La storia di Greta, quoziente intellettivo 133, che sogna di fare l’insegnante. “Ho preso consapevolezza della mia plusodotazione grazie al film ‘Gifted'” INTERVISTA

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Quando prendi finalmente coscienza di avere questa particolarità è come avere una Ferrari e sapere che la puoi usare come una Ferrari e non come un Pandino”. La particolarità di cui parla Greta è la sua plusdotazione, certificata da QI di 133, di molto superiore al quoziente intellettivo di grado alto.

 Greta Galli è una studentessa gifted ventiduenne, è di Fagnano Olona, una cittadina di 13mila abitanti in provincia di Varese ed è a un passo dalla laurea in Informatica. Dopo gli anni trascorsi all’Istituto tecnico Geymonat di Tradate, indirizzo Informatica e Telecomunicazioni si è iscritta all’università e ora è tre esami dalla laurea triennale. Intanto lavora come influencer pubblicando anche video in cui parla dei gifteddi cui ci siamo più volte occupati su queste colonne – e privatamente come insegnante di varie materie come programmazione, robotica e altre discipline Stem. Greta ha già preso dal primo anno di università i 24 CFU – in passato erano sufficienti – perché ha da sempre chiaro in testa il desiderio di diventare un’insegnante a scuola.

Greta si accorge della propria particolarità un po’ tardi, durante il periodo scolastico, e per puro caso: “Avevo parlato della cosa con un sacerdote – ci spiega – e lui mi ha consigliato di vedere il film Gifted, il dono del talento”. Il film racconta la storia di Mary Adler, una bambina di sette anni, che colpisce la sua insegnante Bonnie Stevenson con le sue straordinarie capacità di calcolo matematico. A Mary viene offerta una borsa di studio per una scuola privata per bambini prodigio ma suo zio Frank, che è anche suo tutore dopo la morte della mamma della piccola, non accetta l’idea, per il timore che la bambina possa essere sottratta un’infanzia normale. La madre di Mary, Diane, era stata una grande matematica, e in questa veste aveva tentato inutilmente di risolvere le equazioni di Navier-Stokes, senza riuscirci, infine si era tolta la vita qualche mese dopo la nascita della giovane protagonista del film. “Avevo 16 anni quando ho visto quel film – ci spiega Greta – e stavo vivendo in maniera normale. C’erano state situazioni particolari come quando alle medie il professore di disegno tecnico mi affidava le tavole delle superiori perché le altre erano troppo facili per me, ma io non avevo ancora coscienza del mio stato, anche se la cosa era diversa dal solito e io la coprivo con la socialità mentre ci sono ragazzini più chiusi per i quali la situazione è più impegnativa”. E ancora: “Dopo il film? A quel punto ho iniziato a documentarmi. Nessuno conosceva il termine, poi superata la maturità e il lockdown sono andata a fare la valutazione del QI”. Secondo Greta Galli il fenomeno è poco conosciuto in Italia, specie dai docenti, sebbene la casistica ufficiale stimi nel 2 per cento della popolazione scolastica il numero degli alunni plusdotati. Una percentuale già alta, che Greta ritiene addirittura sottostimata perché pochi conoscono il termine e le caratteristiche dei gifted. Eppure la scuola non sempre risulta attrezzata per venire incontro alle esigenze di questi alunni le cui difficoltà a livello emotivo vanno invece affrontate e gestite al meglio. Greta all’università, durante i corsi per i CFU, ha notato che “non si è mai parlato di plusdotazione e neanche della parte destra della curva di Gauss, abbiamo sempre visto casi sulla parte sinistra, quelli con QI basso o con disturbi dell’apprendimento o con altre problematiche, ma mai mezza volta ci siamo occupati del lato destro. Se quel corso era pensato per i futuri docenti, per prepararli all’insegnamento, mi chiedo perché non si parlasse mai di questa particolarità”.

Non stanno attenti, si annoiano, chiedono di uscire. Sono questi i sintomi ai quali prestare attenzione? Greta Galli, guardando dal suo osservatorio di ex studentessa, come si fa a riconoscere la presenza in classe di un un alunno gifted?

“È una cosa soggettiva, ogni alunno plusdotato è diverso dagli altri alunni che hanno questa particolarità. Tra i sintomi e le particolarità c’è il fatto che gli alunni plusdotati imparano più velocemente certe cose, se sono interessati, e si appassionano a nuovi argomenti ogni volta che possono. Certe volte può trattarsi di una moda passeggera, c’è chi ad esempio si appassiona dei dinosauri e vuole sapere tutto sull’argomento, ma due mesi dopo magari si mostra completamente indifferente al medesimo. Poi è logico che con il fatto che imparano tutto in fretta, finisce che in classe si annoiano. Imparando più velocemente rispetto agli altri compagni, di fronte a esercizi di matematica riproposti più volte al giorno e con lo stesso metodo – quando loro li hanno capiti al primo colpo – appaiono svogliati, ma in realtà avendo capito al primo colpo si annoiano”.

Questo è percepibile dal docente?

“Non per forza, è soggettivo. Ci sono ragazzi che si mascherano nel contesto classe e magari mettono in secondo piano le loro particolarità”.

E’ voluto?

“Io mi portavo il cubo di Rubik mi mettevo e lo risolvevo. L’insegnante vedeva che io avevo già fatto la verifica o i soliti venti esercizi esercizi e mi lasciava fare. Ma ci sono altri casi più evidenti e allora occorre intervenire”.

Intervenire, ma come?

“Innanzitutto cercando di verificare se ci sia una situazione di iperattività. Sono cose simili e possono coesistere con la plusdotazione. Sembra strano ma magari un alunno ha un QI di 130 ma è anche dislessico: la presenza di un altro disturbo potrebbe nascondere la plusdotazione, in questi casi si parla di doppia eccezionalità”

Succede spesso?

“E’ un fenomeno abbastanza diffuso, tantissimi sono sia plusdotati e hanno doppia eccezionalità”.

E questo potrebbe essere un mezzo disastro?

“Sì, certo. Magari si va ad aiutare la persona con DSA con strumenti dispensativi e gli si tolgono così delle opportunità. Prendiamo il caso dell’antologia: non gli piacerà la materia, ma poi, se gli dai lo stesso testo di una materia che gli piace, lo leggerà senza difficoltà”.

Cosa fare?

“La prima cosa da fare è riconoscere i casi. Ci si accorge, se ne discute con colleghi, s’interpella la famiglia. Una volta che si sa che il ragazzo è plusdotato, secondo una Nota del Mim (si tratta della Nota Ministeriale 562 del 3 aprile 2019, ndr) questi studenti possono essere riconosciuti come BES e hanno diritto a un Pdp. Quindi, se ci si accorge che il plusdotato ha bisogno di aiuto si sviluppa un Pdp, si studia il caso, si prevedono attività extra”.

È stato il suo caso?

“Io alle medie per esempio per Disegno tecnico ricevevo dal professore le tavole delle superiori perché quello delle medie le finivo in dieci minuti. Lui mi sottoponeva tavole più difficili, di questo aveva parlato anche con i miei genitori”.

La scuola si accorge della presenza di un alunno plusdotato prima o dopo della famiglia?

“Dipende. A volte ci arriva per prima la scuola, a volte dopo, altre volte nessuno dei due. Nel mio caso ci sono arrivata io dopo aver parlato con un sacerdote un sacerdote. Mi aveva consigliato di guardare il film Gifted e io in quel film mi sono riconosciuta. Avevo 16 anni e stavo vivendo in maniera normale. C’erano state situazioni particolari come quella del disegno tecnico di cui ho detto prima, senza sapere di che cosa si trattasse anche se era una cosa diversa dal solito. Io la coprivo con la socialità mentre ci sono ragazzini più chiusi per i quali la cosa è più evidente”.

Che cos’è successo con la visione di quel film?

“Mi ha aiutato a prendere coscienza e a qual punto ho iniziato a documentarmi. Nessuno conosceva il termine, poi superata la maturità e il lockdown sono andata a fare la valutazione del QI, che è risultato 134”.

Come l’avete presa, lei e i suoi genitori?

“Noi l’abbiamo presa bene, io mi riconoscevo in tutto. È stato un senso di liberazione perché ho dato un senso a quello che già immaginavo”.

Cosa è cambiato da qual momento?

È stato come avere una Ferrari e nello stesso tempo sapere anche che la puoi usare come una Ferrari e non come un Pandino.

La scuola era finita e non c’era certo più bisogno di un Pdp…

“Però sono tornata dai miei professori a scuola. Non per vanto ma per dire loro: se vi ricapita un ragazzino con le mie particolarità potreste almeno sapere di che cosa si tratta”.

E loro come l’hanno presa?

“Sono rimasti un po’ meravigliati, un po’ come un altro caso da studiare, però credo l’abbiano presa bene. Hanno avuto un caso, senza saperlo: potrebbero dunque essere più preparati in futuro nel caso dovesse ricapitare”.

Che cos’ha significato e che cosa significa tuttora per lei arrivareprima degli altri?

“È brutto dire cosi, arrivare prima degli altri. Per esempio, se per risolvere una formula matematica c’è un procedimento preciso, l’alunno plusdotato magari trova una soluzione più veloce nella propria testa. Arriva allo stesso risultato ma seguendo un procedimento diverso rispetto a quello seguito dagli altri e spesso non è in grado di spiegarlo. Lo mette in pratica prima e se gli chiedono di spiegarlo la risposta sarà: non lo so, ma ci sono arrivato”.

E qui si va incontro al problema della valutazione

“Se il docente a quel punto andasse a chiedere come sei arrivato alla soluzione? e il ragazzo non sapesse cosa rispondere e vi seguisse una valutazione più bassa, questo sarebbe un problema. Se invece il docente dicesse: va bene lo stesso con il tuo metodo, allora non ci sarebbero problemi”.

La prima ipotesi è concreta secondo lei?

“Non conosco ovviamente tutte le situazioni, ma posso immaginare che ci siano insegnanti che non accettano le altre soluzioni, ma è solo una mia supposizione”

Spesso si cerca di capire cosa sta vedendo in termini di soluzione un alunno plusdotato, rispetto a un problema o a una situazione. Personalmente ho sempre ipotizzato come immagine un Michelangelo che davanti a una lastra di marmo e nell’approssimarsi a scolpire la Pietà, si limita a eliminare il marmo che non serve…

“Questo esempio è perfetto”.

Quando si pensa alla plusdotazione si pensa ai problemi della matematica, alle sue soluzioni, una vera croce per tanti studenti. Dal suo punto di vista ritiene che la matematica sia per tutti?

“Per me era più comprensibile che per altri, ma non è un dato comune per tutti. Ci sono intelligenze diverse e ognuno ha la propria. Le competenze matematiche però servono e bisogna vedere quello che serve ai ragazzi e come viene spiegata. Se viene spiegata in malo modo succede diventi incomprensibile. Per me era un incubo la Divina Commedia: capisco quello che ha scritto Dante, ma capire il Girone dei golosi e tutti gli altri, ma tutta questa roba a che cosa mi serve? mi dicevo. Se a scuola mi davano da leggere un libro era un incubo, e invece ora se vado in libreria a prendere un libro di psicologia – disciplina che ho scoperto di recente e che che mi piace – capita che mi metta a leggere dei libri di 200 pagine in una sera, mentre libri scolastici erano una tortura”.

Com’è il rapporto con i coetanei?

“Per me adesso sono sereni e ho una vista sociale normale. Erano difficili ai tempi della scuola, i miei compagni ogni volta mi chiedevano quanto tempo avessi studiato per prendere quei bei voti. Io rispondevo che avevo studiato pochi minuti, che m’era bastato stare attenta a scuola, mentre loro avevano studiato cinque o sei ore di studio”.

E così diventava l’antipatica della situazione…

“Quando succedeva questo, sì”.

Si ricorderà della prima volta che in classe ha scoperto di esserci arrivata molto prima degli altri.

“In realtà non lo ricordo. Ricordo solo che una volta avevo previsto quello che avrebbe spiegato la maestra, alla primaria. Lei seguiva uno schema ben preciso e io avevo previsto che nella successiva lezione avrebbe parlato delle monete antiche e allora nella lezione successiva ho portato in classe una moneta di quelle antiche delle quali s’era messa a parlare. Lei mi ha chiesto: come hai fatto a sapere che avrei parlato di questo?”

Come ha risposto?

“L’ho previsto e l’ho portata”.

Un alunno gifted, una volta presa coscienza della propria particolarità, sa di avere un futuro lavorativo in discesa oppure questo non è scontato?

“No, questa consapevolezza ti mette a conoscenza delle particolarità, ma non ti assicura una vita facile. Sapere di avere questa particolarità ti aiuta a vivere meglio e allora trovo il mio posto nel mondo. Se prendiamo il caso di un plusdotato che non ha trovato un aiuto allora il rischio sarà quello della fuga dei cervelli. Se invece fin da da piccoli si riesce a trovare un aiuto allora sarà facile trovare un posto nel mondo in serenità. Si tratta di riuscire a giungere alla consapevolezza: se io sono preparata ma il docente no, come farà lui a darmi una mano nel mio percorso di studi?”

Sta dicendo che serve una formazione specifica per i docenti. E’ così?

“La logica è questa. Faccio un esempio: nel 2022 durante il primo anno di università in Informatica ho seguito il corso per ottenere i 24 CFU per l’insegnamento – allora si poteva fare – da spendere magari un giorno, a futura memoria. Seguendo le varie lezioni e avendo dato gli esami di pedagogia e psicologia, ho potuto constatare che non si è mai parlato di plusdotazione e neanche della parte destra della curva di Gauss, abbiamo sempre visto casi sulla parte sinistra, quelli con QI basso o con disturbi dell’apprendimento o con altre problematiche, ma mai mezza volta ci siamo occupati del lato destro. Se quel corso era pensato per i futuri docenti, per prepararli all’insegnamento, mi chiedo perché non si parlasse mai di questa particolarità. È vero che sono casi rari, si parla del 2 per cento della popolazione studentesca, ma un paio di casi possono capitare e peraltro molti non conoscono il termine e dunque la percentuale potrebbe essere più alta. Mi piacerebbe dunque che si parlasse, che si facesse formazione, che ci fosse interesse da parte degli insegnanti. A seguito della pubblicazione di un post sui social su questo tema diversi insegnanti mi hanno detto: abbiamo seguito corsi di formazione su questo tema, però temo che siano pochi i docenti formati sulla plusdotazione”.

Quant’è importante l’orientamento dopo le medie per gli alunni plusdotati?

“Indipendentemente dal QI credo che occorra privilegiare la propria passione. Se mi piace programmare è inutile andare in un liceo classico dove non vedrà mai un pc, tanto per dirne una. Io non unirei le cose, meglio seguire la passione e questo vale per tutti”.

Che cosa farà da grande?

“L’insegnante, come ho detto prima ho messo subito in cassaforte i crediti formativi universitari proprio perché desidero fare l’insegnante”

Insegnante di informatica?

“Di informatica, o di elettronica o, comunque, di discipline Stem”

E come si vede, lei, in veste di insegnante?

“Di sicuro mi vedo aggiornata e al passo con tutto, avendo vissuto i precedenti. Ma il mio più grande obiettivo oltre che insegnare è soprattutto quello appassionare i ragazzi a ciò che insegno. Se uno studente ha la passione poi approfondisce per conto proprio mentre se trova sulla strada un docente che gli fa passare la voglia per la sua materia, quella materia non la considererà mai”.

A lei è successo?

“A me è successo in francese. Ho dimenticato completamente la materia perché l’insegnante mi ha fatto passare la voglia”.

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