Lettera aperta di Vittoria Casa (M5S): “Solidarietà ad Anita, colpita da insulti da parte di alcuni docenti”

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Vittoria Casa, presidente della Commissione Cultura alla Camera, invia una lettera alla nostra redazione a seguito della pubblicazione di un nostro articolo in cui si riportavano le parole di Anita, studentessa 12enne No Dad. 

Gentili amici di Orizzonte Scuola,

       Vi scrivo per un fatto accaduto pochi giorni fa. Mi rivolgo a voi perché incidentalmente è capitato sulla vostra pagina Facebook, ma è una riflessione più generale perché sui social network nessuno è esente da certi episodi.

       Mi ha scritto recentemente la mamma di Anita, la giovanissima ragazza che a Torino chiede di tornare a fare lezione in classe. Mi ha segnalato un articolo che sul vostro sito dava giustamente conto di una dichiarazione della figlia: “Preferisco la classe alle vacanze, abbiamo perso troppo tempo”. Sotto il pezzo, a commento, frasi che irridevano alla sua salute mentale, inviti ad andare da un terapeuta, qualche inibito turpiloquio.

      Ora, tutti ci stiamo dentro e tutti sappiamo come funziona la rete. L’asticella dell’indignazione negli ultimi anni si è purtroppo abbassata di parecchio. Tuttavia, il caso di Anita merita qualche riflessione in più. Non è infatti usuale che a bersaglio venga presa una bambina di 12 anni, e che a farlo, peraltro, siano persone che nella vita in qualche caso svolgono il ruolo di docenti.

     Innanzitutto il contesto. Le offese ad Anita arrivano dopo, molto dopo, che in un caso simile un governatore regionale abbia dichiarato che “la bambina è un ogm, cresciuta dalla mamma col latte al plutonio”; arrivano dopo, molto dopo, che la stessa qualità di insulti sia stata rivolta a  giovani atleti paralimpici, a youtuber, addirittura a neonati (la prima di quest’anno della Regione Liguria aveva il torto della pelle scura); arrivano dopo, molto dopo, che i riferimenti ai ritardi cognitivi siano diventati uno stile ben preciso: penso al celebre caso di Greta Thunberg.

     Io Anita l’ho ascoltata, insieme a tanti suoi colleghi, in Commissione Cultura. Lei e gli altri sono ragazze e ragazzi, spesso poco più che bambini, che nell’anno pandemico hanno completamente perso le basi usuali della propria vita quotidiana. Molti di loro osservano gli amici chiudersi in sé stessi, darsi all’autolesionismo, isolarsi in casa, soffrire perché non hanno i mezzi economici per usufruire a dovere della didattica a distanza. Lo fanno, mentre insieme alla scuola sono stati privati di tutto: lo sport, il cinema, il teatro, l’oratorio, le discoteche, i concerti, praticamente l’intera gamma delle attività collettive. Lo fanno, per senso di responsabilità: perché sotto i vent’anni, con un’incidenza di ospedalizzazione dello 0,04%, per le loro classi d’età il Covid-19 è un pericolo difficilmente percepibile. Lo fanno, perché sono una generazione che, nella maggior parte dei casi, comprende e sa stare alle regole. 

       Ecco, noi a queste ragazze e a questi ragazzi abbiamo chiesto tutto. E quando loro, con fare adulto, ci chiedono conto di un diritto fondamentale – quello all’istruzione – capita che rispondiamo come se quelli da educare fossimo noi.

      Una certa politica nell’ultimo anno ha ampiamente e strumentalmente banalizzato i problemi relativi alla dad e alla didattica in presenza. In realtà, già sappiamo che i relativi danni ce li porteremo dietro a lungo. Eppure, guardando a certi adulti di oggi e alle molte Anita che esistono in Italia, non posso che pensare che ne usciremo meglio di prima.  

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