Le tre dimensioni dello stress: professionale, extraprofessionale, genetica
La testimonianza che segue non è dissimile da molte altre ma ci offre l’occasione per riflettere sulle tre grandi dimensioni che determinano il nostro stress psicofisico.
Queste sono nell’ordine: professionale (tutto ciò che riguarda il mondo del lavoro); extraprofessionale (tutto ciò che esula dal mondo del lavoro come le relazioni familiari, i grandi eventi, i lutti, le malattie etc); genetica (legata all’eredofamiliarità). L’ultima dimensione è solitamente la più trascurata e la presente testimonianza ne è ulteriore conferma. Le malattie professionali degli insegnanti sono prevalentemente sindromi ansioso-depressive e sarebbe oltremodo utile, per il curante, sapere se l’anamnesi familiare presenta un rischio psicopatologico elevato anche nel caso di Claudia (nome di fantasia).
La lettera. Gentile Dottore, sono Claudia, una docente di scuola media, ho 54 anni e insegno dal 1990 dopo essermi laureata in Lettere nell’87. Sono sempre stata considerata un’insegnante capace con buone relazioni con colleghi e genitori. Dopo alcuni anni di docenza al Nord, come tante sono tornata a casa mia al Sud nel 2004, avendo finalmente più tempo per le mie nuove esigenze di madre. Ho sempre tenuto nascosto il timore di non saper gestire gli alunni difficili, capaci di prendere il sopravvento. La mia voce bassa e il mio aspetto dolce, mi ponevano in una condizione di debolezza di fronte alla classe. Sul versante della vita privata, non me la sono mai passata troppo bene: famiglia che non mi ha mai fatto sentire amata; matrimonio finito rapidamente; figlio cresciuto in completa solitudine e in fase di ritiro sociale. Ho commesso errori, ma credo di aver speso i miei “talenti” in modo costruttivo: un figlio bravo e affettuoso, una casa, degli amici, alcuni hobby. Ora, però, sono allo stremo. Da alcuni anni vivo con crescente insofferenza la realtà scolastica e sto accusando disturbi psico-fisici di vario genere. Lo stare in classe, con i ragazzini sempre più indisciplinati, è diventato oltremodo faticoso; da due anni accuso dei blackout che si ripetono nella giornata. Dopo pochi secondi di totale estraneazione, mi riprendo restando totalmente debilitata. Medico di base, psicologo, neurologo e psichiatra non sanno spiegarsi il fenomeno ma da allora sono in psicoterapia. Lo scorso anno ho fatto alcune settimane di malattia certificate dalla psichiatra. Ho rifiutato terapie con psicofarmaci, non sentendone la necessità. Verso la fine dell’estate sono scomparsi anche i blackout, da soli, così come erano venuti. Purtroppo, la situazione è precipitata a settembre quando ho preso servizio nella nuova scuola, in cui avevo chiesto di essere trasferita e in cui è arrivata una nuova dirigente. Questa persona ha esordito nel primo collegio docenti affermando che ogni cosa doveva passare al suo vaglio. Riferendosi a qualche sua teoria ha rapidamente messo in atto un modello tutto suo, fluido e senza riferimenti: semplicemente una sorta di caos organizzato. Per non parlare dei soliti genitori iperprotettivi che accorrono lesti quando ritengono che il loro pargolo sia stato vittima di ingiustizia. Non è servito a nulla parlarne con i colleghi, anzi! Mi sono sentita dire che gli alunni vanno motivati ed è stato lasciato intendere che sono io a non essere capace. Eppure, so che nella precedente scuola continuano a parlar bene di me. Siamo bellamente stati invitati a non mettere note disciplinari, né possiamo chiedere liberamente di parlare con un genitore. Quale autorevolezza residua a un docente in queste condizioni? La dirigente mi ha poi avvisata di essere stanca del mio modo di fare dicendomi che sono “attenzionata”. È una situazione opprimente, dalla quale non vedo via d’uscita né rifugio: alunni scalmanati, colleghi non collaborativi, genitori con l’ascia in mano, una dirigente il cui operato preferisco non definire. I vuoti di attenzione sono tornati in modo massiccio alla ripresa delle attività, e pure la pressione arteriosa presenta picchi nelle ore di lavoro. Vorrei chiedere il suo parere, dottore, in merito a tutto ciò che le ho raccontato. Se lei ritiene che possa realisticamente pensare di chiedere l’inidoneità all’insegnamento e quali passi eventualmente intraprendere. Cari saluti
Riflessioni. A parte il difetto della dimenticanza relativa alla dimensione genetica dell’usura psicofisica, la lettera di Claudia è molto ben strutturata. Non tralascia infatti di raccontare se stessa, nella dimensione extra-professionale, nel ruolo di figlia prima, di moglie poi, infine di madre. Il racconto appare obiettivo e lucido esponendo i limiti nel suo relazionarsi con gli altri. Medesima franchezza ci si attende, pertanto, nel racconto professionale che appare infatti ben circostanziato anche nelle critiche a colleghi e dirigente che, a sua volta, appare eccentrica e originale ma priva della necessaria capacità di mettersi in discussione. Claudia quindi conosce bene i limiti della sua vita di relazione nonché gli ostacoli professionali e, con una certa riluttanza, si affida allo psichiatra seppure “con riserva”. Rifiuta infatti una farmacoterapia che potrebbe esserle di grande aiuto almeno nei primi mesi nei quali è presa in carico. La sintomatologia dei blackout compare in modo parossistico, sorprende e allarma l’insegnante, infine scompare dopo le vacanze estive. Tutto però ricomincia impietosamente alla ripresa dell’anno scolastico con i soliti problemi. Grazie alle somatizzazioni, che fungono da spia di “riserva”, il corpo manda espliciti segnali di malessere che tendiamo a tacitare attraverso inconsapevoli meccanismi di razionalizzazione e relativizzazione.
La richiesta di aiuto di Claudia non può cadere nel vuoto, ma non deve nemmeno limitarsi all’opportuna richiesta di accertamento medico in CMV per ottenere una temporanea inidoneità all’insegnamento. Questa circostanza può servire a Claudia per conoscere meglio se stessa e operare su quegli aspetti del carattere che hanno reso fragili le sue relazioni. Queste non sono state difficili solo con la dirigente autoritaria ed eccentrica, ma anche coi colleghi, con l’ex marito, coi genitori, col figlio. Anche nello psichiatra, cui Claudia si è rivolta, è stata riposta una fiducia limitata col netto rifiuto della farmacoterapia prescritta. Al contempo l’insegnante può approfondire la dimensione professionale dell’usura psicofisica (mi si perdoni se rimando sempre alla lettura dei miei due testi su casi reali, ma non ve ne sono altri a disposizione: “Pazzi per la Scuola” – Alpes Italia Edizioni – e “Insegnanti, salute negata e verità nascoste” – Edises Edizioni) e farne oggetto di confronto coi suoi colleghi ma soprattutto col dirigente scolastico. Questi è infatti tenuto per legge (art. 28 DL81/08) ad attuare la prevenzione dello Stress Lavoro Correlato (seriamente s’intende e non attraverso insulsi questionari).
“L’altro è il mio inferno”, affermava Jean Paul Sartre, ricordandoci la parte faticosa della relazione. Eppure, è altrettanto vero che la buona relazione appaga e ci strappa alla solitudine. Ebbene possiamo dire che Claudia ha conosciuto solo la prima faccia della medaglia e sarebbe ora che scoprisse il risvolto. Buon lavoro Claudia.
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