La storia di Maryam, docente afghana che ha fondato una scuola clandestina: “Se smettiamo, moriremo di depressione”

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“Mi sento una schiava, ma ho deciso di resistere”. Maryam, 28 anni, occhi neri che brillano di determinazione sotto il velo, racconta a La Repubblica la sua vita da insegnante clandestina nell’Afghanistan dei talebani. Un regime che ha cancellato le donne dalla vita pubblica, relegandole al silenzio e all’obbedienza.

Maryam, laureata in Economia, ricorda con nostalgia la sua vita prima del ritorno dei fondamentalisti: “Mi alzavo presto, andavo in palestra, poi a scuola”. Un’esistenza normale, spazzata via dalla presa di Kabul nell’agosto 2021.

Oggi, uscire di casa è un incubo. Le donne possono farlo solo se accompagnate da un uomo e completamente coperte, anche il viso. Vietato parlare con gli uomini estranei, persino guardare negli occhi. “Dico a mio marito cosa comprare al mercato, è lui che parla con il negoziante”, racconta Maryam. La pena per chi disobbedisce? Arresto, torture, la legge del terrore.

L’ultimo editto del leader talebano Akhundzada ha sancito l’oscuramento totale delle donne. Vietate le immagini femminili, la musica, persino gli strumenti musicali. I talebani controllano tutto, anche i cellulari, alla ricerca di foto, video o canzoni proibite.

In questo clima di paura e oppressione, Maryam ha scelto di non arrendersi. Insieme a un’amica ha fondato una scuola clandestina per ragazze, nel seminterrato di un edificio e in una grotta. “Insegniamo cucito, inglese, informatica, disegno”, spiega. Un modo per dare alle ragazze gli strumenti per costruirsi un futuro, anche se precario.

Un’attività rischiosa, che potrebbe costare loro la vita. Ma Maryam non ha dubbi: “Se smettiamo, moriremo di depressione”. L’ONU ha registrato un’impennata di suicidi tra le donne afghane, vittime di un sistema che le soffoca.

“Molti Paesi spingono per il riconoscimento dei talebani”, conclude Maryam, “ma l’unico aiuto che potete darci è non farlo”. Un appello accorato a non dimenticare le donne afghane, che sotto il giogo dell’oppressione continuano a lottare per la libertà e il diritto all’istruzione.

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