Laurea + 24 CFU titolo abilitante all’insegnamento. Sentenza Tribunale Roma, cosa significa

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Una sentenza del Tribunale di Roma, del 22 marzo 2019 n. 2823, ha spalancato un portone importante in Italia che sta dando luogo a diversi contenziosi per quanto concerne la questione del 24 CFU ed il mancato inserimento in seconda fascia.

Una sentenza che richiamandosi alla normativa comunitaria evidenzia l’irrilevanza del concetto di abilitazione all’insegnamento.

Il Fatto
Con ricorso la ricorrente agiva attraverso i propri legale chiedendo previa disapplicazione del D.M. n. 374 del 2017, art. 2 lettera A n. 4 e dei successivi decreti ministeriali e direttoriali conseguenti, connessi e consequenziali, in quanto illegittimi, di accertare e dichiarare che la ricorrente è in possesso di un titolo abilitante all’insegnamento costituito dal diploma di laurea e dei 24 cfu ovvero dal solo diploma di laurea e ordinare al Ministero convenuto di inserire la ricorrente nella seconda fascia (II fascia) delle graduatorie di istituto del personale docente per la classe di concorso di riferimento ovvero per quelle ritenute oppure in quelle ritenute accessibili in corso di causa, nella posizione secondo il punteggio spettante e maturato, come per legge.

Diploma di laurea e 24 CFU costituiscono titolo abilitante

In sintesi, il legislatore richiede uno specifico requisito per l’accesso a tutti i concorsi per il reclutamento docenti e nello stabilire tali requisiti sostituisce il termine abilitazione con i 24 crediti formativi in specifici settori scientifico disciplinari e sui tre anni di servizio, che consentono l’accesso ai concorsi su tutte le classi di concorso accessibili mediante il diploma di laurea.

Si intende dire che lo stesso legislatore sembra equiparare – tra i titoli di accesso ai concorsi per il reclutamento dei docenti – l’abilitazione (intesa come conseguimento dei Pas, Tfa e SSIS) con i 24 Cf o 36 mesi. In questo quadro la condotta del Ministero, che non ha consentito alla ricorrente di partecipare alla fase transitoria della procedura concorsuale, appare illegittima.

In effetti, la ricorrente, evidenzia il Tribunale, può partecipare alla fase transitoria del concorso riservato agli abilitati ma non può accedere alle graduatorie di seconda fascia -pur riservate ai docenti abilitati: ciò configura una disparità di trattamento ed una negazione all’accesso al pubblico impiego, in violazione degli artt. 3 e 97 Costituzione.

Questa interpretazione “costituzionalmente orientata”, certamente discutibile alla stregua del dato letterale della normativa esaminata, è comunque sostanzialmente imposta, o comunque fortemente consigliata, dalla normativa europea che non prevede alcun titolo abilitativo per insegnare. Il giudice deve quindi cercare una soluzione interpretativa in senso conforme a questa “cornice sovranazionale”, dovendo altrimenti rimettere gli atti alla Corte Costituzionale. Soluzione che, come si è visto, appare senz’altro possibile nel caso di specie. (…) “la ricorrente è in possesso di un titolo abilitante all’insegnamento costituito dal diploma di laurea e dai 24 cfu”

Le procedure abilitative sono solo procedure amministrative

Le procedure c.d. abilitative sono, in realtà, mere procedure amministrative di reclutamento che consentono di “programmare gli accessi”.

Ciò che vale, ai fini dell’inserimento nelle fasce di istituto è il titolo di studio, cfr. Direttive Comunitarie 2005/36/CE, 2013/55/UE, recepite con D.Lgs. n. 206 del 2007 in virtù delle quali l’accesso alla professione può essere subordinato al conseguimento di specifiche qualifiche che possono consistere, alternativamente, in un titoli di formazione ovvero in una determinata esperienza lavorativa.

Pertanto è indispensabile, al fine di chiarire il quadro normativo applicabile, che il legislatore nazionale ha già recepito, mediante l’art. 1, comma 79 della L. n. 107 del 2015 evidenziare la sostanziale irrilevanza della cd. “abilitazione all’insegnamento”. Il medesimo art. 1, comma 79 stabilisce che il dirigente scolastico può conferire incarichi anche a docenti che siano sprovvisti di titoli di “abilitazione”.

La normativa europea

Ciò sembra confermare che il legislatore interno sta dando formale attuazione allo spirito delle direttive comunitarie non richiedendo più l’abilitazione all’insegnamento quale requisito di svolgimento della professione.

La Direttiva 2005/36/CE ed il relativo Decreto di attuazione impongono il possesso di idonea “qualifica professionale” al fine dell’esercizio di una professione regolamentata, quale quella di docente nel sistema scolastico pubblico italiano, e tale requisito è condizione necessaria ed al tempo stesso sufficiente all’esercizio della stessa; i titoli conseguiti in Italia in quanto Stato membro dell’Unione Europea rientrano nella definizione di “titolo di formazione” e quindi di “qualifica professionale” utile all’esercizio della “professione regolamentata”.

I termini di “abilitazione” e/o “idoneità” non rientrano tra le definizioni adottate dalla citata Direttiva o del relativo Decreto di attuazione e debbano quindi ritenersi sostituiti dalla più generale definizione di “qualifica professionale” adottata dalla normativa dell’Unione Europea.

Le procedure definite “abilitanti” dallo Stato italiano non rientrano nelle definizioni di “qualifica professionale” adottate dalla citata Direttiva 2005/36/CE poiché non rappresentano, ai sensi della stessa, una “formazione regolamentata” ma una mera procedura amministrativa appartenente all’ambito di una modalità di reclutamento attuata in forma non esclusiva dallo Stato italiano, posto che il diritto all’esercizio della professione avviene non in virtù di tali procedure, ma in virtù di idoneo titolo di accesso conseguito secondo le vigenti disposizioni di legge.

In altri termini, il titolo non è altro che la “qualifica professionale” adottata dalla normativa dell’Unione Europea.

N.B. Per il Ministero laurea + 24 CFU consente accesso a III fascia delle graduatorie di istituto ma non alla seconda

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