La teoria di Erikson e il ruolo del docente nello sviluppo psico-sociale degli alunni
Lo psicanalista (tedesco ma naturalizzato statunitense) Erik Erikson fu allievo di Sigmund Freud e di Heinz Hartmann, per cui creò un personale mix tra gli studi del primo e quelli del secondo (focalizzato sugli aspetti creativi e adattivi attribuiti all’Io, che mancavano nella trattazione freudiana).
La teoria di Erikson
Questo tipo di formazione diede come frutto la formulazione della teoria eriksoniana sullo sviluppo psicologico e sociale dell’individuo, anche detta teoria delle otto fasi, poiché lo studioso divide appunto in 8 stadi la vita di ciascun essere umano. Ed è importante, per Erikson, che in ogni fase della sua vita la persona riesca a superare positivamente le crisi evolutive che le si parano davanti: in caso contrario, se li porterebbe dietro anche nella fase successiva, con notevoli difficoltà sul piano sociale e psichico. In ogni tappa, quindi, la figura genitoriale – ma anche quella del mentore, per estensione (dunque del docente, nel caso della scuola) – ha un ruolo importante per aiutare l’individuo a risolvere le difficoltà della vita.
Primo stadio (0-1 anno): Fiducia vs. Sfiducia
Ogni stadio della teoria di Erikson è segnato da una dicotomia importante, che rappresenta il punto focale su cui si basa la crisi evolutiva dell’individuo. Nel suo primo anno di vita, essa è la fiducia: in primis verso la figura materna, e poi verso il mondo circostante. In questo stadio la madre deve far sì che il bambino non trasformi il suo atteggiamento verso l’ambiente esterno (da lei rappresentato in prima battuta) in sfiducia, quindi deve cercare di essere non tradire le aspettative inconsce del neonato, dandogli le cure e il calore umano di cui necessita.
Secondo stadio (18 mesi-3 anni): Autonomia vs. Vergogna/Dubbio
Dai 18 mesi in poi, il bambino inizia a gattonare e/o a camminare, e questo comporta una prima grande conquista di piccola autonomia: in questa fase, è importante che i genitori (o gli educatori dell’asilo nido) non lo limitino nei suoi movimenti per paura che si faccia male o per l’ansia verso ciò che potrebbe succedere: frequenti divieti, infatti, potrebbero trasformare il suo senso di indipendenza nella paura di osare nella vita.
Terzo stadio (4-7 anni): Iniziativa vs. Senso di Colpa
Nel terzo stadio avviene più o meno la stessa dinamica del secondo: il bambino tenderà a conquistare sempre più spazio nel mondo, per cui necessiterà di una figura genitoriale o un modello di docente che stimoli -e non si opponga – alla sua naturale curiosità. Rimproveri e punizioni, in questo triennio, andrebbero dunque dosati con sapienza, utilizzandole come “ultima spiaggia” dopo aver tentato più volte di spiegare al bambino, comunicandolo verbalmente, quali siano gli atteggiamenti corretti da tenere a casa o in classe, dunque in società.
Quarto stadio (8-11 anni): Operosità vs. Senso di inferiorità
È questa, per i discenti, l’età in cui si richiede un notevole sforzo cognitivo, soprattutto a scuola, perché si passa da un ciclo all’altro dell’istruzione. Ciò comporta inoltre anche un cambio di compagni di classe e di docenti: sicuramente il bambino desidera dai docenti delle scuole medie la stessa (se non migliore) approvazione che aveva dai suoi maestri delle elementari, così come lo stesso tipo di convivialità che aveva con i suoi precedenti compagni di classe. In questa fase, dunque, è importante da parte di docenti ed educatori sviluppare il rinforzo positivo, che porteranno il discente verso la strada dell’industriosità anziché verso quella del senso di inferiorità rispetto agli altri.
Quinto stadio (pre-adolescenza e adolescenza): Identità vs. Confusione
Quando sono teen-ager, gli alunni hanno un solo obiettivo, inconscio o conscio che sia: conquistare un’identità, che in quel periodo è in fase di costruzione. Questo è evidente in qualsiasi aspetto della loro vita: il vestiario, la cura del corpo, il rendimento scolastico, le preferenze artistiche o politiche ecc… Compito del docente e delle figure genitoriali, in questo periodo, è quello di non soffocare la neonata voce identitaria del discente, poiché potrebbe portare alla dispersione delle idee del ragazzo o della ragazza. Tuttavia, contemporaneamente devono svolgere il loro ruolo di educatori, e avere in mente una strategia (meglio se comune) ben precisa da adottare, per evitare che si crei confusione nella testa dell’adolescente circa i ruoli delle varie figure che circondano il suo mondo. Per cui i genitori e il docente dovranno evitare comportamenti ambigui, confusi e disorientanti, cercando di mediare di volta in volta gli sbalzi d’umore del ragazzo/a. In questa fase, va messa in campo tutta la diplomazia possibile da parte degli adulti.
Gli ultimi tre stadi
Negli ultimi tre stadi, l’individuo è ormai fuori dall’istituzione scolastica, e cerca – in età giovanile (dai 20 ai 30 anni), di sviluppare relazioni intime e affettive con un partner. Invece, fino ai 60 (età matura), dà tutto sé stesso/a al lavoro, alla società e alla famiglia, il cui ricordo lo accompagneranno fino alla morte (dalla terza età in poi), in cui tira le somme della sua esistenza. Quest’ultimo stadio si può vivere con integrità o con disperazione: a seconda che il bilancio dell’esistenza sia positivo o negativo.