La storia di Veronica, docente di lingue, che da Modena va a Messina ogni settimana per specializzarsi sul sostegno: “Costi discriminatori”. INTERVISTA

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Salta sul Flixbus a Carpi il giovedì sera, dopo una giornata di servizio in un istituto comprensivo della città emiliana, e arriva a Messina il giorno dopo. Venerdì e sabato frequenta fino a tarda sera il corso di specializzazione sul sostegno e, finite le lezioni, risale sul pullman alla volta della cittadina modenese, patria italiana della moda.

Il tempo di riprendere le forze e riordinare la casa – anzi la sua camera, in una casetta a due piani condivisa in locazione con altre quattro donne, tra insegnanti e lavoratrici nei settori tessile e ospedaliero – e ci si prepara per la settimana di lavoro, da lunedì al giovedì. Sì, perché la professoressa Veronica Barbara (si pronuncia Barbàra) 33 anni di Naro, in provincia di Agrigento, da alcuni anni insegnante precaria in Emilia, a inizio d’anno proprio in previsione dell’impegno sulla specializzazione, ha scelto una cattedra non completa, pur di avere la possibilità di spostarsi nei fine settimana.

Una scelta che ha comportato un costo, quello dello stipendio ridotto, che si aggiunge agli altri costi: quelli dell’alloggio e della vita fuori casa, quelli di trasporto verso Messina – talvolta in pullman, altre volte in treno o in aereo fino a Catania e poi di nuovo pullman per Messina, e nel tragitto Carpi-aeroporto di Bologna – totale medio: 250 euro a settimana. E soprattutto i costi di iscrizione al corso di specializzazione, la mazzata che conoscono bene tutti i precari ai quali si chiede di pagarsi la formazione, la specializzazione, l’abilitazione, il CLIL e tanto altro, spesso con con i risparmi messi da parte in anni di lavoro precario. “Per me si tratta di 3700 euro in due rate, una da 2000 euro e una da 1700, e per fortuna avevo messo da parte questi soldi negli anni”, dice lei, che pensa a quanti invece non ce la fanno, per motivi finanziari, a proseguire nella carriera.

Si riferisce anche a coloro che – al netto dei soldi spesi nel pagamento di titoli acquisiti per scalare le graduatorie, come il CLIL e non solo – una volta passati di ruolo sono chiamati a frequentare i costosissimi corsi di abilitazione, un vero elemento di discriminazione a danno di tanti colleghi come lei. Un destino che sarà molto probabilmente anche il suo destino, dacché lei sa bene che una volta pagata la specializzazione sul sostegno si dovrà accingere a sborsare altri soldi, migliaia di euro per l’abilitazione successiva al ruolo che si agura di conseguire da graduatoria entro il prossimo anno, poiché in un recente concorso PNRR pur avendo conseguito un punteggio altissimo non è entrata in posizione utile per l’assunzione, per penuria di posti: solo 7 in tutta la Sicilia.

Nel frattempo non ci pensa: “Sono tanto presa da tutte queste incombenze, che non avverto neppure rabbia”, ammette lei, quasi a volere esorcizzare la rabbia. “Devo solo cercare di capire se la strada intrapresa possa essere percorribile come spero, poi però, quando mi assalgono i dubbi, allora guardo gli alunni e penso che sono loro i veri protagonisti della mia scelta di essere insegnante. La vita che sto vivendo mi sta facendo diventare intrattabile per chi mi sta accanto, poi arrivo in classe e tutte queste preoccupazioni riesco a lasciarle fuori, è come se entrassi in un mondo parallelo dove scompaiono tutte le cose che non vanno bene”. La professoressa Barbara è impegnata in un’azione concreta di solidarietà: attraverso una Onlus aiuta la famiglia di Josephine, una bambina che vive in Uganda, a condurre una vita dignitosa, una scelta che le ha fatto scoprire i valori veri della vita.

Professoressa Veronica Barbara, da quanto tempo vive in Emilia Romagna?

“Dal 2014 sono qui in Emilia. Ho conseguito la laurea magistrale in lingue a Bologna. Poi mi sono trasferita a Carpi dove ho avuto il mio primo incarico annuale presso la scuola media Fassi. Da precaria ho lavorato un po’ in quasi tutte le scuole di Carpi, e almeno questo è un aspetto positivo perché mi ha dato l’opportunità di conoscere moltissime persone. Come dicevo, sono laureata in lingue e negli anni precedenti ho insegnato sempre o inglese o spagnolo, spesso con un doppio incarico, quest’anno ho scelto un incarico sul sostegno”

Perché?

“Perché ho deciso di specializzarmi sul sostegno, presso l’università Messina appunto, e quindi ho ritenuto che un incarico sul sostegno sarebbe stato più lineare con quella scelta”.

Scelta azzeccata?

“Devo dire di sì. Io sono laureata in lingue e nel cuore valuterò il da farsi nei prossimi anni”.

Qualcuno potrebbe pensare che si tratti invece di una scelta utilitaristica, molti malignamente ritengono che il sostegno offra una sponda per passare più velocemente di ruolo.

“A parte tutti i discorsi utilitaristici e al sostegno considerato spesso come una via privilegiata per andare in ruolo, problema che esiste, io dico che se dovessi immaginarmi gli angeli in paradiso io me li immagino come i miei ragazzi”.

Ha già fatto i concorsi?

“Sì, certo, ne ho fatti due. Ho fatto il concorso PNRR 1 su spagnolo in Sicilia”.

E com’è andata?

“Ho totalizzato 94 su 100 allo scritto e 100 su 100 all’orale ma non ho ottenuto il posto perché in Sicilia c’erano solo 7 posti. E comunque la situazione in Emilia non era diversa. Non sono riuscita a entrare poiché erano previsti anche punti per titoli vari che io non avevo. Il concorso prevedeva infatti 100 punti allo scritto – e io come detto ho preso 94 – e 100 all’orale, che io sono riuscita a prendere. Però poi erano previsti 50 punti relativi a servizi e titoli vari e questo mi ha svantaggiata perché non avevo la specializzazione sul sostegno e neppure avevo certificazioni comprate che altri hanno, oppure il servizio civile universale”.

Dove ha sostenuto le prove?

“Ho fatto la prova scritta a Catania e per via delle aggregazioni territoriali l’orale l’ho dovuto sostenere a Maddaloni…”

In Campania?

“Già. In provincia di Caserta. E il concorso, come si sa, non è abilitante, dunque: nulla di fatto, si ricomincia.E così ho poi sostenuto il concorso PNRR 2”.

E com’è andata questa volta?

“Per il PNRR 2 ho scelto l’Emilia, con spagnolo per le secondarie di primo grado e inglese per le le secondarie di secondo grado, mentre in Sicilia avo puntato su spagnolo. La prova scritta l’ho sostenuta a Bologna il 5 febbraio 2025, ho preso 84 su 100, ma ad oggi non so se questo punteggio sarà sufficiente per accedere agli orali. Anche perché c’è stata una novità: nel primo concorso si accedeva all’orale con almeno 70 punti, che corrispondevano alla sufficienza, mentre nel secondo potrà accedere all’orale un numero triplo di candidati rispetto ai posti disponibili. E però non ci hanno ancora fornito l’indicazione circa il punteggio minimo. È un concorso che serve per passare di ruolo e quindi nell’ipotesi che io rientri nei posti messi a bando mi dovrò pagare l’abilitazione da fare su spagnolo. Però la cosa positiva è che nel frattempo ho maturato tanti anni di servizio, più la specializzazione su sostegno e con questi requisiti il corso di specializzazione su materia sarebbe solo online questo mi consente di seguire tutto online. Tuttavia, considerato che siamo a maggio, se per ipotesi i punteggi dovessero uscire a giugno sarebbe impossibile passare di ruolo entro settembre. Spero però, con la specializzazione, di passare di ruolo su sostegno da settembre 25 da prima fascia, nel Modenese”.

Messina è stata una scelta obbligata?

“Il fatto è che le università del Sud, non solo quella di Messina, bandiscono più posti rispetto a quelle del Nord. Il che è un controsenso poiché al Nord ci sono molti più posti rispetto al Sud dove vengono sfornate tante specializzazioni sul sostegno di docenti che poi spesso non lavorano”.

Qual è il costo del suo corso a Messina?

“Sto pagando 3.700 euro, con due rate: una da 2.000 euro, l’altra da1700”.

Lei dice che tutti questi costi per specializzarsi sono un po’ discriminatori, nei fatti. E’ così?

“È chiaro. Non tutti possono permettersi la spesa, considerando anche i costi di tutte le altre certificazioni che molti acquisiscono a pagamento, io no, per accumulare punteggio, come la certificazione CLIL, che costa costa 600 euro”.

Come si organizza per i tragitti settimanali verso Messina?

“Vado a Messina tutte le settimane, parto tutti i giovedì. Il corso è venerdì pomeriggio e sabato tutto il giorno.

Come fa ad assentarsi a scuola in tutti i fine settimana?

“Io a inizio anno, proprio in previsione di questo impegno, ho rinunciato a una parte delle ore, confidando in un orario ridotto, e per questo sto ricevendo uno stipendio ridotto, è un vero sacrificio economico. E pensare che tutto questo stress te lo devi anche finanziare”.

È arrabbiata?

“Ma guardi, non lo so nemmeno io come mi sento in questo momento. Sono tanto presa da tutte queste cose che non avverto neppure rabbia. Devo solo cercare di capire se la strada intrapresa possa essere percorribile come spero, poi però, quando mi assalgono i dubbi, allora guardo gli alunni e penso che sono loro i veri protagonisti della mia scelta di essere insegnante. Un po’ per esorcizzare questa rabbia”.

Quanto incide tutto questo sulla serenità?

“Tantissimo. Incide sul rapporto di coppia, sui rapporti familiari in generale, sui rapporti con le persone che ti stanno vicino. La vita che sto vivendo mi sta facendo diventare intrattabile per chi mi sta accanto. Questi viaggi fanno diventare difficile le cose che ci sono da fare di tutti i giorni e penso che se avessi già dei figli questa vita non l’avrei potuta fare, avrei probabilmente rinunciato alla carriera. Se avessi un figlio di tre anni, diventerebbe complicato. Poi arrivo in classe e tutte queste preoccupazioni riesco a lasciarle fuori, è come se entrassi in un mondo parallelo dove scompaiono tutte le cose che non vanno bene”.

E’ vero che nonostante tutto quello che sta pagando per finanziarsi il lavoro e tutto il resto, sta aiutando economicamente una famiglia africana?

“Grazie all’associazione Italia solidale, mondo solidale, sono gemellata con una bambina in Uganda, si chiama Josephine. Attraverso il mio contributo i suoi genitori possono portare avanti un’attività economica e condurre una vita più che dignitosa. Questa esperienza mi ha veramente permesso di affrontare quest’anno pieno di sacrifici e mi fa dire che il senso della vita non è costituito dai corsi abilitanti, dalle certificazioni, dai concorsi”.

Da che cos’è costituito il senso della vita, secondo la sua visione dell’esistenza?

“L’amore e il senso della vita consistono nell’apprezzare quello che si è, e il contatto con queste persone povere, ma ricche di spirito, me lo conferma tutti i giorni. Il senso della vita non è nell’essere essere produttivi né nel dimostrare con titoli e certificazioni di essere in grado di produrre qualcosa: il senso di esistere al mondo non è questo, è invece nell’avere relazioni vere e profonde basate sull’amore e sulla semplicità. La cosa che mi piace di questa esperienza non è che sono a posto con la coscienza perché faccio un’opera di bene, ma piuttosto il fatto che noi aiutiamo il Sud del mondo e il Sud del mondo aiuta noi”

In che cosa?

“Nello scoprire il senso della vita che viviamo, nel cercare di essere semplici e di focalizzarci sul valore reale dell’esistenza che non consiste nell’essere bravi ma nel dare valore e senso a quello che siamo realmente nella nostra anima”.

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