La tecnologia e la formazione negata “per legge” ai precari: “Carta dei docenti” per gli assunti a tempo determinato

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La “buona scuola” proprio così buona non lo è per una buona parte dei docenti italiani che, vittime di una pubblica istruzione, incapace di colmare, nonostante le molteplici assunzioni avvenute negli ultimi anni, il deficit di risorse umane, ha dovuto partecipare alla grande innovazione tecnologica e, forse meglio a dire, alla grande scommessa della didattica a distanza, tutta a loro spese.

Spese per l’acquisto del personal computer (adeguato alle esigenze d’una didattica con lezioni in modalità sincrona), spese per i collegamenti internet (non sempre adeguati a supportare un così massiccio utilizzo di giga), spese per la formazione professionale (assai cospicua, per fortuna, in queste settimane e che, in alcuni casi, prevede quote di iscrizione ai corsi). E il riferimento va ai precari di sempre, ai tanti docenti, con contratti al 30 giugno o al 31 agosto (ma anche a quelli su malattie, astensioni varie, aspettative) che si sono trovati, come tutti gli altri, a non potere scegliere ma costretti ad adeguarsi ad una modalità di erogazione della didattica del tutto nuova, affascinante e competitiva, in alcuni casi, ma pur sempre necessitante di strumentalità di cui non tutti dispongono.

La Carta docente vera negazione della democrazia nel luogo simbolo della formazione del cittadino

Il riferimento che si fa parlando della negazione della tecnologia ai precari della scuola (assai spesso docenti di grande formazione e qualità professionali), va, in primis, alla Carta del Docente, il bonus da 500 euro per “tutti” gli insegnanti nato nel 2016, all’interno della legge sulla Buona Scuola. La legge 13 luglio 2015, n. 107, recante: «Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti», all’articolo 1, comma 121 titolato “Istituzione della Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione del docente e autorizzazione di spesa”, così recita “Al fine di sostenere la formazione continua dei docenti e di valorizzarne le competenze professionali, è istituita, nel rispetto del limite di spesa di cui al comma 123, la Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado. La Carta, dell’importo nominale di euro 500 annui per ciascun anno scolastico, può essere utilizzata per l’acquisto di libri e di testi, anche in formato digitale, di pubblicazioni e di riviste comunque utili all’aggiornamento professionale, per l’acquisto di hardware e software, per l’iscrizione a corsi per attività di aggiornamento e di qualificazione delle competenze professionali, svolti da enti accreditati presso il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, a corsi di laurea, di laurea magistrale, specialistica o a ciclo unico, inerenti al profilo professionale, ovvero a corsi post lauream o a master universitari inerenti al profilo professionale, per rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l’ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo, nonché per iniziative coerenti con le attività individuate nell’ambito del piano dell’offerta formativa delle scuole e del Piano nazionale di formazione di cui al comma 124. La somma di cui alla Carta non costituisce retribuzione accessoria né reddito imponibile”.

Il disposto normativo veniva così a creare un vero vulnus democratico nella scuola italiana inserendo, proprio, come clausola per il riconoscimento di questo diritto che la carta docente venisse erogata solo al “docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado” di fatto violando due principi altrettanto importanti: il diritto/dovere alla formazione da parte di tutto il personale docente e il congiunto diritto del discente a docenti parimenti formati e aggiornati; e il diritto all’accesso alle strumentalità tecnologiche, da parte di tutti i docenti, e il congiunto diritto degli alunni a beneficiare di docenti tutti nelle possibilità concrete di garantire, oggi di più di ieri, una didattica a distanza efficace, efficiente, puntuale, all’altezza delle sfide che questo tempo impongono.

D’altronde apparrebbe svilito il principio espresso nel comma 1 dell’articolo 1 della stessa legge 107/2015 che prevede, tra l’altro, che “per affermare il ruolo centrale della scuola nella società della conoscenza e innalzare i livelli di istruzione e le competenze delle studentesse e degli studenti, rispettandone i tempi e gli stili di apprendimento, per contrastare le diseguaglianze socio-culturali e territoriali, per prevenire e recuperare l’abbandono e la dispersione scolastica, in coerenza con il profilo educativo, culturale e professionale dei diversi gradi di istruzione, per realizzare una scuola aperta, quale laboratorio permanente di ricerca, sperimentazione e innovazione didattica, di partecipazione e di educazione alla cittadinanza attiva, per garantire il diritto allo studio, le pari opportunità di successo formativo e di istruzione permanente dei cittadini, la presente legge dà piena attuazione all’autonomia delle istituzioni scolastiche di cui all’articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, anche in relazione alla dotazione finanziaria”.

Ma come si farebbe a garantire, nei fatti, un semplice enunciato approvando uno squilibrio talmente evidente, quanto gravissimo, tra una categoria e l’altra di docenti, come se la formazione e l’accesso alle tecnologie fosse appannaggio di una parte dei docenti, e non di tutti, e peggio ancora, che il diritto all’istruzione con personale aggiornato, fosse nei fatti limitato ad alcuni studenti e non fosse garantito a tutti.

E in questo momento questa negazione sarebbe assai più significativa e evidente, anche in ragione della scelta definitiva operata dal ministro e dal Governo per la “didattica a distanza” come è evidente nel decreto legge 6 aprile 2020, recate misure urgenti per la scuola, che recita che “in corrispondenza della sospensione delle attività didattiche in presenza a seguito dell’emergenza epidemiologica, il personale docente assicura comunque le prestazioni didattiche nelle modalità a distanza, utilizzando strumenti informatici o tecnologici a disposizione. Le prestazioni lavorative e gli adempimenti connessi dei dirigenti scolastici nonché del personale scolastico, come determinati dal quadro contrattuale e normativo vigente, fermo quanto stabilito al periodo precedente e all’articolo 87 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, possono svolgersi nelle modalità del lavoro agile anche attraverso apparecchiature informatiche e collegamenti telefonici e telematici, per contenere ogni diffusione del contagio. Dove “utilizzando strumenti informatici o tecnologici a disposizione” è un dire tutto e, contemporaneamente, un negare ciò che si dice. Di fatto la scuola, non potendo pretendere o ritenere di far leva su dotazioni mai fornite ai propri dipendenti, non assicurerebbe mai compiutezza alla finalità della legge, ossia quella di assicurare “comunque le prestazioni didattiche nelle modalità a distanza”. Che ben venga, dunque, una retromarcia del ministero dell’istruzione sulle modalità di erogazione e sui destinatari della “Carta dei docenti”.

Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato del 18.03.1999 trasfuso nella Direttiva 1999/70/CE del 28.06.1999)

Qui non si tratta solo, come hanno scritto, forse appropriatamente, alcuni giuristi, di garantire, cosa giusta e sacrosanta, stessi diritti a personale che opera con le stesse mansioni e le stesse responsabilità, spesso non con gli stessi diritti (a tempo determinato e indeterminato) per la stessa amministrazione (cosa sacrosanta e giusta, vera e necessaria come tra l’altro più volte ribadito dall’UE e, in special modo, dall’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato del 18.03.1999 trasfuso nella Direttiva 1999/70/CE del 28.06.1999); si tratta di garantire il rispetto dell’articolo 34 della Costituzione italiana, nel suo primo comma “La scuola è aperta a tutti” e a tutti devono essere assicurati livelli formativi e personale educante parimente formato. Cosa che di fatto non permette e non assicura affatto una norma nata per essere garanzia di una “buona scuola”.

Formazione e parità di trattamento all’artt. 6 e 7 del Decreto Legislativo 6 settembre 2001, n. 368

A comprova di ciò, vale la pena ricordare il Decreto Legislativo 6 settembre 2001, n. 368 recanti norme di “Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES” pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 235 del 9 ottobre 2001. L’articolo 6 introduce un principio assai calzante, in questo caso. Quello “non discriminazione”. L’articolo di fatto ribadisce alcuni diritti fondamentali del lavoratore quali: le ferie e la gratifica natalizia o la tredicesima mensilità; il trattamento di fine rapporto. Ma cosa più importante, che fa apparire iniquo, specie in questo momento, il rapporto riservato ai docenti a tempo indeterminato, all’articolo 7 il diritto alla formazione. Recita l’articolo “1. Il lavoratore assunto con contratto a tempo determinato dovrà ricevere una formazione sufficiente ed adeguata alle caratteristiche delle mansioni oggetto del contratto, al fine di prevenire rischi specifici connessi alla esecuzione del lavoro. 2. I contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi possono prevedere modalità e strumenti diretti ad agevolare l’accesso dei lavoratori a tempo determinato ad opportunità di formazione adeguata, per aumentarne la qualificazione, promuoverne la carriera e migliorarne la mobilità occupazionale”. Questo è quello che si vuole davvero? Docenti e studenti di serie A e studenti e docenti di serie B? Credo che vada rivisto adesso, tempestivamente, questo disposto normativo che regola l’erogazione della “Carta del docente”.

Emendamento al decreto “Cura Italia”

Un emendamento studiato da Anief e presentato in Senato potrebbe sbloccare la situazione. Ecco il testo: «All’articolo 120, al comma 1, aggiunge le seguenti parole: “, anche al fine di attribuire la carta elettronica di cui all’articolo 1, comma 121, della legge 13 luglio 2015 n. 107, a tutto il personale con contratto a tempo determinato, anche educativo e ATA oltre al personale docente con contratto a tempo indeterminato.” Motivazione [Estensione carta docente a precari, ATA e personale educativo]: considerata la necessità di una modalità agile di lavoro e la necessità di non discriminare tra lavoratori a tempo determinato e a tempo indeterminato e/o tra personale docente, Ata ed educativo, è necessario estendere la carta docente e il relativo bonus anche alle altre categorie indicate».

Ne va della dignità della scuola e del futuro delle nuove generazioni.

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