L’appello Calenzano: “Sono una maestra, compagna di un operaio e madre di un futuro operaio. Fate più controlli, non si può morire di lavoro”. INTERVISTA a Romilda Marzari

“Meglio far vivere la mia famiglia con il mio solo stipendio che avere dei figli orfani di padre”. La maestra Romilda è ancora scossa dalla visione delle prime immagini della tragedia di Calenzano, in provincia di Firenze. Vincenzo Martinelli, Carmelo Corso, Gerardo Pepe, Franco Cirielli e Davide Baronti sono i cinque lavoratori che hanno perso la vita a seguito dell’esplosione avvenuta nel deposito Eni. Lo scoppio ha dilaniato i loro corpi, i danni si sono estesi ad altre strutture a alle aziende che sorgono nella zona.
“Proprio in quella fabbrica”, che sorge come tante altre, e come tante altre abitazioni, a ridosso dello stabilimento Eni saltato in aria assieme ai corpi straziati di alcuni lavoratori, “il mio compagno aveva da poco fatto un colloquio di lavoro per un’assunzione che però non c’è stata”. E’ ancora disoccupato, prenderà la Naspi fino a questo mese di dicembre, ma oggi guardando quelle immagini con la porta d’ingresso dell’azienda di logistica saltata in aria, mi dico che non è stato scartato, è stato miracolato”. E ancora: “Sono una maestra. Sono compagna di un operaio e madre di un futuro operaio. Vorrei che ci fossero maggiori controlli poiché non si può morire di lavoro e non mi do pace al pensiero di quei bambini rimasti senza padre e di quelle donne che hanno perso per sempre il compagno”.
Gli incidenti sul lavoro sono in crescita, come abbiamo scritto nei giorni scorsi nel corso di una nostra intervista, nonostante i corsi di formazione sulla sicurezza svolti negli anni nei luoghi di lavoro e quelli condotti a scuola per gli studenti chiamati a svolgere il percorso di PCTO, studenti che ultimato il percorso di studi secondari o universitari diventeranno a loro volta un giorno dei lavoratori che, in quanto tali, dovrebbero far tesoro di quanto appreso a scuola oltre che nei percorsi di alternanza tra scuola e lavoro. E tuttavia non passa giorno in cui le cronache non diano notizia di uno o più eventi tragici che sconvolgono la vita di una famiglia, che all’improvviso perde il proprio congiunto in occasione di un’attività produttiva. Si attende il papà o la mamma, o un parente a pranzo o a cena, dopo una giornata di lavoro, e invece, più e più volte, invece del familiare atteso arriva a casa al suo posto un agente delle forze dell’ordine o una telefonata, per riportare una notizia che non si vorrebbe sentire e che invece che gela il sangue. Niente sarà più come prima per quella famiglia, anche se la percezione collettiva del fenomeno svanisce ogni volta in un senso di ineluttabilità e nei numeri freddi di una statistica che pare immodificabile.
E dunque partiamo da questi numeri. I morti sul lavoro registrati dall’INAIL da gennaio a luglio 2024 all’Inail erano stati 577, 18 in più rispetto ai 559 registrati nello stesso 2023. Ma già a dicembre, cioè ad oggi, siamo arrivati a 900 circa. E’ una statistica inaccettabile. Ma solo i morti fanno notizia, tuttavia gli incidenti producono, ferite anche gravi, invalidità, ulteriore sofferenza tra le migliaia di lavoratori coinvolti ogni anno. Gli infortuni non mortali registrati dall’INAIL nel 2024 e fino al 31 luglio sono stati 350.823, in aumento rispetto ai 344.897 infortuni dello stesso periodo dell’anno 2023. Agli infortuni si aggiungono le malattie professionali e tra esse sono in crescita, anche a scuola, le malattie professionali causate da stress, da mobbing, da molestie, aggressioni fisiche e verbali spesso imputabili ad alunni e alle loro famiglie.
La scuola, come ogni altro luogo di lavoro, è direttamente investita dalla problematica degli infortuni sul lavoro – da cui scaturiscono i dubbi e i quesiti relativi all’assicurazione per i quali rimandiamo a precedenti articoli e approfondimenti – e per il fatto che gli studenti sono considerati dei lavoratori sia perché frequentano dei laboratori all’interno dei plessi sia nel momento in cui varcano i cancelli delle aziende o le porte degli uffici per svolgere la loro attività di alternanza scuola e lavoro, il PCTO.
Romilda Marzari ha 48 anni, insegna come docente di ruolo, dopo dieci anni di precariato, alla scuola primaria “Marco Polo” di Prato, città dove abita a un quarto d’ora di auto dai luoghi della tragedia. Ha due figli, uno di 10 e uno di 16. Il compagno lavora come magazziniere precario per alcune agenzie interinali della zona e qualche volta è stato chiamato a lavorare nelle aziende che sorgono a ridosso della fabbrica teatro dell’incidente”.
Maestra Romilda Marzari, il suo compagno aveva svolto un colloquio di lavoro proprio in una di quelle aziende.
“Ha svolto un colloquio con una delle imprese che sono ubicate vicino all’Eni. Negli anni ‘50 a oggi nelle vicinanze sono sorte non solo abitazioni ma anche altre fabbriche e aziende di logistica. Lui doveva andare in un’azienda adibita allo smistamento merci. Solo che ha 52 anni…”
…ed è stato scartato
“Sì, ma la prima cosa che ho pensato subito dopo la notizia e le immagini di Calenzano è che non è stato scartato ma miracolato. Io sono contenta di avere uno stipendio solo, il mio e la Naspi di lui, che però finisce proprio questo mese, piuttosto che ritrovarmi con due figli orfani. E sto pensando ai figli di quei poveri lavoratori. Quando abbiamo visto le immagini lui mi ha detto: quella è l’azienda dove ho fatto il colloquio. Era appena saltata in aria la porta d’ingresso”
Quant’è difficile vivere con un solo stipendio da maestra?
“Io con il mio stipendio mi trovo bene. Guadagno 1700 euro al mese, 700 se ne vanno in affitto, poi ci sono le utenze, la spesa, i costi per la palestra dei figli, gli imprevisti quali il dentista o la risonanza magnetica per qualche infortunio e che devi fare nel privato visti i lunghi tempi di attesa dell’Asl pubblica. Capita in certi periodi che si accumulino tante bollette e spesso la tredicesima se ne va via per le bollette, così come in estate il rimborso del 730. Diciamo che con il mio stipendio compriamo e paghiamo le cose serie, mentre le entrate del mio compagno vengono usate per qualche vestito in più in più e per le cose più frivole, quando è possibile. Comunque, per lui si trova sempre qualcosa come lavoro saltuario”.
Insomma, non si lamenta dello stipendio.
“Si vive dignitosamente. Chi pensa che i propri figli debbano indossare vestiti firmati magari si lamenta ma per fortuna i miei figli sono molto francescani e non amano vestire griffato”.
Certo, questo è un vantaggio. Alla base ci sarà stata una sana educazione
“Certo, questo dipende dall’educazione. Siamo una famiglia normale, io provengo da Piedimonte Matese, in Campania, ci siamo sempre basati sulla filosofia francescana ma siamo una famiglia come tutte le altre. Riusciamo a seguire i nostri figli e questo è importante. Anche il nostro sacerdote dice sempre che siamo noi mamme che diamo l’imprinting per l’educazione dei figli e io spero di avere contributo a farli venire su così. Per ora si accontentano di poco. Il vero divertimento per il grande, ad esempio, è che per Natale ci ha chiesto come regalo di pagargli il viaggio e soggiorno a Roma per il Giubileo degli adolescenti. Non mi ha chiesto null’altro che i soldi per andarci. Ormai all’oratorio, dove lui è animatore, siamo di casa. Tutti sanno bene quando il mio compagno è disoccupato e mi vengono incontro. Sono fortunata che i miei figli si accontentino di cose semplici”
Torniamo alla tragedia e a quelle prime immagini
“Le prime reazioni sono state un grande dispiacere e tanta rabbia. Non è giusto che delle persone oneste debbano morire sul posto di lavoro. La vita è sacra sempre ma è ingiusto morire quando tu stai andando a lavorare per la tua famiglia. Poi ho pensato alle mogli, ai figli, ai congiunti degli operai morti. Per un ragazzo restare senza padre è la cosa più brutta: ci rimaniamo male noi adulti, immaginiamo i più piccoli. E’ un’ingiustizia. Ci devono essere più controlli specie su impianti a rischio incendio. Ho pensato a mio figlio. Il grande frequenta l’istituto professionale “Marconi”, qui a Prato, dunque a fine anno scolastico svolgerà il PCTO e inizierà a inserirsi nel mondo del lavoro e dopo il diploma farà il meccanico. Ho pensato anche a lui come mamma. Già è morto un ragazzo di origini marocchine che aveva iniziato a lavorare in fabbrica. E’ morto a seguito di un infortunio sul lavoro. Io dico, in generale e senza riferimenti alla tragedia attuale poiché non si sa ancora nulla delle sue cause, che non basta controllare se si usano i dpi, i dispositivi individuali di protezione, ma occorre verificare costantemente se gli impianti siano a norma per evitare tante tragedie. Anche ieri ho detto un rosario per le famiglie delle vittime: al di là del fatto che le famiglie siano o no credenti io me la sono sentita. Del resto noi comuni mortali possiamo o pregare o provare qualche sentimento, rabbia o tristezza, ma i politici e i sindacati devono battersi per intensificare la sicurezza sul lavoro perché se avvengono così tante morti bianche vuol dire che la sicurezza non funziona”.
In un’epoca in cui quasi si crede che gli operai non esistano più, lei è compagna serena di un operaio precario ed è madre felice di un futuro operaio. Un po’ controcorrente…
“Io sono contenta del fatto che mio figlio frequenti una scuola che gli piace. Una persona dev’essere felice e lui e lo è. Sono orgogliosa che lui sia anche animatore all’oratorio S. Anna di Prato e che entrambi i fratelli siano degli scout. So che vado controcorrente poiché tante mamme sono felici se i loro figli fanno i calciatori o se eccellono in qualsiasi altro sport. Io invece li vedo felici in quello che fanno e sono orgogliosa di loro e di come stanno impostando la loro vita, senza seguire le mode, senza prevaricare gli altri”.
Lei ne vede tanti di bambini. A quell’età secondo lei si può non prevaricare gli altri senza essere mai prevaricati?
“Se succede, pace”.
E’ vero che sta scrivendo un libro?
“Sì, è vero. Sono alle prese con un fantasy. Tra il lavoro, gli impegni di famiglia, i corsi di aggiornamento per la scuola resta poco tempo, ma la stesura procede, conto di concludere a breve”.
Di cosa parla?
“Come tutti i fantasy, c’è un essere umano metà angelo che salverà il mondo. Il tema centrale è la speranza. Vorrei far capire che nei periodi bui c’è sempre quella luce che non deve mai mancare”.
Ce ne sono stati?
“Come per tutti gli esseri umani”
Lei a scuola insegna L2 potenziato con un progetto specifico sulle classi quinte, in sostanza si tratta dell’alfabetizzazione degli alunni neo arrivati. E’ contenta di questa scelta?
“Contentissima, mi sento davvero utile. Non so spiegarlo. Non sono una santa, sono una peccatrice, ma sento che sto guadagnando uno stipendio per qualcosa che mi realizza come persona che dà molto a persone che hanno bisogno di molto. Anche gli altri insegnanti di altre discipline lo fanno e io stessa ho insegnato matematica, scienze, inglese, ma qui mi sento più realizzata, mi sento di più nel mio spazio”.
L’insegnamento a scuola è il lavoro che avrebbe desiderato svolgere?
“Sì, il nostro lavoro è un mezzo molto potente di riscatto sociale, specie per i bambini che arrivano in Italia senza conoscere la lingua. Nemmeno i loro genitori la conoscono ma questi bambini hanno il diritto di imparare la lingua della nazione che li accoglie per essere cittadini attivi e per riuscire a prendere un diploma che consenta loro di essere un giorno indipendenti e non rischiare di finire nelle mani della malavita. Tutti gli esempi come quello di don Pino Puglisi, nato in quel caso per alfabetizzare gli italiani che non avevano cultura, contribuiscono a salvare un essere umano. Con la conoscenza hai quella chiave che ti aprirà il mondo di un lavoro onesto. Spero che tra i miei piccoli studenti possa uscire un giorno un medico, un avvocato, un giudice o più semplicemente un operaio felice, che faccia valere i propri diritti in materia di salari e soprattutto in materia di sicurezza”