici e professionali il potenziamento in filosofia, quando ai licei si sarebbe potuta assegnare qualche cattedra in più di potenziamento in tale materia; ma anche perché, a causa della distinzione tra organico di diritto e di fatto, spesso il potenziatore si trova a svolgere un ruolo di mero supporto a un docente che in classe appare come titolare su materia ma che è stato assunto dalla graduatoria di seconda o terza fascia e spesso – anche qui le eccezioni sono d’obbligo – con molta meno esperienza e soprattutto un punteggio inferiore.

Anche quest’anno, le cose non sono andate meglio. Nonostante il mio tentativo di chiedere il trasferimento, a causa della carenza di posti e del fatto che alcune cattedre sono occupate da persone che nemmeno insegnano nella scuola di titolarità (i motivi sono vari, ma anche questa è una delle stranezze della scuola in Italia: occupi una cattedra in una scuola e sei ad insegnare o a svolgere mansioni altrove e la tua cattedra non la può occupare nessuno) e a causa della divisione tra organici di diritto e fatto, mi sono trovato a occupare di nuovo un posto di potenziamento; mentre nei licei cittadini, ora che si procede alle assunzioni per l’organico di fatto, sono risultati disponibili tantissimi spezzoni orari e cattedre vacanti che però sono ad esclusivo appannaggio dei docenti di seconda e terza fascia, trovandoci noi di ruolo impossibilitati a chiedere anche solo una rettifica dei risultati dei trasferimenti (fermo restando le precedenze dovute e il punteggio).

Reputo questa situazione non solo umiliante, ma degradante e lesiva della dignità di un docente. Lo dico perché io, come molti miei colleghi con le mie stesse competenze e titoli ed esperienza, quest’anno mi troverò a lavorare su potenziamento, mentre le ore di materia verranno affidate a precari con meno esperienza e titoli di quanti io ne possegga, talvolta anche senza abilitazione.
Quando ero un docente precario ho sempre rispettato il mio turno, ho sempre accettato ciò che restava delle ore disponibili su materia; ho insegnato sostegno e ho lavorato per anni in tutti i tipi di scuola, aspettando con ansia di poter insegnare la materia che amo. Ho aspettato, con pazienza, di raggiungere la posizione che mi avrebbe consentito di ottenere il posto tanto agognato. Oggi mi pento di aver accettato il ruolo, perché – lo confesso apertamente – i precari stanno meglio di me. E attribuisco questa situazione alla specifica natura del potenziamento scolastico e alla incapacità di gestire gli organici scolastici da parte dell’amministrazione.

Non sono i mesi di retribuzione aggiuntiva che, a questo punto, possono consolarmi: il lavoro non è solo retribuzione, ma è anche realizzazione personale. Il lavoro è vita e progettualità. Io sono un docente di filosofia e storia. Lo affermo con convinzione. Io amo la mia materia, credo in essa e mi impegno ogni giorno per trovare il modo più adatto per insegnare, mettendomi costantemente in discussione e approfondendo più che posso le mie conoscenze e abilità. Non sono certo il solo, lo fanno tutti quelli che credono nel valore della propria disciplina, nel suo insegnamento; e che rispettano troppo gli studenti per pensare di aver già imparato tutto il necessario. Eppure, pur essendo docente di ruolo, vista la situazione in cui mi trovo, mi sento privato della mia dignità lavorativa, non riconosciuto, sbattuto a compiere mansioni ridicole e umilianti svolte senza riconoscimento alcuno se non la retribuzione mensile; mentre chi è precario ottiene molto più facilmente la possibilità di insegnare la propria materia come docente titolare.

Credo che sia una grande ingiustizia. E penso che i dirigenti dovrebbero avere più cura dei loro docenti, prestare più attenzione alla situazione dei loro docenti, valorizzarli, trovare il modo per far sì che si arrivi a selezionare i docenti sulla base dei loro meriti e non sulla base della loro posizione o inquadramento. Si potrebbe chiedere con insistenza che la selezione avvenga attraverso una seria valutazione del docente: questo offrirebbe maggiori opportunità a tutti i docenti, anche di seconda e terza fascia, che potrebbero mostrare quello che valgono e non dover sottostare alla dittatura di un punteggio che alla fine rispecchia solo il tempo passato a occupare un posto. Oppure, meno problematico sotto certi aspetti ma non meno sotto altri, si potrebbe finalmente ragionare sulla necessità di garantire ai docenti di ruolo la mobilità su tutto l’organico e non solo su quello di diritto. Questo vuol dire assumere i precari abilitati, far confluire l’organico di fatto in quello di diritto e cancellare questa pratica assurda per cui le ore che i docenti di ruolo hanno a disposizione per chiedere la mobilità sono solo una minima parte di quelle totali che riguardano il fabbisogno di una scuola. Perseverare su questa via può solo voler dire creare spaccature sempre più profonde tra chi opera nel mondo della scuola, arricchendo la guerra tra poveri che ha reso la classe docente la classe di lavoratori più spezzettata, arrabbiata e incattivita – e purtroppo spesso in rivolta contro se stessa, incapace di vedere e lottare unita contro il nemico comune – degli ultimi anni. Che magari è proprio quel che si vuole.

Se qualcosa di diverso fosse successo, molti docenti come me quest’anno avrebbero potuto insegnare finalmente su materia, ottenendo niente più di ciò che è conforme alla definizione di docente di ruolo: e cioè avere un ruolo, un ruolo tangibile e riconoscibile che deriva dal sapere chi si è e cosa si fa; e le ore per le supplenze per i docenti di seconda e terza fascia ci sarebbero state ugualmente, questo è sicuro. Ma questa istituzione del potenziamento ha relegato coloro che hanno avuto la sfortuna di essere assunti con questo inquadramento – o coloro che ci sono caduti per altri motivi – in un limbo che sembra non offrire alcuna via d’uscita; e che impedisce spesso e volentieri ai docenti di potenziamento di ottenere una cattedra o di insegnare materia mentre, paradossalmente, chi è precario e con meno punti ottiene la possibilità contraria.

Non è capovolgendo la realtà e rendendo “titolare” un docente precario e “precarizzando” un docente di ruolo che si fa il bene della scuola. Si vuole operare seriamente? Si uniscano gli organici, si svuotino le graduatorie e si assumano in ruolo tutti gli abilitati. Poi si assegnino i posti sulla base del punteggio. Questa sarebbe la soluzione auspicabile, se si vuole una scuola che valorizzi le competenze e le capacità e sappia valorizzare chi lavora da anni per essa. Ma se l’intento è demotivare, umiliare tutti quei docenti di ruolo che sono loro malgrado su potenziamento, allora direi che la scuola è sulla strada giusta.

Ci tenevo a rendere manifesto il mio disagio come docente. La frustrazione e la delusione che porto dentro mi hanno fatto capire che era arrivato il momento di dire qualcosa, e di non lasciar più passare tutta questa situazione sotto silenzio. I docenti di serie B esistono. E vorrebbero che qualcuno facesse qualcosa per andare in loro soccorso.

Grazie per l’attenzione riservatami.

Cordiali saluti

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