“L’ansia brucia energie ed immobilizza. Uno studente che non si sente capito fa fatica nello studio. Usiamo la warm cognition”. INTERVISTA a Daniela Lucangeli

Intervista con Daniela Lucangeli, Ordinario in Psicologia dell’educazione e dello sviluppo presso l’Università di Padova, Presidente della sezione sviluppo dell’Accademia Mondiale delle scienze Learning Disabilities (IARLD), Presidente dell’Associazione per il coordinamento nazionale degli insegnanti specializzati e la ricerca sulle situazioni di handicap (CNIS), nonché socio di numerose associazioni scientifiche internazionali e nazionali nell’ambito delle scienze dello sviluppo.
Professoressa Lucangeli, la complessità non ci piace e tendenzialmente cerchiamo di semplificare qualsiasi cosa spacchettandola in diversi campi, ad esempio a scuola la realtà in materie. La stessa cosa l’abbiamo fatta con il nostro cervello del quale abbiamo cercato di comprendere le funzioni delle varie aree, a cominciare dai due emisferi, dimenticando che il suo funzionamento avviene in sincronia e diacronia, per di più immerso all’interno di un corpo che lo condiziona. Come cambia la visione che abbiamo del cervello, anche dal punto di vista educativo e quindi dell’apprendimento, alla luce di tutto ciò?
È una domanda che è già una risposta, cambia completamente il paradigma di quello che consideriamo il processo vivente, nel senso che questo paradigma ha bisogno del crollo del dualismo Corpo/Mente, nel senso che non è che io sono il mio corpo e la mente è un epifenomeno, cioè la schiuma di questa mia esistenza, una cosa da poco che nel momento in cui io mi senta triste, felice, esaurita o depressa è una cosa da poco, non è un problema.
Questa unità corpo mente è un qualcosa che tutte le scienze hanno messo fortemente in evidenza, basta pensare che tutto ciò che in qualche modo indebolisce il sistema psichico indebolisce la salute intera, ma, oltre questo, c’è la comprensione, che le neuroscienze hanno consentito, che le facoltà recenti del cervello umano, e per recente intendo in milioni di anni evolutivi, ovvero le cortecce associative, la cognizione, cosa capisco esplicitamente cosa accade di me, non sono in grado di controllare le componenti antiche che sono quelle sensienti. Non basta che dica di non avere paura perché il mio cuore non batta forte e la mia angoscia non arrivi, oppure non basta dire a chi amo di smettere di avere preoccupazioni inutili, questo perché il sistema cognitivo, la volontà che comanda, non comanda sul sistema che sente, questo è il grande riassunto.
Per chi è madre, padre o educatore quello che abbiamo appena detto cambia tutto, perché implica che tutto ciò che compare alla mente è un segnale che dà indicazioni, per cui se io sento che sono in ansia continua, vuol dire che il mio cervello continua ad utilizzare male l’energia che ha a disposizione, perché l’ansia è un sistema di allerte ripetute che consuma energie e chiede a tutto il resto, corpo compreso, di supportarlo in questa emissione di allerta, ma se sono sempre in allerta è come se camminassi in un percorso minato dai continui no o guai che possono verificarsi e che mi portano a fermarmi, ad immobilizzarmi.
Quindi, senza parlare in maniera superficiale, dietro alla tua domanda c’è una risposta molto semplice, nel senso di semplicità che non annulla la complessità ma la riconosce, che ci dice che siamo un sistema complesso, Corpo/Mente, e un flusso informazionale sincrono di tante componenti. Mentre il mio cuore batte, i miei polmoni respirano e tutto il mio sistema mi consente di viere e il mio sistema cervello sta cercando le sue memorie da portarti, io mi sento, in un certo senso, incoraggiata perché non sono inutile. Tutto questo sono diversi livelli che contemporaneamente, sincronicamente, emergono, non c’è contraddizione, ma c’è un flusso. Riassumendo, un bimbo che a scuola si sente non capito e giudicato è un bimbo che fa fatica ad entrare nei meccanismi con cui rendere ciò che tu gli dai la cosa migliore per sé stesso.
Di emozioni si parla molto, sappiamo che esistono quelle primarie, innate, comuni a tutta la nostra specie, e quelle secondarie che si strutturano a seconda del contesto in cui cresciamo. Ma come si attivano le emozioni, quali sono gli interruttori emozionali?
Facciamo prima una premessa, emovere vuol dire muovere da dentro, se noi torniamo alle ricerche più recenti su ciò che significa intelligere, non intelligenza ma proprio intelligere, dobbiamo parlare di un flusso a tre direzioni, come da tempo ripeto, ovvero da fuori l’informazione arriva a me e c’è una direzione da fuori a dentro che potremmo considerare, ad esempio, l’istruzione o la connessione di comunicazione, ma questa tua informazione ha bisogno di un’elaborazione mia, che si chiama da dentro a dentro, e poi io ti rispondo portando da dentro a fuori qualcosa che ti arricchisce di come io l’ho capita, vissuta ed elaborata.
Ma cosa vuol dire vissuta, capita ed elaborata? Vuol dire che da dentro a dentro ha portato ad emergere, ecco l’emovere, i segnali che i neuroscienziati chiamano i segnali neuroelettrici, ma noi li identifichiamo in emozioni, pensieri ed azioni. Ne deriva che l’emozione è questa elaborazione profonda da dentro a dentro che non è però un’elaborazione cognitiva, cosa accade, perché, quando e dove accade, ma cosa sento io. Quindi quando sento paura vuol dire che mi sento a rischio, quando sento gioia vuol dire che mi porta a cercare ancora perché mi fa bene, quando sento tristezza questa emozione mi avverte che ho bisogno di chiamare a me la gioia, che è il suo antagonista, perché percepisci che non va bene come ti senti ed hai bisogno di qualcosa che ti porti a desiderare e non a spegnere, e così via.
È il dialogo antico che il cervello dà alle sue funzioni che comprendono. Se noi però queste emozioni non le ascoltiamo e questi segnali li blocchiamo, si chiama inibizione, succede che essendo energia, questa energia va in corto circuito e addirittura, in questo processo che dicevo prima di Corpo/Mente, questo corto circuito è rilevabile non soltanto perché non sto bene psichicamente, ma perché magari mi cominciano tutta una serie di segnali che il corpo mi dà, dal cortisolo che mi indica tutto un sistema di infiammazioni, a tutto quello che è il sistema di reazione metabolica, alla salute intera.
Le emozioni sono informazioni, se le cortecce le tacitano il corpo le deve per forza manifestare, perché altrimenti bruciano, in senso metaforico, le terminazioni, le spine irritative esplodono. Riassumendo, Corpo e Mente sono una meraviglia, ma non è la mente che dice al corpo di guarire, quella parte lì è minuscola, recente ed è la volontà, ma la volontà può poco sulle grammatiche del sentimento.
Quindi si parla di emozioni, ma un conto sono le parole e un conto sono i logos, cioè i significati profondi, non possiamo pensare di educare le emozioni con schede a scelta multipla, non si educano così, quello è un trucco, non è una modifica della struttura, le emozioni si modificano solo con le emozioni. L’ansia si modifica con la quiete, la paura con il coraggio, la tristezza con la gioia, la solitudine si modifica con il Noi, con la solidarietà. Sono forze che, come tutte le strutture che hanno una forza, hanno un minimo e un massimo, quindi al massimo di paura va bilanciato il massimo di incoraggiamento. Lì, come il gioco a dondolo dei bambini, si va in omeostasi, se ho tanta paura ho bisogno che tu, madre, padre o maestro, mi incoraggi, non ho bisogno che mi giudichi, perché già ho un problema di allerta e se tu a quell’allerta aggiungi allerta, gli scienziati questo lo chiamano fire to fire, aumentare il fuoco con il fuoco, non ottieni niente.
Allo stesso modo se ad un genitore gli viene detto che tutto quello che lui fa non corrisponde a quello che dovrebbe fare, si innesca quel meccanismo del fire to fire, è giudizio. Sarebbe come se tu nel darmi indicazioni per raggiugere un luogo mi dicessi che non devo utilizzare l’autostrada, non devo andare al semaforo, non devo andare in quel determinato paese e di stare attenta a tante altre cose e così via, ecco che arriverei stressata e non avrei imparato la strada. Invece se le tue indicazioni sono semplicemente quelle di prendere il treno e scendere ad una determinata stazione, ecco che non ho tutte quelle allerte, lo stesso accade quando educhiamo i nostri “cuccioli” e noi stessi, meno giudizio e più spazio di miglioramento. Il giudizio è un vero e proprio nemico dei processi evolutivi.
In base a quello che ci ha appena detto, come possiamo strutturare un’educazione basata sulla warm cognition?
Warm cognition, cognizione calda, è un termine utilizzato dalla ricerca scientifica negli ultimi 10/15 anni per dire che non c’è nessun atto della vita psichica, nessun pensiero, nessun comportamento che sia scindibile, in termini tecnici si dice connettoma, dal sentire che cosa questa informazione fa a me. Quindi mentre tu mi parli io non comprendo solo ciò che mi dici, sento la tua disponibilità, la tua delicatezza, la tua gentilezza, la tua profondità, il mio cervello lo sente, ti riconosce, così come i miei occhi ti vedono. Pertanto il sistema è un sistema che contemporaneamente mentre comprende sente.
Questa è la warm cognition e sta alla base di tutti i ragionamenti che abbiamo fatto, per cui se mentre tu mi parli e mi dici che il compito è stato risolto bene, lo fai con uno sguardo che, occhi negli occhi, in attenzione condivisa, mi manifesta che sei totalmente disinteressato a me, ma centrato soltanto al fatto che la prestazione è riuscita, quel tipo di passaggio di informazioni mi resta in memoria diversamente da se il tuo sguardo mi dice di essere orgogliosa nell’essere riuscita a spiegarti bene.
Quindi la raccomandazione è di smetterla di ritenere che le componenti sensienti siano debole aspetto dell’intelligenza condivisa, sono in realtà la forza di mantenimento non soltanto dell’informazione, ma anche della strada da percorrere. Quindi se mi sento che sei il mio alleato, sei il mio maestro, sei colui che ha me come fine, tutte le mie emozioni sono desiderose di riuscire, se invece il mio cervello sente che tu apparentemente ti comporti con adeguati modi di dire, fare e agire, ma quello che sento è che non mi stimi, non sono un gran che per te, sono uno dei tanti, ecco che io perdo la forza vettore che mi consente di vincere la fatica.
Un’ultima domanda. Non siamo fatti per stare da soli, ma come si costruisce una sana e serena convivenza all’interno di un gruppo, soprattutto oggi che la socialità è sempre più ridotta?
Questa è una delle questioni fondamentali dell’occidente del mondo che negli ultimi due secoli è andato verso un individualismo che ha garantito il processo di liberazione e di libertà individuale. Noi siamo tutti organismi viventi che possiamo stare da soli nel nostro benessere, ma, ad esempio, se veniamo immersi nell’acqua ghiacciata ci raffredderemo. Questo per dire che posso essere anche da sola nel mio equilibrio, ma se vengo immersa in un contesto umano estremamente agitato, questa agitazione non mi lascia immune, anzi.
Così come nella pandemia abbiamo parlato tanto del fatto che il tuo respiro contagia la mia salute, tutti gli studi sul cervello ci dimostrano quello che abbiamo appena detto, ovvero che noi apparteniamo ad una specie che ha un cervello condiviso, perciò quello che vi sto dicendo adesso è qualcosa di me che arriva a voi e modifica le vostre strutture, voi potete sceglierle di prenderle o non prenderle, ma parzialmente, perché comunque quell’informazione è qualcosa che dovete decidere di espellere, altrimenti lascia una traccia che ti dice di nutrirti. Riassumendo, la scuola è il luogo più importante in cui avviene questo scambio, questa immersione delle intelligenze le une nelle altre, in cui magister ed allievi si scambiano strutture connettomiche, tant’è vero che nel momento in cui parliamo di cervello distribuito poi lì ci si mettono anche le altre scienze, come ad esempio i fisici che ci parlano dell’entanglement tra le particelle, quindi perfino le particelle sono in connessione continua, non soltanto le nostre cellule.
Pertanto siamo in connessione non soltanto con il meccanismo in cui le mie mani obbediscono al mio pensiero, gesticolano, contemporaneamente portandoti le mie parole, e i miei occhi emettono il segnale di connessione, la mia voce ti fa sentire le mie emozioni, le mie spalle vengono a te per dirti che sono con te in questo momento, non soltanto questo, ma anche le strutture atomiche, le particelle, sono capaci di partecipare ad un sistema di reciprocità. Riassumendo, lo spacchettamento, l’isolamento, da un lato consente la percezione dell’autodeterminazione, ma cosa autodetermini in solitudine?
L’autodeterminazione è in connessione e quindi adesso tutte le scienze stanno tornando a dire che la migliore potenzialità di ogni singolo individuo e di ogni singolarità è quella di essere immersi nella reciprocità, quello che a parole mie chiamo il Noi. Per cui non esiste niente di peggiore di alcune affermazioni che abbiamo in testa, come ad esempio mal comune mezzo gaudio, è la cosa peggiore che abbia mai sentito, perché invece è il bene comune che fa bene a me, quindi tutto ciò che consente a chi è connesso con me di essere in uno stato di benessere aumenta il mio. Tutte le scienze ed in particolare le ricerche sui neuroni specchio hannp aperto una porta su questo fenomeno mirror, quindi la stessa immagine che ho di me dipende da come tu mi rimandi cosa pensi, soprattutto in età evolutiva.
Riassumendo, non possiamo rendere tutto ciò banale, è un processo che ha milioni di anni di perfezionamento e che ci indica che ciascuno di noi non solo non è immune dall’altro, ma non è immune dall’averne bisogno e non è immune dall’esserne ferito o da esserne aiutato, possiamo scegliere qual è la direzione che vogliamo dare, io scelgo quella dell’aiuto, quella della solidarietà, della condivisione, quella della confluenza, della connessione, nel rispetto e non nell’annullamento dell’identità.