L’adolescenza non è una influenza, “non basta aspettare che passi”. “Non diamo tutta la colpa ai genitori. I nonni? Non sempre adatti ad educare i ragazzi”. INTERVISTA a Stefano Vicari

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Adolescenza, età critica da superare o malessere da affrontare? Ne abbiamo parlato con il Professor Stefano Vicari, Professore Ordinario di Neuropsichiatria Infantile presso la facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e Responsabile dell’Unità Operativa Complessa di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma.

Professor Vicari, da sempre ci ripetiamo che l’adolescenza è un’età critica, ma la vediamo solo come una fase di passaggio per cui basta aspettare che passi. Lei invece, nel suo ultimo libro “Adolescenti interrotti”, ci invita a cambiare questo approccio e a non sottovalutare il malessere dei nostri adolescenti. Ci aiuta a comprendere meglio questo passaggio?

Intanto vorrei assicurare tutti che l’adolescenza non è sinonimo di malattia, o come dire che la vecchiaia non vuol dire necessariamente malattia, però sono due fasi della nostra vita, l’adolescenza e l’età avanzata, in cui si è più esposti ad alcune malattie. In particolare nell’adolescenza siamo più esposti a disturbi mentali, questo è vero da sempre ed è legato al fatto che il cervello durante l’adolescenza subisce una spinta a crescere, a maturare, che è davvero eccezionale. Nell’ultimo periodo, che ormai dura da un bel po’ di tempo, circa 10-15 anni, stiamo notando un aumento dei casi di disturbo mentale tra i più giovani, questo perché sono aumentati notevolmente alcuni fattori ambientali che facilitano la comparsa delle malattie mentali. Tutte le malattie complesse, come l’infarto, il cancro e le malattie mentali, sono il risultato di molti fattori che interagiscono tra loro, da una parte c’è la parte biologica, la genetica, e poi ci sono i fattori ambientali.

La genetica è quella, c’è sempre stata, allora se sono aumentati i disturbi mentali dobbiamo pensare che è cambiato qualcosa nel nostro sistema di vita, e questo è il punto. Negli ultimi 10-20 anni sono cambiate profondamente alcune condizioni di vita dei ragazzi, in particolare sono diminuiti alcuni fattori di protezione, mi verrebbe da dire la famiglia, che vive una profonda crisi organizzativa, ma anche la scuola, che svolgeva in passato una importantissima funzione nel favorire la crescita emotiva dei ragazzi. Contemporaneamente sono aumentati i fattori di rischio, primi fra tutti le dipendenze, cioè i bambini oggi fanno molto più uso che in passato di sostanze psicotrope, in particolare cannabinoli, che anche se sono stati sempre usati, oggi abbiamo tra i ragazzi un inizio sempre più precoce e con dosi sempre più massicce.

E poi il grande nuovo fenomeno che è la dipendenza da Internet, fenomeno assolutamente nuovo che proprio a cominciare dal 2010 si è andato affermando moltissimo nelle abitudini dei nostri ragazzi. Infatti nel 2010 iPhone mette in commercio il primo telefonino con la telecamera, che permette di fare i selfie, e nel 2013 abbiamo il crollo dei prezzi dei telefonini che permette la diffusione di massa diventando, nella maggior parte dei casi, il regalo della prima comunione, fino ad arrivare ad oggi, ed è un processo che non sembra arrestabile, per cui i bambini trascorrono tra le 4 e le 6 ore al giorno col telefonino mentre per gli adolescenti il tempo si allunga a circa 9-12 ore al giorno. Questo è un problema perché espone i bambini e i ragazzi a contenuti particolari che i genitori fanno fatica a controllare, ad esempio un aspetto che si cita sempre è che l’educazione sessuale ormai i ragazzi la fanno sui siti a contenuto pornografico già in quinta elementare/prima media.

Poi c’è tutto il fenomeno cyberbullismo, perché la rete consente l’attacco e l’aggressività tra gli adolescenti in modo costante, ad esempio quando eravamo giovani noi potevi litigare a scuola ma la cosa finiva lì e il giorno dopo ripartivi, mentre oggi la fotografia in cui si viene ridicolizzati è disponibile sempre e costantemente, per molte ore e giorni a seguire, ed è esposta al giudizio di tutti. Inoltre queste ore che i ragazzi trascorrono col telefonino sono ore tolte ad altro, in particolare all’attività fisica, non corrono sui prati, non si arrampicano sugli alberi, non disegnano, non leggono libri, non stanno insieme, cominciano a rinunciare alle relazioni in presenza, a toccarsi, a sentirsi, a fiutarsi e tutto questo ha un impatto sulla salute mentale enorme che credo stiamo sottovalutando. Ora non vorrei creare allarmismo, c’è da dire che la percentuale dei ragazzi che presentano un disturbo mentale è alta, non c’è dubbio, arriva al 20% degli adolescenti, ma questo vuol dire che l’80% dei ragazzi sta bene. Concludo con lo stesso messaggio con cui ho iniziato, ovvero che la gran parte degli adolescenti per fortuna sta bene, però c’è una quota non trascurabile, ripeto il 20%, che presenta invece una forma di disagio, di sofferenza profonda, e che noi dobbiamo in qualche modo intercettare e aiutare.

Molti esperti puntano il dito contro i genitori, incapaci di assolvere alla loro funzione educativa. Vogliamo essere gli amici e gli avvocati dei nostri figli, difendendoli anche quando sbagliano. Quali ripercussioni ha questo atteggiamento sulla crescita e maturazioni dei ragazzi?

Io non mi schiererei con chi dà la croce ai genitori, anche lo scopo di questo libro che lei è stato così cortese di ricordare, “Adolescenti interrotti”, non è un manifesto di accusa ai genitori, è anzi piuttosto una guida per aiutarli a essere più vicini ai loro figli, perché nella grandissima maggioranza dei casi, salve rare eccezioni, i genitori vogliono i propri figli felici, fanno di tutto perché lo siano, il problema è che a volte non hanno gli strumenti. Molti genitori mi dicono che queste cose non le conoscono, che le stanno imparando ora, per cui oggi forse manca un sostegno alla genitorialità, espressione complessa che vuole dire semplicemente dei servizi che possano accompagnare i genitori nella loro funzione educativa.

Le faccio un esempio, l’Italia, insieme alla Grecia, occupa l’ultimo posto all’interno della comunità europea in termini di asili nido, la presenza di asili nido potrebbe invece voler dire che ad esempio le educatrici dell’asilo nido diventano degli alleati preziosissimi dei genitori per favorire la crescita equilibrata e sana dei figli. Ma c’è un altro problema, i genitori spesso non hanno il tempo per occuparsi dei figli, questo è un aspetto che dovremmo analizzare prima di dare la colpa ai genitori, cioè papà e mamma spesso sono costretti per necessità a lavorare tutto il giorno, dalle 8 alle 20, e questi figli spesso, vista anche l’assenza appunto di servizi di aiuto alla genitorialità, si ritrovano da soli, o magari con i nonni e, parlo da nonno in questo caso, non sempre siamo le persone più adatte a educare i ragazzi.

Spesso ci lamentiamo della bassa natalità in questo paese, ma se non forniamo servizi di aiuto alla genitorialità sarà difficile cambiare le cose, perché tutto si basa sulla buona volontà che i ragazzi hanno di fare figli. Le dicevo che sono nonno di tre nipoti e le mie figlie quando hanno partorito hanno dovuto rinunciare al lavoro per un lungo periodo, questo capisce che diventa una scelta a volte drammatica, quindi non credo che la colpa sia dei genitori, non credo che noi dovremmo fare discorsi divisivi, credo piuttosto che noi dovremmo mettere in campo una grande alleanza fra scuola e genitori, cioè le agenzie educative di questo paese, mettendo al centro gli interessi dei ragazzi.

Questo non è un paese per giovani, forse dovremmo invece riassumerci tutti le nostre responsabilità, anche chi ha responsabilità di governo, perché fare una politica a favore dei ragazzi vuole dire fare delle scuole belle, piacevoli, dove è bello stare. Io sogno un mondo, mi perdoni se divago, in cui i bambini e gli adolescenti vadano a scuola alle 8 del mattino, facciano le loro lezioni curriculari, il programma che tanto angoscia gli insegnanti, come storia, geografia e matematica, e poi, sempre a scuola, possano fare uno sport, come nuoto, tennis o calcio, imparare a suonare un strumento musicale, studiare una o più lingue straniere, insomma, una a scuola attiva dalle 8 alle 17, in modo che i bambini e i ragazzi che tornano a casa trovano i loro genitori, che nel frattempo hanno finito di lavorare, e stanno insieme e a quel punto non c’è più bisogno di andare in palestra, in piscina o a lezione di pianoforte, perché è stato fatto tutto nelle ore in cui si è stati fuori casa, per cui si sta a casa, si condivide lo spazio e si coltivano le relazioni tra i membri della famiglia. Inoltre immagino una scuola che d’estate non chiuda per 3 mesi, ma rimanga uno spazio formativo ed educativo per i ragazzi.

Tutto questo però vuol dire valorizzare di più il ruolo degli insegnanti, pagarli correttamente, valorizzarli anche socialmente, perché oggi la figura dell’insegnante socialmente è vissuta in modo molto spregiativo. Le potrà sembrare un’idea folle questa, un sogno irrealizzabile, però è quello che succede in molti paesi anche a capitalismo avanzato come i paesi anglosassoni. Per motivi di lavoro ho trascorso del tempo negli Stati Uniti e le devo dire che alle 17 nel mio laboratorio tutto finiva e tutti andavano a casa, i ragazzi finivano la loro scuola organizzata come le dicevo e tornavano a casa, quindi in realtà questo è un mondo possibile, diciamo però che l’agenda politica su questo faccia delle scelte e investa a favore della nuova generazione.

Mi permetta di legare due concetti che lei ha appena espresso, quello del sostegno alla genitorialità e del digitale, perché spesso viene molto sottovalutato dai genitori, ma ha una grossa ripercussione anche sul sistema dopaminergico, che è quello legato al fenomeno delle dipendenze, tanto è vero che molto spesso i cellulari vengono consegnati ai figli già in tenere età, non rispettando neanche l’età consigliata dagli stessi gestori dei social. Quanto è importante aiutare i genitori e responsabilizzarli soprattutto sull’uso corretto del digitale?

È fondamentale, ho letto che ci sono anche delle proposte di vietare completamente l’uso degli smartphone ai minori, magari prima dei 14 anni, anche se non credo che questa sia una soluzione percorribile, perché sarebbe molto difficile far rispettare un divieto di questo tipo. È un po’ come dire poniamo il divieto di fumare prima dei 16 anni, ma sappiamo tutti che ormai nelle scuole medie tutti fumano e non soltanto tabacco.

Ritengo che invece l’azione educativa sia l’azione da privilegiare e quindi i genitori devono controllare quella che è l’attività dei loro figli col telefonino, eviterei comunque di darlo troppo presto, questo sì, io credo che un’età corretta per consegnare uno smartphone ai figli siano i 12 anni, ma poi bisogna che anche gli adulti diano un esempio, cioè se noi chiediamo ai nostri figli di non stare sempre col telefonino in mano, ma poi noi siamo i primi che continuiamo a chattare anche in momenti magari conviviali in cui si condivide un tempo, uno spazio con gli altri, è ovvio che poi tutta la gestione diventa molto difficile.

Una buona regola sarebbe che tutti i telefonini di casa, quindi compresi anche quelli di mamma e papà e dei figli, alle 7-8 di sera vengano messi in un cassetto chiuso a chiave e che si riprendono il giorno dopo, perché c’è un altro fenomeno a cui stiamo assistendo, ovvero che molti ragazzi, per continuare a essere sempre connessi, sacrificano ore di sonno, cioè non dormono la notte per poter controllare costantemente tutte le notifiche che ricevono. Perdere sonno è uno dei fattori di rischio più importanti per i disturbi mentali e quindi si aggiunge a quelli di cui abbiamo appena parlato.

Passiamo sul lauto della scuola, perché è un’altra istituzione educativa in crisi. A scuola spesso è difficile gestire questi ragazzi, i docenti devono gestire classi sempre più eterogenee con dinamiche in continua evoluzione dove abbiamo un boom di disturbi specifici dell’apprendimento e quant’altro. Quali suggerimenti si sente di dare per creare un clima collaborativo tra pari e mitigare i possibili conflitti?

Il problema non è del singolo insegnante, però qui c’è bisogno anche di un intervento di sistema, cioè che ci sia un’attenzione alla scuola intesa come agenzia educativa e quindi andrebbe valorizzato maggiormente il lavoro degli insegnanti. Per rispondere invece alla sua domanda, le scuole dovrebbero essere dei luoghi piacevoli dove andare, dovrebbero essere bei posti, non dovrebbero essere fatiscenti, quindi al solito c’è necessità di una scelta a monte, perché altrimenti qui diamo sempre responsabilità al singolo insegnante che da solo può fare poco per cambiare questo sistema.

Dobbiamo immaginare la scuola come un’agenzia educativa e gli insegnanti come degli educatori prima che dei tecnici che dispensano un programma. Io sono rimasto molto colpito dal fatto che ultimamente il Ministero dell’istruzione, quello che tra l’altro una volta era il Ministero della pubblica istruzione, si è trasformato in Ministero dell’istruzione e del merito. Ecco io vedo in questo non tanto la giusta valorizzazione del merito, questo è già sancito nella Costituzione che garantisce il diritto allo studio anche agli studenti meno ambienti, ma il problema è che sottolineare il merito vuol dire sottolineare la competizione, la necessità che la scuola venga vista, secondo questa modalità di approccio, come un erogatore di contenuti, erogatore di competenze.

Ad esempio anche tutta quell’esperienza scuola-lavoro non la trovo particolarmente illuminante. La scuola dovrebbe essere per tutti e dovrebbe aprire le menti dei ragazzi, aiutarli a ragionare, a farsi una propria opinione più che prepararli ad un lavoro. Lo scorso anno abbiamo celebrato i 100 anni dalla nascita di Don Milani, forse dovremmo un po’ rileggere tutti Don Milani e Maria Montessori per capire qual è la vera vocazione. Questa è ovviamente la mia personale opinione della scuola.

Un’ultima domanda, lei sostiene da tempo che è necessario favorire lo sviluppo dell’autonomia nei bambini, che genitori ed insegnanti devono lavorare perché figli e studenti crescano emotivamente stabili, curiosi di conoscere, ricchi di relazioni positive per affrontare in autonomia e serenità le sfide del diventare grandi. Ci aiuta a capire come?

Certamente, citavo poco fa Maria Montessori, una delle cose che lei ha scritto e che io amo citare è che rendere autonomi bambini e ragazzi vuol dire insegnare loro a fare da soli, quindi non vuol dire che ti abbandono, ma ti do gli strumenti per potertela cavare e questo è un elemento di forza incredibile per i ragazzi e che fina da bambini siano in rado di saper gestire la propria frustrazione. Immaginiamo, invece, un bambino di 3-4 anni che piange ad ogni no dei genitori, che è frustrato, come diciamo noi, che reagisce emotivamente in maniera esagerata rispetto a qualunque stimolo ambientale, sarà un bambino che farà più fatica di altri a incontrare coetanei, a stabilire relazioni positive, a far fronte anche alle avversità che ad ogni età ognuno di noi è destinato a incontrare.

Soddisfare ogni desiderio e bisogno dei bambini immediatamente, senza educarli al desiderio, al senso del merito, qui ci vuole, anche alla conquista, credo che questo tolga forza ai ragazzi nella costruzione del loro carattere e che li esponga più facilmente a insuccessi e a viverli male. Quindi è importante aiutare i nostri bambini e ragazzi a costruirsi un’immagine di sé che sia la più corretta possibile, possibilmente la più aderente alla realtà.

 

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