“Latino alle medie? C’è il rischio di selezione”. Sulla storia, “no insegnamento per accumulo. Il 900? Trovare nuove strategie per insegnarlo” INTERVISTA alla storica Roghi

La Storia, il latino. Le poesie a memoria. Il ritorno della geografia al posto della geostoria. Sono tutte le novità annunciate dal Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, a proposito delle nuove indicazioni nazionali. Si tratta di una riforma che fa discutere ben prima di essere ufficiale, di avere nero su bianco le indicazioni a cui dovranno “ispirarsi” gli insegnanti.
Le nuove indicazioni nazionali: cosa sappiamo
In attesa del documento che sarà redatto dalla squadra di esperti guidata da Loredana Perla, Valditara ha già fissato nel suo atto di indirizzo alcuni dei punti più volte citati nelle varie interviste e commenti rilasciate alla stampa negli ultimi mesi.
Il Ministro porrà particolare attenzione allo sviluppo delle competenze STEM, con l’integrazione di attività e metodologie specifiche in tutti i cicli scolastici, con particolare attenzione alle studentesse. L’obiettivo è fornire a tutti gli studenti un’educazione di alta qualità e un orientamento efficace, favorendo la scelta consapevole del percorso di studi e/o di formazione professionale.
Ma sappiamo che le questioni che suscitano maggiormente dibattito riguardano altri ambiti disciplinari, come accennato in precedenza.
Prima di tutto, il capo del dicastero di Viale Trastevere ha proposto l’introduzione del latino come opzione a partire dalla seconda classe di scuola secondaria di primo grado, con l’obiettivo di recuperare l’interesse per la cultura classica fin dai primi anni del percorso scolastico.
La geostoria alla secondaria di secondo grado verrà sostituita da un approccio più focalizzato e narrativo allo studio della storia, con una particolare concentrazione alla storia d’Italia e dell’Occidente, approfondendo temi come i popoli italici, la civiltà greca e romana e i primi secoli del Cristianesimo.
Invece, alla secondaria di primo grado, per quanto riguarda la Storia, al centro degli apprendimenti dovrebbe esserci spazio per l’Europa e gli Stati Uniti, allo scopo di evidenziare le origini italiane.
Novità anche per la geografia, che si concentrerà sulla conoscenza dell’Italia e sul collegamento con le tematiche ambientali.
Altro punto centrale, ribadito sin dall’inizio, riguarda la scuola primaria, dove saranno potenziate l’educazione musicale e artistica, per favorire la creatività e l’espressione personale.
E ancora: lo studio della lingua sarà centrale, sin dalle prime classi della primaria, per tentare di sviluppare solide competenze di scrittura e di lettura. A proposito di lettura, sarà consigliato di focalizzare anche la Bibbia, sempre nell’ottica di rafforzare le radici culturali.
Infine la memorizzazione di poesie: dalle filastrocche all’epica classica, alla mitologia e alle saghe nordiche. Nell’idea di Valditara questo potrà essere uno strumento per stimolare la fantasia, il senso di meraviglia e consolidare le regole grammaticali.
L’intervista alla storica Vanessa Roghi
Su questi temi, ancora circondati dall’aura di incertezza dovuta alla mancanza di un documento ufficiale, abbiamo sentito Vanessa Roghi, storica e ricercatrice indipendente
In attesa di capire cosa esattamente sarà inserito nelle indicazioni nazionali, dato che al momento non esiste un documento ufficiale, qual è il suo giudizio su questi primi annunci da parte del Ministro Valditara?
I primi annunci non fanno ben sperare. Si rileva l’intenzione di rivedere delle indicazioni nazionali che non sono invecchiate affatto dall’anno in cui sono entrate in vigore, il 2012, e questo perché nel loro impianto si rispecchia l’autonomia scolastica e si indicano agli e alle insegnanti degli obiettivi da raggiungere. Oggi, invece, mi pare che l’impianto sia quello di tornare alla logica dei programmi, cioè cosa deve essere insegnato nella scuola del primo ciclo. Ora questo modo di concepire la relazione fra Ministero e insegnanti è francamente vecchio e consolatorio e risponde molto bene ai tempi che viviamo: offre certezze ma non soluzioni.
Cioè?
Grammatica, latino e storia d’Italia diventano temi identitari. Ma sappiamo benissimo che in un Paese in cui il sistema scolastico è pubblico e universale non possiamo pensare alla scuola come a un luogo dove si impartisce ovunque lo stesso tipo di istruzione, perché, come ha sempre messo in luce la migliore pedagogia, al centro del progetto educativo ci sono i bambini e le bambine e i ragazzi e le ragazze e occorre partire da loro per formulare percorsi di insegnamento che siano efficaci, entro la cornice delineata dalle indicazioni nazionali, appunto.
Valditara vuole più Storia a scuola. Ma una storia che si concentri molto sulla Storia d’Italia. Cosa ne pensa?
La storia che si studia nel primo ciclo soffre moltissimo della distanza che c’è fra indicazioni nazionali, libri di testo e formazione degli e delle insegnanti rispetto alla didattica della materia. La storia non può essere insegnata per accumulo, non serve a niente, nessuno se la ricorda così, nessuno si appassiona. Il metodo storico che è quello che ci insegna a guardare alle fonti e al tempo come due elementi costitutivi su cui si sorregge l’interpretazione dello storico dovrebbe essere il fondamento dell’insegnamento della disciplina. Più o meno storia d’Italia non fa differenza se prima non si ragiona bene su questo aspetto di metodo.
A proposito di Storia. Ogni anno, nel periodo vicino alla maturità, viene tirato fuori il problema della storia alle scuole superiori, dove i famosi “programmi” si fermerebbero alla seconda guerra mondiale. Le risulta?
Giustamente virgolettiamo la parola “programmi”. Sappiamo benissimo che non sono un vincolo per nessuno, e ripeto dove si arriva nello studio della storia dipende proprio da questa ansia indotta di voler fare tutto, ma tutto cosa? Il manuale forse. Eppure, molti testi scolastici il problema se lo pongono, e chiedono agli insegnanti di lavorare su moduli che possono scegliere. Il Novecento non è un secolo breve, è un secolo lunghissimo, occorre trovare nuove strategie per insegnarlo che passano dalla ricerca sulle fonti della contemporaneità che ancora troppo spesso vengono usate in modo superficiale e inconsapevole. Pensiamo al cinema ad esempio.
La questione del latino alle medie è in effetti il tema su cui si concentra maggiormente il dibattito. Ma davvero il latino alle potrebbe dare il plus all’istruzione italiana?
No. Nessuna materia ha in sé gli ingredienti magici che servono per uscire da quella che viene definita, senza mai approfondirla seriamente, la “crisi” della scuola. Non esiste una crisi, esistono tante criticità diverse a seconda dei luoghi e degli ordini scolastici. La scuola non è un monolite, nemmeno nello stesso istituto le cose funzionano allo stesso modo nelle classi. I fattori che producono questa differenza li consociamo benissimo. Pensare che una materia soltanto possa contribuire a migliorare la comprensione dei testi dei parlanti italiano in età scolare è sconfortante perché racconta una visione ideologica calata dall’alto che non presta ascolto alle ricerche della linguistica e di chi seriamente studia come l’apprendimento linguistico sia una questione complessa che riguarda tutte le materie e non una soltanto.
Il pedagogista Corsini, nei giorni scorsi, commentando il tema, ha sottolineato che tale indirizzo politico potrebbe portare al rischio di una selezione sociale. Cosa ne pensa?
Sono assolutamente d’accordo con lui. Per come è stata impostata l’idea di inserire il latino alla secondaria di primo grado in sezioni speciali fa pensare a una scuola dove sezioni differenziate operano una selezione anticipata nei confronti di chi frequenterà il liceo da chi frequenterà le scuole tecniche. Sappiamo bene che il nostro modello di istruzione ha spostato ai 14 anni la scelta del percorso scolastico superiore non solo per una opzione democratica e costituzionale ma anche perché una società a capitalismo avanzato ha bisogno che tutti, anche chi opterà per percorsi tecnici, abbia una formazione di base omogenea e di buon livello. Così si torna indietro di 70 anni e invece di riformare i cicli, fare una scuola dell’obbligo (fino a 16 anni) uguale per tutte e tutti si torna alla scuola che produce classi sociali a partire dal patrimonio culturale.
Quando parla di riforma dei cicli a cosa si riferisce?
Mi riferisco alla mancata attuazione della riforma Berlinguer. La riforma, come sappiamo, prevedeva la scuola dell’infanzia non obbligatoria, ma resa accessibile a tutti, un un ciclo primario o chiamato scuola base, della durata di sette anni e un ciclo secondario di durata quinquennale. Alla fine qui in Italia si è deciso di portare l’obbligo scolastico fino a 16 anni ma si è lasciato tutto come era prima.