Lettera di una docente pugliese alla ministra Azzolina

Inviato da Angela Simone – Ministro Lucia Azzolina,
Siamo tutti d’accordo che la “Scuola fatta a Scuola” è preferibile a qualsiasi forma di didattica a distanza.
Ma, Signora Ministro,
non ci vuole molto a comprendere che la scuola resta aperta e in presenza, solo e solo se il sistema sanitario funziona e dà garanzia di soccorso immediato e cure adeguate.
Ma se il sistema sanitario è al collasso, come si può pensare di frequentare in presenza?
In Puglia, Ministro, la Sanità non regge.
NON REGGE.
Presìdi insufficienti, personale sovraccarico di lavoro, mancanza di posti letto, pronto soccorsi ormai al limite …
Le sembra difficile da comprendere?
Chi tutela la salute di docenti, alunni, personale ATA in caso di contagio?
E se un bambino si fa male o si sente male? Cosa che capita un giorno sì e l’altro pure?
Dove lo portiamo? A casa sua?
Ministro, le scrive una docente che andrebbe a scuola anche sotto le bombe.
Anche al gelo.
Anche ad agosto.
Perché guardare negli occhi un bambino, parlargli, sostenerlo, vederlo crescere, incoraggiarlo, assicurargli le pacche sulla spalla, abbracciarlo, guidarlo alla scoperta dei saperi, insegnargli la curiosità o a risolvere un problema, è ben diverso che sorridergli dietro uno schermo o spiegare con un ppt, uno schizzo su Jamboard o un video di YouTube.
Per un momento, Ministro, ci siamo illusi, almeno qui in Puglia, di poter riuscire a conciliare istruzione e salute, demandando al nostro lavoro la parte più propriamente formativa e informativa, sicuri di avere al nostro fianco un sistema sanitario che, per quanto vacillante, potesse reggere l’urto.
Ci abbiamo creduto al punto tale da stravolgere il nostro mestiere.
Abbiamo messo in campo forze, mezzi, regole, nuove abitudini.
Abbiamo imparato un nuovo modo di fare didattica, dando uno sprint alle competenze tecnologiche e metodologiche.
Abbiamo smembrato classi intere, assunto una marea di personale docente e Ata (il cosiddetto contingente COVID), stravolto orari e vite.
Varcare il cancello della scuola è stato come entrare in un ospedale militare.
Distanza, sanificazione dei banchi, igienizzazione continua di mani e suppellettili, mascherine pulite, i giubbotti in apposite buste.
Niente più cattedra, né armadi, i muri spogli, senza un cartellone o una macchia di colore a rallegrare occhi e cuori.
Per non parlare delle finestre spalancate a prescindere dal meteo, per assicurare aerazione continua.
Perché abbiamo sempre creduto che solo la “Scuola fatta a Scuola” è in grado di lasciare quei famosi segni che ci rendono Uomini e Donne.
Ma tutto questo non è bastato a renderci invulnerabili.
Il virus è entrato nelle nostre scuole con tutte le conseguenze che Lei ben conosce.
Si, Ministro, è stata un’illusione.
Svanita non per colpa degli studenti ma per il menefreghismo, la strafottenza, l’ignoranza, il pressappochismo degli adulti.
Adulti scriteriati che hanno messo in crisi con i loro comportamenti la sanità e la scuola.
Perché i bambini si contagiano fuori la scuola e poi portano il virus dentro.
Ecco perché ora siamo al collasso.
Se solo sapessimo che c’è un ospedale, un ambulatorio, un qualsiasi presidio sanitario pronto a rispondere ad una qualsivoglia emergenza sanitaria, saremmo già ora dietro il cancello della scuola aspettando l’apertura di domani.
Ma adesso non possiamo.
L’intelligenza vuole che si debba sapersi adattare alle situazioni, riconoscendo la “sconfitta” e darsi il tempo di ricostruire.
Questo è il tempo del coraggio di scelte nuove.
E di riconoscere il fallimento.
Ministro,
in questo maledetto tempo del coronavirus, non è prioritario se i nostri alunni sanno mettere l’accento sulla E, l’h davanti alla A o se conoscono a memoria le tabelline.
Avranno tempo per imparare.
E lasciamo loro, per favore, questo tempo.