“La scuola non può essere la supplente della società”, l’allarme di un docente: “Si rischia di snaturare la funzione primaria, cioè l’insegnamento e l’educazione”

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Un’analisi amara e disincantata del mondo scolastico contemporaneo è quella proposta da Giancristiano Desiderio sulle pagine del Corriere della Sera.

Lo scrittore e docente dipinge una scuola assediata da figure esterne, da consulenti a psicologi, da magistrati a imprenditori, da forze dell’ordine a personale sanitario.

“Una volta a scuola entravano soltanto gli alunni e gli insegnanti”, osserva Desiderio, sottolineando come questa moltitudine di presenze, giustificata dall’esigenza di adeguarsi a un mondo in continua evoluzione, rischi di snaturare la funzione primaria della scuola: l’insegnamento e l’educazione.

“La scuola al servizio della società” è un’intenzione lodevole, ma rischia di trasformarsi in una pericolosa delega di responsabilità, con la scuola chiamata a supplire alle carenze della famiglia, a contrastare la violenza sociale e a colmare le lacune nella formazione professionale.

Scuola come “supplente” di altre istituzioni: un ruolo improprio

Desiderio evidenzia come la scuola venga erroneamente considerata una sorta di “grande supplente”, chiamata a risolvere i problemi del mondo esterno. La confusione di ruoli, secondo l’autore, produce due risultati negativi: da un lato, la scuola non riesce a soddisfare le richieste della società, dall’altro, la società stessa finisce per snaturare la funzione dell’istituzione scolastica.

Non si tratta, precisa Desiderio, di immaginare una scuola isolata dal mondo, ma di evitare che questa relazione si trasformi in sopraffazione. La scuola dovrebbe trarre stimoli e risorse dal mondo esterno, ma oggi, osserva amaramente, “prevale il secondo caso e così la scuola è svuotata di sé stessa – insegnamento ed educazione – e riempita di tutt’altro – progetti e percorsi”. Il risultato? Si genera disorientamento, anziché orientamento.

La scuola trasformata in un “corso di aggiornamento”: la perdita della vocazione

La scuola, secondo Desiderio, è stata trasformata in un “corso di aggiornamento”, spesso ridotto a un “corso di annottamento”, una sorta di “scuola guida” in cui tutti finiscono “fuori strada” perché nessuno riconosce più il proprio ruolo. Le si chiede, erroneamente, di fornire una formazione professionale che, per sua natura, deriva da una scelta personale e da un’esperienza acquisita “sul campo”.

Tale confusione, presente anche a livello ministeriale, porta a una pericolosa indistinzione tra scuole liceali e professionali, alla crisi della scuola statale e alla perdita delle vocazioni, in particolare di quella scolastica, il cui compito primario, conclude Desiderio, dovrebbe essere “scoprire e conoscere sé stessi”.

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